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Lo stupore delle prese elettriche

Come iniziare un nuovo anno di corsa? Infortunandosi a un braccio!

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12 gennaio 2016.

Per ritrovare l’entusiasmo nella corsa avevo da ributtarmi in pista.
Vabbe’. Non è propriamente così: ci sono periodi in cui hai voglia, obiettivi e motivazioni e periodi in cui nella frase:”Qualunque sia la tua velocità, sei comunque più veloce della persona che sta sdraiata sul divano,” stai dalla parte del divano.
Fatto l’abbonamento semestrale allo stadio di atletica, finalmente posso avere di nuovo la certezza di sapere a quanto vado senza dovermi sottoporre a test torturatori e in questo momento demoralizzanti, oltre che sostanzialmente inutili.
Ottimizzare i tempi di recupero è la parola d’ordine dell’anno.
Tornare a provare vecchie sensazioni è la seconda parola d’ordine.
Esiste il vincolo di bilancio: tra pista, corso, tabelle a pagamento, gare, allenamenti in compagnia gratuiti, tempo per fare altro, occorre trovare il giusto equilibrio di tempo e di soldi. Lasciamo stare le scelte passate: provo a riprovare un po’ tutto e poi scelgo.
Così eccomi in pista.
“Vuoi dire che farai in tondo dieci chilometri?”
“Ma certo! Dai! Che vuoi che sia?”
“Una palla mostruosa, anche tenendo conto della velocità.”
“Zitto e corri!”
Allora. Decido di andare piano. Vediamo un po’. Andare a 6’30”/km vuol dire che devo correre ogni cento metri in 39 secondi. Diventa difficile fare le somme mentali di cento metri in cento metri. (A girare in tondo dovete pensare a qualcosa e ci sono allenamenti in cui la precisione è essenziale e vedere che ce la stai facendo è stimolante. Sappiatelo.) Facciamo 40. Correrò a 6’40”. Eventualmente progredirò negli ultimi chilometri. Questo penso prima di partire.
Ci sono dei bambini che corrono in seconda e terza fila in gruppo. Probabilmente fanno parte di una scuola. C’è il custode che osserva: sì, sono tornato, e sai benissimo che ho già pagato e ho consegnato il certificato di idoneità sportiva agonistica. Infatti non dice niente. Lui non ha bisogno di parlare. Lui sa tutto quello che succede in quell’impianto. Saprebbe raccontare più aneddoti lui sullo stadio Ridolfi di quanti ne sa R.L.Quercetani sull’atletica.
Ci sono degli adolescenti che sprintano in prima corsia. Ci sono degli adulti nelle corsie esterne che corrono: sembra che siano alcuni genitori dei bambini. Farli correre è un modo per tenerli occupati mentre i loro figli si allenano. Altri genitori invece sono assiepati in tribuna. (Ndrr: in tribuna si sta assiepati? Boh. Vabbe’. Facciamo di sì.)
Decido di prendere possesso della quinta corsia e parto. Piano, come previsto. Faccio il primo chilometro. Al traguardo dei cento metri vedo un 47”, anche se è piuttosto buio e leggo male lo schermo del Garmin 620, che sto reggendo in mano a causa del cinturino rotto. (Il Garmin verrà sostituito dal Polar V800 un giorno o dal gps watch che il sito fellrnr riterrà più accurato e affidabile. A proposito: la pista è fondamentale perché hai le distanze segnate perfettamente e quindi basta usare il cronometro senza il gps che non puoi sbagliare il ritmo a cui vai. Certo: devi fare i calcoli mentalmente. Certo: il gps serve comunque tantissimo quando corri fuori, cioè quasi sempre, anche per non morire di noia stando in pista simulando un criceto sulla ruota.)
“No, dai. Doveva essere 40? Sono solo sette secondi in più, andando a sensazione. Direi che ci siamo, no?”
“No. Per niente.”
Cerco di accelerare un po’. Un fisico che mi vedesse correre e mi sentisse dire che sto accelerando potrebbe svenire dalla disperazione, quindi cercherò di usare poco questi verbi inappropriati.
“Un chilometro. Dai. Due giri e mezzo. Ti ricordi? Ecco qua. Guarda il cronometro adesso. 6’50”.”
“Ah. Bene. Sono andato perfino più piano. Una volta duravano meno questi chilometri. A novembre 2014 avevo corso un chilometro in 3’50.”
“Zitto e corri!”
“Dai. C’è un lato positivo, però. Devo correre un’ora qua dentro. Ogni chilometro penserò a quanto manca alla fine. Io vado adesso più vicino ai 7’/km che ai 5 o ai 6. Divido l’ora mentalmente in tre periodi da venti minuti o in quattro periodi da quindici minuti. Consideriamo il primo periodo mentale di venti minuti. Leggerò a ogni passaggio chilometrico 7,14,21 anziché 5,10,15,20 e quindi mi sembrerà che manchi meno tempo alla fine e quindi arriverò prima a finire l’ora.” (Non è necessario capire o spiegare tutto, ma si fanno dei ragionamenti strani quando si corre e ci si allena, soprattutto in pista.)
“Bene. Questo è l’approccio giusto. Vedere sempre il lato positivo. Ma sei sicuro di avere ancora voglia? Non potresti smettere prima? Quaranta minuti possono bastare, no?”
“No. Un giorno basterà. Ora si deve rispettare l’impegno preso con se stessi. Correre un’ora.”
“Ok. Allora zitto e corri!”
Passarono così quarantadue minuti. Poco più di sei chilometri. A 6’40”/km circa. Sì, perché poi ho accelerato un po’, in effetti. (Il fisico di prima è svenuto.)
“E se uscissi, visto che fuori dallo stadio dovrebbero allenarsi quelli del corso di corsa della Fontanina running club?”
(Stavo per scrivere: dovrebbero starsi allenando. Mi sembra doveroso sottolineare questo tentativo di torturare i lettori.)
Esco. Vedo alcune persone. Lucia, Silvia, Angela, Erika, Patrizia, Katia (un gruppo di donne?) e il coach! Il vecchio coach. Non riesco a fare il corso di corsa, l’originale corso di corsa, iniziato nel 2009, il martedì perché arriverei in tempo solo noleggiando un elicottero. Allora il coach riesce a vendermi il lunedì pomeriggio.
Una volta che mi sono messo a corricchiare con loro (dove corricchiare significa correre per me e defaticarsi per gli altri) entro in un giro di discorsi: allora ti tesseri con la società, mandami il certificato, allora che si va a Chicago?, forse si deve rimandare al 2017, però nel 2017 pensavo di fare Boston, tu passi da aver corso a Parigi a marzo a correre a Champs sur le Bisance (i.e.Campi Bisenzio secondo Carlo Monni) domenica prossima, fissiamo per la Terre di Siena, fissiamo anche il pranzo, vuoi fare le 30km, ma figurati, ti sei vestito di nero perché snellisce, sono orgoglioso dei dodici chili conquistati in un anno, se non si va alla maratona di Chicago mi si liberano dei giorni di ferie, ho quarantuno giorni di ferie da qui a fine anno, se non vado a Chicago vado in Norvegia, ma domenica vieni anche alle Terme?, devo dare i soldi per la gara e per il pranzo del Mugello, domenica devo tornare entro le sei perché ho da vedere la partita di pallavolo al Mandela Forum, tua figlia giocava nella Florence Basket? Ancora non le guardavo le loro partite.
Ora. Che correre in compagnia faccia trascorrere il tempo in modo molto più divertente si sa.
La notizia è un’altra: se vedo delle persone davanti a me, mi viene di raggiungerle ed eventualmente di sorpassarle; se vanno veloci cerco di tenerne il passo; se non ce la faccio cerco di migliorarmi. Questo è quello che succedeva quando correvo davvero. Quindi è un buon segno. Inoltre questo serve a ribadire che la competizione stimola l’iniziativa, la voglia di migliorarsi, l’efficienza, la produttività, ed è vantaggiosa per tutti. Di libero mercato parleremo un’altra volta, però.
Arrivo a correre circa un’ora e torno in pista, anche perché se no il custode chiude gli spogliatoi e il mio simpatico zaino rimane a dormire là dentro, custodendo l’ipad, il portafogli e il cellulare, oltre ad un po’ di simpatici vestiti.
Ho deciso che non importa quale sia il mio livello di forma: farò sempre un “fine allenamento” veloce. Può essere una progressione dopo un lungo oppure una serie di allunghi oppure provare ogni volta a correre più metri a cinque al chilometro o qualunque cosa mi vada in quel giorno. Tanto per non chiudere l’allenamento in un modo scontato o definito da una tabella.
La risoluzione di ieri sera è stata:“Dai, facciamo cento metri al massimo.”
“Ok.”
A metà pista ho sentito un simpatico crac dietro il braccio. L’infortunio arriva sempre dove non te lo aspetti. Lì per lì ho pensato con curiosità al tempo che avevo impiegato. Per non smettere è importante che ci sia qualche novità ogni volta e avere curiosità:”Guardiamo che ho combinato oggi.” Il che è bene che significhi: “Guardiamo quanto sono migliorato oggi.”
Sì, e qual è stato il responso? Ventitré secondi! Dai! Ho corso cento metri al massimo e ci ho messo cinque secondi in più rispetto a quanto ero in grado di correre un anno, ma anche due anni fa.
“Zitto e corri!”
L’infortunio non è poi risultato niente di speciale, a parte il fatto che non riuscivo a tirare giù la maniglia della porta o a trattenere oggetti pesanti come una camicia con la mano destra. Ma questo era ieri sera. Oggi è rimasto solo un dolore di cui non ci cureremo, purché non faccia male a correre ché qua s’ha da ottimizzare il tempo del recupero.
Dice: “Per ogni giorno di stop, ti ci vorranno due giorni per tornare al livello di forma precedente lo stop.”
Oppure:”Fissa un obiettivo, vale a dire una gara in futuro nella quale vuoi raggiungere il top della prestazione, diciamo pure un personal best.
Quanto più il tuo livello attuale di fitness è inferiore al livello obiettivo, tanto più la data che scegli per quella gara dovrà essere lontana nel tempo.” Ah, be’. Facciamo due anni? Però il manuale continua:”Il periodo di tempo non dovrà essere troppo lontano da demotivarti o da farti annoiare. Quindi sarà tra le dodici e le ventiquattro settimane, a seconda anche della distanza di gara.”
“Sie! ‘Un ci si pole fa’.”
“Davvero?”
“Ma anche no! Expect miracles!”

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