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Lo stupore delle prese elettriche

Un po’ di economia della pesca

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SELVAGGINA, OCEANI, BENI COMUNI

Pesci, balene e molte altre specie di animali sono beni comuni. Pesci e balene, per esempio, hanno un valore commerciale e chiunque può andare nell’oceano e prendere ciò che è disponibile. Le persone hanno un basso incentivo a mantenere le specie per l’anno successivo. Una pesca ecessiva può distruggere la popolazione marina.
Gli oceani restano una delle risorse meno regolate.

Due problemi impediscono una soluzione facile. Prima di tutto molti Paesi hanno accesso agli oceani, così che ogni soluzione richiede la cooperazione tra nazioni che hanno valori diversi.
Inoltre, data la vastità degli oceani, gli accordi sono facilmente aggirabili.
Come risultato, i diritti di pesca hanno comportato frequenti discussioni anche tra Stati amici.
Negli Stati Uniti diverse leggi hanno avuto lo scopo di gestire l’uso della selvaggina e dei pesci e quindi di impedire un sovrasfruttamento delle popolazioni. Gli strumenti usati sono stati: concessioni alla caccia regolamentate, restrizioni al periodo, alla quantità e al tipo di caccia, imposizione di rigettare in mare i pesci piccoli ecc.

ALLOCAZIONE EFFICIENTE DELLE RISORSE COMUNI DI VALORE COMMERCIABILE (MODELLO ECONOMICO).

Da un punto di vista biologico, il modello di riferimento è quello di Schaefer, che pone in relazione la crescita dello stock di pesce e le sue dimensioni. Il modello assume una curva a campana dal livello minimo di produttività sostenibile a quello massimo al punto di equilibrio stabile, quello per il quale ogni aumento di stock dovuto ad esempio a nascite è compensato da diminuzioni corrispondenti, dovute a mortalità.

Da un punto di vista economico, in condizioni statiche, l’allocazione che corrisponde al punto di massimo biologicamente sostenibile non è quella più efficiente, che include anche i costi della raccolta e che intende massimizzare i benefici netti dell’uso della risorsa. Il livello efficiente, se raggiunto, conduce a una popolazione più grande di pesce, ma a una cattura annuale più bassa rispetto al punto di massima produttività sostenibile. In caso di sviluppo tecnologico si ha, al punto di equilibrio statico, una maggiore pesca, un minor livello di popolazione, una cattura annuale maggiore, benefici netti più alti per i pescatori.

Inseriamo adesso nel modello elementi dinamici e quindi il tasso di sconto. A più alti tassi di sconto, e quindi rinunce a redditi immediati, corrisponde un costo di conservazione della risorsa più alto. Raccolte maggiori all’inizio si tradurranno in minore stock di pesce in futuro, però. Il punto di equilibrio in un modello dinamico corrisponde a una quantità di pesce che è minore rispetto al modello statico, ma che può essere superiore a quello di sostenibilità biologica. In generale, però, più bassi sono i costi della raccolta e più alti i tassi di sconto, più è probabile che il livello dinamico efficiente oltrepassi quello massimamente sostenibile da un punto di vista biologico. Vale a dire che lo stock di pesce economicamente efficiente si riduce a fronte di condizioni economiche che variano. (La quantità biologicamente sostenibile non tiene conto dei costi e quindi non varia.).

In sostanza il criterio di efficienza dinamica non è automaticamente coerente con la produttività perennemente costante e sostenibile di risorse rinnovabili, poiché l’allocazione efficiente del pescato (per esempio) può portare all’estinzione. Esaminando casi empirici e aumentando le ipotesi di realismo del modello, si è verificato come l’estinzione non sia un risultato efficiente. Lo stock che massimizza il valore corrente dei benefici netti è effettivamente più grande di quello che sostiene la produttività massima biologicamente sostenibile. Questi risultati sembra che siano corretti sia per alti tassi di sconto che per pesci di lunga vita.

La situazione di mercato normale non è quella efficiente. Vediamo perché. Se c’è un solo pescatore sul mercato pescherà una quantità tale per cui il ricavo marginale uguaglia il costo marginale e ricaverà un profitto pari ai ricavi totali meno i costi totali.

Se le acque aperte sono ad accesso indiscriminato, ognuno può prelevarne le risorse e non può escludere nessuno dal farlo, quindi tenderà a prelevarne il più possibile per sé. Si pongono due tipi di esternalità. Esternalità intergenerazionale: lo stock di pesce si riduce e quindi le generazioni future ne avranno meno a disposizione. Esternalità corrente: eccesso di navi, di pescatori, di pesca.

In caso di beni comuni ad accesso indiscriminato, la proprietà sui pesci e sulle acque non è ben definita. A un livello efficiente ogni nave riceverebbe un profitto pari alla quota della scarcity rent, ma tale rendita è uno stimolo per nuovi pescatori ad entrare, far salire i costi ed eliminare la rendita. Tutto si traduce in sovrasfruttamento. Inoltre la decisione di pescare di più del livello efficiente inficia il profitto degli altri pescatori, ma non del singolo.
Ci sono casi in cui questo è stato dimostrato empiricamente, come nel mar di Bering.

Il proprietario di una risorsa deve bilanciare il valore che assegna al possesso del capitale con quello di uso. Se la risorsa non appartiene a nessuno, il valore che viene considerato da chi la sfrutta è solo quello di uso: per lui è razionale non considerare il valore capitale.
Non necessariamente l’accesso indiscriminato conduce a livelli di stock inferiori a quello biologicamente sostenibile (occorre guardare la funzione di costo), ma il sovra sfruttamento è comunque possibile, se non probabile.
Il rischio di estinzione dipende dalla natura della specie, dai benifici e dai costi legati alla pesca. In pratica va valutato caso per caso. Un esempio è quello del tonno bluefin.
Non tutte le risorse a proprietà comune hanno accesso illimitato: accordi informali tra i raccoglitori possono rappresentare un limite di accesso.

Nel caso in cui l’accesso a specie di valore commerciale non sia ristretto, la sovra-cattura è probabile. Se anche i costi di estrazione sono  bassi, l’estinzione della specie è possibile. Se i costi sono più alti, l’estinzione è meno probabile. L’over exploitation, comunque, porta a sovra capitalizzazione, riduzione del reddito disponibile dei raccoglitori e riduzione degli stock della specie.

Sia il settore pubblico che quello privato hanno cercato di porre degli argini al sovra sfruttamento. I modi possono essere stati:
riallocazione dei diritti di proprietà e sviluppo dell’acquacoltura;
limitazioni alla pesca, ad esempio del salmone del Pacifico (Usa, Canada.);
limitazioni internazionali alla caccia alle balene.
E’ dubbio che questi limiti soddisfino il criterio di efficienza, ma sembra chiaro che risultino “raccolte” più sostenibili.
Altre armi usate per ridurre il sovra sfruttamento sono state:
individual transferable quotas
catch shares
Queste permettono di conservare gli stock senza mettere in pericolo i redditi degli attuali raccoglitori.
Dare alle popolazioni locali un premio per la conservazione delle specie permette di generare consenso politico per ridurre il sovra sfruttamento.
Ostacoli ad ottenere buoni o migliori risultati sono:
i singoli raccoglitori sono riluttanti ad essere sottoposti a nuove regolamentazioni;
manca una ferma politica comune per il governo delle acque aperte;
difficoltà di imporre certi approcci.

EVITARE LA CATTURA ILLEGALE
Si possono rendere illegali o limitate le cacce a determinate specie. Si possono rinforzare le sanzioni contro comportamenti illegali. I problemi possono essere:
i soggetti interessati trovano delle scappatoie (il Giappone dichiara fuori dalla limitazione le balene cacciate per ricerca scientifica);
quando gli habitat sono vasti come in Africa per gli animali selvaggi, il controllo è o troppo costoso o soggetto a corruzione o semplicemente impossibile;
i finanziamenti per l’enforcement sono limitati;
incentivi economici e assegnazione di diritti di proprietà, d’altro canto, possono essere usati efficacemente.
I masai in Kenya hanno smesso di cacciare i leoni e hanno iniziato a proteggerli poiché ricevono una somma di denaro per ogni animale ucciso dai predatori;
Fornire incentivi economici alla conservazione è un mezzo per proteggere alcune popolazioni di animali. L’accesso indiscriminato distorce tali incentivi
Anche l’ecoturismo può essere incentivante: se la gente paga per vedere le balene, l’interesse economico a non farle estinguere cresce.

ECONOMICS OF ENFORCEMENT
Le politiche sono perfettamente efficienti se ognuno le segue volontariamente. Possono essere tragiche nel caso di sistemi di imposizione costosi and imperfetti.
È difficile imporre le politiche della pesca. Le linee costiere sono lunghe e frastagliate e i pescatori possono evitare la detenzione anche se eccedono i limiti di pescato o pescano illegalmente.
L’imposizione dovrebbe essere resa la meno costosa possibile. Regolamentazioni che impongono costi alti sono più facilmente disobbedite. Le sanzioni dovrebbero essere stabilite a un livello tale per cui il costo del non adempimento sarebbe maggiore di quello dell’adempimento.
La proprietà privata (fish farmers, fish ranchers) è auto impositiva (self enforcing): deviare dallo schema efficiente sfavorirebbe i proprietari.
Il rispetto delle regolamentazioni non è self enforcing in caso di pool di beni comuni (nel significato economico).
Incorporare costi realistici di imposizione porta a un livello di popolazione efficiente inferiore a quello ricavabile in presenza di sistemi di enforcement perfetti e non costosi.
Mercati delle quote individuali non hanno permesso sempre di evitare il mancato rispetto delle quote di pesca. Esempi in Cile. Forse la determinazione della quota dovrebbe includere le potenziali violazioni.
Per le specie migratorie e i pesci di eccezionale valore commerciale il rispetto delle regolamentazioni è ancora più sfidante.
Possono comunque essere disegnate politiche incentivanti alla protezione delle specie. In Malaysia i pescatori percepivano la legittimità delle quote e avevano un senso morale che conduceva al rispetto della legge.

IL LIMITE DELLE 200 MIGLIA.

Ci sono delle acque di nessuno nel mondo e lì è difficile imporre delle leggi o delle regolamentazioni. La gestione delle acque non spetta a nessuno. Le azioni correttive sono difficilmente implementabili.
Esistono accordi internazionali, leggi del mare come quelle per la protezione delle balene.
La dichiarazione fatta dalle nazioni sul mare in base alla quale fino a 200 miglia dalla costa le acque appartengono a quella nazione è importante per la protezione del pesce in quei mari.

RISERVE MARINE E AREE MARINE PROTETTE
Limitare le quote di pescato non è l’unico elemento da monitorare per evitare danni ambientali. Il metodo di pesca può essere dannoso se colpisce elementi giovani che non possono essere venduti oppure se raccatta tutto quel che trova oltre all’obiettivo (delfini con i tonni, per esempio.)
Pescare in certe aree, come quelle usate per deporre le uova, può avere effetti negativi sproporzionati sulla sostenibilità della pesca.

Per proteggere maggiormente l’ambiente marino si sono create aree marine con vari gradi di protezione.
Le aree protette proteggono le singole specie, i singoli individui, quelli che sarebbero pescati anche senza essere l’obiettivo, l’ambiente marino, l’ecosistema e il suo bilanciamento. In poche parole permettono di mantenere un equilibrio biologico (non assicurato se si protegge una sola specie) e il ripristino della popolazione marina. Se poi i pesci nuotano al di fuori dei confini, la raccolta nelle aree esterne diventa superiore, come una forma di compensazione.
Assicurata la sostenibilità, come la mettiamo con gli utenti correnti dell’area marina? Se la protezione contrasta coi loro interessi, si opporranno anche politicamente alla protezione.

Stabilire un’area protetta massimizza il valore corrente dei benefici netti dei pescatori? Inizialmente i pescatori hanno dei limiti al pescato, ma in seguito è assicurata la crescita della popolazione e possono beneficiarne (nella misura che dipende da come è impostato il criterio di protezione). Il ritardo ha un costo: i pescatori potrebbero dover pagare dei mutui sulla nave e non è detto che le banche assicurino il pagamento ritardato delle rate. Inoltre ritardare le entrate comporta un costo opportunità maggiore. Una maggiore raccolta futura non garantisce che la riserva massimizzi il valore corrente a meno che l’aumento di pesca futura sia sufficientemente tempestivo e grande in modo da compensare i costi per il ritardo.

In alcune aree la protezione è necessaria per raggiungere la sostenibilità. In altre può essere il mezzo più efficiente per raggiungerla. Non sempre però la situazione che si genera è del tipo win-win. Occorre considerare nelle analisi i sacrifici dei pescatori locali. Le politiche che portano all’instaurazione dell’area marina protetta devono tenere conto di questi sacrifici e non fare finta che non esistano.

Convention of biological diversity: almeno il dieci per cento delle regioni ecologiche del mondo va conservato.
Arcipelago Chagos: la riserva marina più grande del mondo.
La protezione si è dimostrata maggiore nelle aree terrestri che in quelle marine.

SUSSIDI E BUYBACK
C’è spesso un problema di eccesso di capacità di pesca e di capitalizzazione. Ci sono troppe navi e pochi pesci. Chiaramente chi ha le navi, o trova metodi alternativi di gestirle e usarle, o tenderà a non rispettare i limiti alla pesca.
In alcuni casi gli Stati Uniti e l’UE hanno comprato le navi per ridurre la capitalizzazione. I rischi sono legati al fatto che in futuro non vi sia più eccesso di capacità e che i pescatori anticipino il buy back: sapendo che potranno vendere le proprie navi (o ricevere sussidi), ne acquistano in misura maggiore a quanto avrebbero fatto altrimenti.

ALZARE IL COSTO DELLA PESCA. BARRIERE, BANDI, LIMITI, TASSE

Una politica per evitare il sovrasfruttamento può essere rendere più alto il costo del pescato o imporre restrizioni. Bisogna non tener conto solo di aspetti biologici, però, ma pure economici, altrimenti le misure non funzionano.
Esempi sui salmoni del Pacifico che si mettono nei fiumi da giovani. Questi vanno negli oceani. Tornano e vengono pescati. In passato in Nordamerica vennero proibiti dei modi di intrappolare i pesci. O ancora venivano create delle aree di pesca. Nessuna di queste misure funzionò.
Le tecnologie non usate vengono sostituite da altre. Le restrizioni non vengono rispettate. Le misure restrittive alzano il costo del pescato, sia in termini di capitale da usare (nuove tecnologie) che di lavoro: quindi sono uno spreco. L’efficienza si raggiunge quando la quota di pescato è al livello ottimale, ma anche quando questa quota è raggiunta al minimo costo possibile

Limiti al periodo dell’anno in cui si può pescare portano a usare navi più grandi per pescare di più nei periodi consentiti.
Non si hanno incentivi ai miglioramenti e alla concorrenza sulle quote di mercato: anzi i pescatori possono farsi promotori di bandi su nuove tecnologie che alla fine sono limitazioni alla concorrenza di pescatori più efficienti.
In generale queste restrizioni in svariati casi sono stati un fallimento, anche se in qualche caso hanno permesso di mantenere un certo stock di pescato.
Le politiche che sono guidate da uno stretto focus sulla sostenibilità biologica portano a perdite nei benefici netti della pesca. Se i costi non vengono considerati, il reddito dei pescatori diminuisce, misure ulteriori diventano più difficilmente implementabili, incentivi a violare le regolamentazioni aumentano.
Le stesse innovazioni tecnologiche possono ridurre il costo del pescato (pensiamo anche a forme di navigazione elettronica, ai fishfinders) e compensare il costo delle restrizioni, che, anche se ben controllate, non riescono a evitare pesche elevate e declino degli stock.

Le tasse sugli effort possono rendere il costo efficiente per la società poiché non rappresentano un puro costo sulla risorsa, ma un costo di trasferimento dai pescatori ai tax collectors. Dato che, comunque, il costo ricade sui pescatori, essi preferiscono una politica che restringe le quote ma garantisce a loro delle rendite da restrizione.

ITQ E CATCH SHARES
Perché il sistema delle quote sia efficiente occorre che:
1. le quote permettano al proprietario di pescare una quota specifica sulla pesca autorizzata totale di un tipo di pesce. (Non devono riferirsi al diritto di possedere o usare una specifica nave, ad esempio: ciò che vogliamo regolare non è il numero delle navi, ma il numero di pesci catturati).
2. la somma delle quote autorizzate deve uguagliare la cattura efficiente per la fishery
3. le quote dovrebbero essere liberamente trasferibili attraverso i pescatori e mercati dovrebbero mandare segnali appropriati in merito al valore della fishery.

Sul punto 3 possiamo fare alcune altre considerazioni.
Con la trasferibilità, il diritto di pescare passa verso chi è in grado di guadagnare i benefici maggiori, poiché ha i costi più bassi. Chi ha costi alti di pesca e quote in possesso scopre che fa più profitti a vendere la quota anziché usarla. Chi ha costi più bassi può comprare le quote e a sua volta fare soldi.
La trasferibilità consente lo sviluppo tecnologico: chi ha la tecnologia che permette una riduzione dei costi, può perseguire i vantaggi di cui al paragrafo precedente.
Per quanto riguarda la distribuzione della rendita, questa dipende dalle allocazioni di partenza e i risultati possibili sono vari. Un problema è che per le generazioni future questo sistema di quote non è diverso dall’imposizione di tasse: esse devono pagare un premio per entrare sul mercato.
Un sistema di quote (tac) e di zone esclusive di pesca (Eez) è stato adottato in Nuova Zelanda.
Alcuni problemi:
non sempre gli obiettivi di pesca sono ben definiti;
non viene evitata la pesca di pesci non target;
se vengono pescati pesci non dovuti e il pescatore non ne possiede le quote, rischia una multa, ma questo fa sì che preferisca ributtare il non dovuto a mare, causando un doppio spreco: stock ridotto e raccolta di pesce buttata via.
Il problema dell’high grading. Le quote si basano sui pesi, mentre il valore del pesce può dipendere dalla dimensione. In questo caso può essere che i pescatori ributtino in mare gli agonizzanti pesci piccoli, col doppio spreco già visto col bycatching.
Si potrebbero bandire i rigetti a mare, ma i controlli sono chiaramente difficili.
Una soluzione a questi problemi è stata quella di permettere ai pescatori di coprire temporanee overages attraverso l’acquisto o il noleggio di questi permessi. L’incentivo è buono se il costo del permesso è inferiore al ricavo da pesce pescato in più.
Nella pratica sono emersi sia casi problematici che risolutivi attraverso l’uso di itq.

ACQUACOLTURA

Una gestione del pescato inefficiente risiede nel trattarlo come proprietà comune anziché privata, quindi una possibile soluzione è quella di permettere la proprietà privata. Se i pesci non sono molto mobili o, possono essere confinati in barriere artificiali o ritornano istintivamente a casa, questa soluzione può essere efficiente. Si favoriscono infatti la produttività, la non estinzione, il controllo dell’ambiente con nutrienti o adeguata misurazione delle temperature e così via.
Oltre al fish farming si usa il fish ranching: da giovani i pesci vengono trattenuti, quindi lasciati andare finché tornano per istinto.
Esempi di successo e di crescita si hanno in Galizia, Giappone, Cina ecc. Il settore di produzione di cibo animale con la più alta crescita è quello dipendente dall’acquacoltura. Nel 1970 il quattro per cento del pesce consumato globalmente proveniva da fattorie: nel duemilaotto era diventato il 46 per cento.
L’acquacoltura non funziona per specie non domesticabili. Può comunque fornire una valvola di sicurezza in alcune regioni, per alcuni pesci e in processi che permettono di togliere pressione a mari o fiumi già intensamente stressati dalla pesca. La sfida è renderla sostenibile.
Esistono esempi che dimostrano il successo dell’acquacoltura e comunque esistono anche aspetti problematici.

Riferimenti: Tom Tietenberg, Environmental and natural resources economics.  Greg Mankiw, Principles of Microeconomics.

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