Quanto segue è stato preso da articoli o commenti presi dai seguenti siti o rapporti:
Semplifica
Wired
Salmone
Blog di Dario Bressanini su “Le Scienze”
Biotecnologiebastabugie
Studio Barilla
COSA E’ LA BIODIVERSITA’?
Nella Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD, 1992) in cui è contenuta anche la
definizione del principio di precauzione è stata data la seguente definizione di biodiversità:
“la variabilità tra gli organismi viventi di tutti i diversi ambienti (…) e la diversità all’interno
delle specie, tra le specie e tra gli ecosistemi”. Una definizione così vasta ha posto
problemi nell’analisi e nella quantificazione della biodiversità. Dal punto di vista pratico
si tende a limitare le indagini solo ad alcuni aspetti della biodiversità, quali il numero di
alcune specie campione più diffuse o più rappresentative in una data area, essendo praticamente
impossibile valutare l’insieme di tutti gli organismi presenti.
www.biodiv.org/programmes/areas/agro/gurts.asp
www.oecd.org/pdf/M00007000/M00007573.pdf
Purvis A et al. (2000) Getting the measure of biodiversity. Nature 405:212
LE PIANTE GM POSSONO DIVENTARE INFESTANTI?
Il presupposto per la comparsa di nuove piante infestanti è che una pianta acquisisca
resistenza a insetti e malattie o che si modifichi fino a presentare una serie di nuovi caratteri
di invasività (ovvero la capacità di diffondersi autonomamente anche fuori dal campo coltivato)
per mutazione spontanea o per ibridazione con altre piante selvatiche o coltivate.
Gli OGM, da quanto emerso dagli studi fino a ora pubblicati, non sono di per sé più
infestanti delle colture convenzionali. Le piante coltivate infatti necessitano per sopravvivere
di cure costanti (devono essere seminate, protette dalle malattie e dagli agenti
avversi) e non disperdono il seme quando mature, come invece accade per le infestanti.
È inoltre provato che quando vengono disperse nell’ambiente naturale tendono a
scomparire in 2-3 generazioni (come dimostrato per mais, colza, patata e bietola). Le
analisi sull’invasività di una pianta GM devono quindi considerare non tanto la tecnica
con cui è stata prodotta, ma la nuova caratteristica di cui l’OGM è dotato.
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Gli ibridi ottenuti dall’incrocio tra una pianta selvatica (infestante o meno) e una pianta
coltivata sono spesso poco vitali e possiedono una bassa fertilità. Nei casi in cui gli
ibridi siano fertili e acquisiscano resistenze a malattie o ad altre avversità ambientali, essi
potrebbero acquisire una maggiore invasività. Il rischio connesso è però il medesimo sia
per le piante GM, sia per le piante non-GM. Un esempio spesso citato riguarda la resistenza
agli erbicidi. L’eventuale ibridazione tra varietà resistenti (coltivate) e non resistenti
(selvatiche o coltivate) potrebbe portare, infatti, alla creazione di piante infestanti
resistenti all’erbicida, costringendo l’agricoltore a usare nuovi prodotti per il loro controllo.
Un caso in tal senso è stato segnalato in Canada e riguarda alcune varietà di colza
coltivate. È stato infatti individuato un ibrido spontaneo resistente a tre erbicidi (due resistenze
provengono da piante transgeniche e una da piante selezionate con metodi tradizionali).
Tuttavia, nonostante le tre resistenze acquisite, la nuova pianta infestante risulta
sensibile a erbicidi come il 2-4 D, già in uso da tempo.
Crawley MJ et al. (2001) Transgenic crops in natural habitats. Nature 409:682
Rieger MA et al. (2002) Pollen-Mediated Movement of Herbicide Resistance Between Commercial Canola Fields.
Science 296:2386
Ellstrand NC (1999) Gene Flow And Introgression From Domesticated Plants Into Their Wild Relatives. Annu.
Rev. Ecol. Syst. 30:539
Amman K et al. (2000) Weediness in the light of new transgenic crops and their potential hybrids. Journal of
Plant Diseases and Protection. Sonderheft XVII, Special Issue
Triple resistant canola. http://www.producer.com/articles/20000210/news/20000210news01.html
Teniamo conto anche che il mais in Europa non può fecondarsi con altre piante se non con se stesso, pertanto il pericolo di
l’inquinamento genico con altre piante non esiste anche perché non può inselvatichire.
Le caratteristiche botanico fisiologiche della fioritura-fecondazione sono le seguenti:
Il mais è una specie annuale, monoica e con sfasamento della fioritura maschile rispetto alla
femminile (protandria). Di conseguenza la fecondazione incrociata è preponderante (allogamia)
seppure sia specie autofertile. Ogni pianta produce tra 6 e 10 milioni di granuli di polline e le sete
femminili (pistilli) sono in numero di 6/800. Il rapporto è dunque 1 a 10.000. Il polline è trasportato
dal vento, la vitalità e di 1-3 ore secondo la T° e l’umidità relativa. La dimensione ed il peso sono
elevati rispetto alle altre specie anemofile. La libera percorrenza del polline si esaurisce entro i 6/8
m per il 90%, un 5% a 30 metri e così via. Comunque questi dati non bisogna trasformarli in
fecondazioni avvenute, queste sono di molto inferiori. Ecco perché si parla di distanziamenti di soli
25 metri tra convenzionale e OGM. Il flusso pollinico è la componente principale della commistione
tra semine di tipi diverso.
QUALE IMPATTO HANNO GLI OGM SULLA BIODIVERSITA’?
L’impatto degli OGM sulla biodiversità è un tema complesso. Qualunque tipo di intervento
umano o anche semplici eventi naturali hanno un impatto sulla biodiversità.
Chiedersi se gli OGM siano una minaccia per la biodiversità dovrebbe perciò essere
inquadrato in un ambito più generale e domandarsi invece se questi organismi influiscono
sulla biodiversità in modo diverso rispetto a quanto accade per le colture convenzionali.
Il primo problema che si incontra nel condurre queste analisi sta nel decidere
cosa considerare come “biodiversità” e se sia possibile ridurre l’analisi a un dato
numero di specie campione. A seconda dei modelli usati è infatti possibile prevedere
scenari con conseguenze “irreversibili” o “catastrofiche” oppure scenari del tutto opposti.
Solo un approccio caso-per-caso può portare a un’adeguata analisi dell’influenza
potenziale di una data coltura sulla biodiversità naturale.
Sul tema OGM e biodiversità è nato un dibattito a seguito della pubblicazione di
un articolo che riportava il ritrovamento di DNA transgenico in varietà locali di mais
messicano. L’articolo è stato messo poi in discussione dalla stessa rivista che ne aveva
accettata la pubblicazione.
Con il termine biodiversità ci si riferisce spesso solo a quella che prende il nome di
“agro-biodiversità”, ovvero la variabilità di specie animali, vegetali e microbiche utili alle
attività umane. Va qui sottolineato che l’agricoltura è il risultato di un lungo processo di
domesticazione delle piante e degli animali. Da quando l’agricoltura esiste (circa 12-
13.000 anni) l’uomo ha condotto scelte o selezioni tra i genotipi delle specie da lui ritenute
interessanti. Il problema della riduzione della “agro-biodiversità” non è quindi
nuovo. La ricerca di piante ad alta produttività, per esempio, ha ridotto radicalmente il
numero di specie utilizzate a scopo alimentare. A oggi 20 specie vegetali forniscono il
90% del cibo umano e quattro di esse arrivano da sole al 50% (frumento, mais, riso e
patata).
Va anche chiarito che se un transgene si ibridasse
con varietà locali o specie selvatiche questo difficilmente porterebbe a un sovvertimento
genetico irrimediabile delle specie. Il teosinte, progenitore del mais, ha una storia
millenaria di contiguità con le varietà di mais coltivate e, nonostante avvengano da
secoli scambi di polline dall’una all’altra specie, entrambe sono ancora ben caratterizzate
e distinguibili tra loro.
Analoghe evidenze sono state riportate per l’interazione tra alcune varietà italiane di
mais e i più recenti ibridi commerciali; questo è dovuto anche al fatto che generalmente
ibridi e vecchie varietà vengono coltivati in aree non contigue e hanno tempi di fioritura
leggermente sfasati.
Va aggiunto che è la mancanza di scambio genico a essere più
pericolosa per la biodiversità, in particolare per le specie allogame come il mais, che
mostrano depressione produttiva e morfologica a seguito di inincrocio.
Va comunque sottolineato come l’ecosistema agricolo sia già profondamente modificato
dall’attività umana. Colture originariamente tipiche dell’America, come mais, patata
e pomodoro, o dell’Asia, come soia, riso e kiwi, sono diffuse anche nell’ambiente europeo:
il kiwi, pur essendo di provenienza cinese, viene coltivato in Italia, che ne è uno dei
principali produttori mondiali. Qualcosa di molto simile è avvenuto per la soia, la quale per la sua coltivazione richiede dei Rizobi, batteri del terreno necessari al suo sviluppo:
poco ancora oggi si conosce sull’impatto, a livello di biodiversità del suolo, dello spargimento
di tali batteri. Inoltre, con l’introduzione di specie in territori diversi da quelli nativi
è stata spesso introdotta anche la flora selvatica affine a tale specie, immettendo così
nell’ambiente anche le potenziali infestanti (ad es. colza).
La diffusione di colture OGM non deve quindi essere considerata potenzialmente
più dannosa, per la biodiversità, dell’introduzione di colture “tradizionali
Per approfondire:
http://biotecnologiebastabugie.blogspot.it/2009/05/ogm-e-biodiversita-hippo-pippo-dilemma.html
LE COLTIVAZIONI OGM POSSONO COESISTERE CON LE COLTIVAZIONI TRADIZIONALI?
Il problema della coesistenza tra i diversi sistemi agricoli non è recente ed è stato finora
risolto con l’adozione di soglie di tolleranza. Nei prodotti biologici è tollerato fino al 5%
di prodotto con residui di antiparassitari di sintesi. Altro esempio è rappresentato dalla
colza HEAR, che ha un alto contenuto di acido erucico (tossico per l’uomo) ed è tollerata
nelle derrate alimentari fino al 2%. Ancora, è tollerata nella pasta di grano duro la
presenza del 3% di farina di grano tenero.
Le industrie sementiere e i legislatori sanno per esperienza che ottenere una purezza
del 100% è tecnicamente impossibile, antieconomico, oltre che di scarsa utilità. La tolleranza
di bassi livelli di flusso genico (proveniente da polline di altre varietà) è una componente
strutturale dell’agricoltura moderna, in particolare nel caso di colture alimentari.
Gli standard internazionali permettono che nei lotti di sementi commerciali ci sia una
presenza accidentale di altre sementi dell’1-2%. Queste soglie sono necessarie e tengono
conto del fatto che piante della stessa specie, o di specie affini, tendono a ibridare
tra loro: è quindi inevitabile che in un lotto di sementi ci sia una seppur minima percentuale
di semi di altre varietà, anche a causa dei sistemi stessi di raccolta, stoccaggio,
trasporto e lavorazione del prodotto. Questa situazione si verifica anche per le piante GM
oggi in commercio.
Poiché queste problematiche sono note e accettate per le varietà convenzionali, non
dovrebbe suscitare scalpore che la Ue si stia orientando per adottare soglie di tolleranza
anche per la presenza accidentale di OGM che hanno superato i test di sicurezza
richiesti e sono quindi considerati non pericolosi per l’uomo e per l’ambiente. Va sottolineato
che la soglia ammessa per i prodotti derivati da colture OGM (0,9%) è più
bassa delle soglie ammesse per quelli invece riconosciuti come nocivi (per esempio
2% per la colza HEAR).
Da uno studio del Joint Research Center europeo, emerge inoltre come nella maggior
parte dei casi la coesistenza tra colture GM e convenzionali sia possibile con un aumento
dei costi di gestione limitato (1-10%) se si accetta una soglia di presenza accidentale
nel prodotto dell’1%. I costi aggiuntivi derivano dalla segregazione delle filiere e dall’etichettatura
del prodotto. Negli Stati Uniti, dove questo non è richiesto, l’agricoltore e il
consumatore non sono gravati da questi costi aggiuntivi.
Nel caso si volesse adottare una tolleranza vicina o inferiore allo 0,1%, i costi di segregazione
diventerebbero però proibitivi e di fatto impedirebbero la coesistenza tra colture
tradizionali e GM.
Conner AJ (2003) The release of genetically modified crops into the environment. Part II. Overview of ecological
risk assessment. Plant J 33:19
http://cdnseed.org/press/Troubles%20With%20-Thresholds.pdf
- Bock et al. (2002) Scenarios for co-existence of genetically modified, conventional and organic crops in
European agriculture. JRC http://www.jrc.es/projects/co_existence/Docs/coexreportipts.pdf
Commissione mista delle Accademie Nazionali dei Lincei e delle Scienze (2003) Biotecnologie vegetali: benefici
e rischi delle varietà OGM
ECSCP European Commission Scientific Committee on Plants (2001) Opinion of the Scientific Committee on
Plants concerning the adventitious presence of GM seeds in conventional seeds.
ttp://europa.eu.int/comm/food/fs/sc/scp/out93_gmo_en. Pdf
EU Round Table on research results relating to co-existence of GM and non-GM crops. Bruxelles 24 April 2003 –
http://europa.eu.int/comm/research/biosociety/news_events/news_programme_en.htm
OGM E COESISTENZA: IL CASO DELLA PAPAYA
Richard Manshardt, uno degli sviluppatori della papaya
transgenica, ha fornito ad agricoltori biologici un nuovo test per verificare se le loro papaya
contenevano dei geni modificati. Per far funzionare la coesistenza è necessario che coltivatori
OGM e non-OGM si parlino e collaborino. Gli esperimenti hanno mostrato che bastano 400 metri di
distanza per evitare incroci indesiderati tra papaya OGM e papaya convenzionale. E’ cruciale però
che vi sia collaborazione tra agricoltori vicini, che chi coltiva papaia transgenica lo comunichi ai
vicini che, magari, desiderano coltivare papaia biologica, affinché prendano tutte le precauzioni per
evitare impollinazioni indesiderate. E i coltivatori biologici che si considerano troppo vicini ad un
campo di papaya OGM, comunque un’esigua minoranza, per avere la certezza che il gene della
resistenza al virus non entri nei loro frutti, mettono semplicemente dei sacchetti di carta attorno ai
fiori di papaya durante la fioritura, per essere sicuri che avvenga solamente l’autoimpollinazione.
La migliore dimostrazione che la coesistenza è possibile sta nel fatto che tuttora il Giappone
continua ad importare dalle Hawaii la papaya non-OGM e solo quella.
QUALI SONO GLI EFFETTI SECONDARI DEGLI OGM? (api, farfalle, biodiversità)
Con effetti secondari vengono intesi tutti gli effetti di una data tecnologia che non
erano stati previsti a priori. Questi possono essere sia diretti che indiretti e generalmente
vengono percepiti come negativi.
Una pianta GM molto studiata anche per gli effetti secondari è il mais transgenico Bt,
che esprime un insetticida naturale. Nel 1999 è stata pubblicata dalla rivista Nature una
nota che sosteneva che le larve di farfalla “monarca” (un insetto che non danneggia le
colture di mais) presentavano una mortalità più elevata se nutrite con polline di mais Bt,
rispetto al polline di mais non-Bt. Studi successivi, effettuati in campo e non in laboratorio,
hanno concluso che l’impatto sulla farfalla monarca del mais Bt è trascurabile, questo
per due ordini di motivi: 1. la farfalla monarca non si ciba di mais e le quantità di polline
di mais presenti sulle piante di cui si nutre sono molto basse; 2. le quantità di tossina
Bt assunta risulta essere di gran lunga inferiore a quella utilizzata per l’esperimento in
laboratorio. Questi risultati vanno inoltre paragonati con l’impatto delle attuali pratiche
agronomiche, che l’utilizzo di piante OGM tende a ridurre, come l’uso di insetticidi ad
ampio spettro, potenzialmente più dannosi.
Una specie oggetto di frequente studio perché interessata da effetti secondari degli
OGM è l’ape. I risultati non hanno mai evidenziato effetti sull’attività delle colonie, mentre
si è riscontrata tossicità diretta sulle api solo in laboratorio e a dosi molto più elevate
di quelle che si riscontrano in campo.
Pare quindi di poter concludere che l’introduzione in agricoltura delle piante transgeniche
finora autorizzate non determini conseguenze inaspettate indesiderabili. Nel caso
di OGM Bt si hanno al contrario prove di un maggior rispetto della agro-biodiversità,
come testimoniano anche diversi studi svolti in varie parti del mondo. Inoltre va considerato
che il mais Bt presenta un contenuto in micotossine molto inferiore rispetto a
varietà non-GM. Si tratta in questo caso di sostanze tossiche naturali10 prodotte da alcuni
funghi che infestano la granella di mais, sfruttando le intaccature prodotte dalla piralide,
insetto dannoso che viene invece controllato con la tecnologia Bt.
Losey JE et al (1999) Transgenic pollen harms monarch larvae. Nature 399:214
Wraight CL et al (2000) Absence of toxicity of Bacillus thuringiensis pollen to black swallowtails under field
conditions. PNAS 97:7700
Zangerl AR et al (2001) Effects of exposure to event 176 Bacillus thuringiensis corn pollen on monarch and
black swallowtail caterpillars under field conditions. PNAS 98:11908
Oberhauser KS et al (2001) Temporal and spatial overlap between monarch larvae and corn pollen. PNAS
98:11913
Pleasants JM et al (2001) Corn pollen deposition on milkweeds in and near cornfields. PNAS 98:11919
Hellmich RL et al (2001) Monarch larvae sensitivity to Bacillus thuringiensis– purified proteins and pollen. PNAS
98:11925
Stanley-Horn DE et al (2001) Assessing the impact of Cry1Ab-expressing corn pollen on monarch butterfly
larvae in field studies. PNAS 98:11931
Sears MK et al (2001) Impact of Bt corn pollen on monarch butterfly populations: A risk assessment. PNAS 98:11937
Malone LA (2001) Effects of transgene products on honey bees (Apis mellifera) and bumblebees (Bombus sp.).
Apidologie, 32, 278–304
Dayuan Xue (2002) A summary of research on the enviromental impacta of bt cotton in China. Greenpeace
Shelton AM (2001) The monarch butterfly controversy: scientific interpretation of a phenomenon. Plant J 27:483
Bakan B (2002) Fungal Growth and Fusarium Mycotoxin Content in Isogenic Traditional Maize and Genetically
Modified Maize Grown in France and Spain. J. Agric. Food Chem. 50, 728
Shelton AM (2002) Economic, Ecological, Food Safety, and Social Consequences of the Deployment of Bt
Transgenic Plants. Annu. Rev. Entomol. 47:845–81
STUDIO BARILLA E BIODIVERSITA’
L’uso degli OGM può generare impatti negativi sull’habitat naturale
degli insetti e degli animali selvatici?
Un ampio numero di
simulazioni teoriche basate su modelli matematici36 denuncia il rischio per la sopravvivenza
degli organismi animali in seguito all’introduzione di piante GM. Le cause di questa
situazione sono riconducibili perlopiù alla
minor disponibilità di cibo, soprattutto per
le popolazioni di uccelli. Questa situazione
appare più rilevante in Europa rispetto ad
altre zone del mondo, a causa della minore disponibilità di appezzamenti non agricoli.
Numerosi studi basati sull’osservazione diretta sono stati effettuati riguardo all’impatto
dell’introduzione di colture GM sull’habitat naturale di specie animali selvatiche. Tra i più
completi, in qualche misura anche riassuntiva dello stato dell’arte in materia, è la ricerca
indipendente commissionata dal Department for Environment, Food and Rural Affairs
(DEFRA) del Regno Unito.
Questo studio, che ha preso avvio nel 1999 ed è stato condotto per cinque anni, si basa
su ben 266 osservazioni dirette, sia nella stagione primaverile che in quella autunnale.
Lo studio ha quantificato l’impatto di colture HT (barbabietola da zucchero, mais e colza)
rispetto alle varietà convenzionali, in termini di abbondanza e diversità della fauna
selvatica nei terreni agricoli.
I risultati non sono stati univoci per tutte le colture. Sono state, infatti, registrate differenze
significative all’interno delle stesse, rendendo discordanti le possibili interpretazioni
dei fenomeni.
In particolare, nel 2003 i ricercatori osservarono l’esistenza di differenze significative tra
varietà GM e quelle convenzionali (a favore di queste ultime) nell’abbondanza di vita selvatica
con riferimento alle coltivazioni di colza primaverile, barbabietola e mais. I risultati
più recenti mostrano differenze anche per la varietà di colza invernale. In sintesi, coltivare
barbabietola e colza primaverile non GM crea condizioni di habitat maggiormente favorevoli
per molti gruppi animali, rispetto alle corrispettive varietà GM: nei campi c’erano più
insetti (come farfalle e api), grazie anche alla presenza più massiccia di erbe selvatiche che
offrivano cibo e riparo.
Si riscontrava inoltre una maggiore presenza di semi di piante infestanti nelle coltivazioni
convenzionali della colza primaverile e della barbabietola che nelle loro controparti GM.
Tali semi sono importanti nella dieta di alcuni animali, in particolare degli uccelli che sono
soliti vivere nei pressi dei terreni coltivati.
In contrasto, il mais GM risultava preferibile – rispetto al mais convenzionale – per molti
gruppi di animali selvatici. C’erano più erbacce, più farfalle e più api in alcuni momenti.
RESISTENZA AI DISERBANTI
Dice Bressanini: “Perchè tu non ti aspettavi che si formassero delle resistenze ad una tossina?
Se non fosse stato così mi sarei messo le mani nei capelli, perchè avrei temuto la fine del mondo,
signiicava che la natura non dava più le armi per reagire all’ambiente avverso.
Qual è però la cosa che mi fa ben sperare?
Se prima dovevo aspettare: che la Genetica scoprisse i geni di resistenza, che mediante gli incroci
la includesse in un genoma, che poi si accorgesse che la pianta che aveva ricevuto la resistenza
era cambiata tanto in negativo che doveva esser buttata per poi dover ripartire di nuovo e correndo
gli stessi rischi, ora si tratta di usare un altro tratto genetico (e ti assicuro che nelle banche del
germoplasma della Monsanto, della Syngenta o della Dupont ve sono tanti) metterlo in una buona
varietà di cotone, anche la stessa al limite, e ripartire subito con una pianta già produttiva, ma
resistente al nuovo parassita.
Se poi la nuova resistenza fosse il frutto della ricerca pubblica del Burkina-Faso tanto meglio così
si può finanziare la ricerca di un paese che ne ha bisogno.
Dice Guidorzi: “Con delle piante OGM resistenti ad un diserbante
totale, la rotazione, indipendentemente dagli altri vantaggi agronomici, dovrà essere a maggior
ragione la base per ben coltivare. Se io tratto ad esempio due coltivazioni RR è normale che a
poco a poco si determinino delle piante resistenti, quindi devo avere altre piante coltivate in
successione e che diserbo con altri principi attivi, perchè in tal in modo non permetto a quelle
poche piante resistenti che inizialmente si creano di disseminare troppo e con ciò evito sul nascere
la normale reazione della natura.
Siccome sono pienamente convinto, avendo seguito l’evoluzione della stessa pianta per
cinquant’anni, cioè la barbabietola da zucchero, che coltivare significa esercitare una
“PRESSIONE SELETTIVA” enormemente superiore a quella già esistente in natura, ecco da dove
deriva il mio dire che FARE ROTAZIONI il più lunghe possibili (compatibilmente all’organizzazione
aziendale) è una pratica che non è mai tramontata: si è solo acquisito la falsa convinzione che con
certi mezzi tecnici si potesse sfidare la natura.
Sono solo un po’ cambiate le motivazioni per continuare a fare rotazioni: se quando esisteva solo il
diserbante ZAPONET ( che non era un marchio registrato, ma un attrezzo con manico) le
rotazioni si facevano più per mantenere fertilità che per il controllo delle malerbe (Zaponet era
selettivo e totale nello stesso tempo), oggi invece con la disponibilità dei concimi e l’uso dei
diserbanti e dei principi attivi di trattamento si deve fare la rotazione perche la “pressione selettiva”
sulle malerbe e sull’insorgenza di malattie più virulente è enormemente aumentata.
In breve ti faccio la storia dell’evoluzione della bietola. La cercospora (una malattia delle foglie si
combatteva prima con il rame, poi si dovuto passare allo stagno, poi c’è stato un periodo dove i
prodotti non erano validi, mentre ora ne abbiamo trovati di molto validi. Il cambio dei prodotti è
sempre stato dettato dall’evoluzione del fungo e lo sarà anche in futuro. Tieni anche conto che una
volta le foglie della bietola erano alimento per il bestiame (quindi l’inoculo cercosporico era portato
fuori dal campo) mentre ora lo si lascia sul campo e quindi l’inoculo aumenta sempre. Il fare una
rotazione solo biennale (frumento bietola), com’era invalso l’uso (con la bietola si guadagnava
molto) oltre a velocizzare l’insorgere di ceppi fungini resistenti ci ha portato anche la RIZOMANIA,
una malattia virotica che ci siamo portati dietro per vent’anni primo di trovare i geni di resistenza ed
immetterli faticosamente nel genoma della bietola coltivata. Pensa se avessimo avuto lo strumento
della trangenesi, come avremmo risolto prima il problema?
I cultori del biologico dicono: abbassiamo la pressione selettiva anche se cala la produzione,
dimenticando che finché esiste coesistenza di biologico e tradizionale e l’equilibrio è fortemente
spostato su quest’ultimo, il loro tentativo è frustrato, ma se per contro si aumenta troppo il
biologico, cala troppo la produzione di alimenti.
Solo chi non conosce le cose
agricole si può meravigliare che piante coltivate, parassiti e malerbe si rincorrano nell’evolvere. Se
voi rifletteste che la TRANSGENESI NON E’ ALTRO CHE UN PICCOLO STRUMENTO
INVENTATO DALL’UOMO PER FAR RIMANERE LE PIANTE COLTIVATE SEMPRE IN PRIMA
POSIZIONE IN QUESTA CORSA, CAPIRESTE CHE LE POSIZIONI CONTRO
SONO ANCORATE A QUALCOSA DI EXTRA AGRICOLO, CIOE’ ALL’IDEOLOGIA, CHE CON LA
TECNICA NON HA NULLA A CHE FARE
Chi ha avuto ed ha la responsabilità di impostare i piani colturali della sua azienda di anno in anno,
sa bene che le pratiche di diserbo (le soluzioni sono molte ed ogni anno in funzione delle
formulazioni disponibili se ne possono trovare di nuove) devono essere ragionate tenendo conto
dei precedenti colturali, delle infestazione che per un motivo o per un altro sono più o meno
sfuggite alle pratiche di diserbo applicate, al fatto che il clima avverso abbia reso impossibile
eseguire una pratica preventivata e di questo passo potrei citarti le più svariate e molteplici
situazioni che di volta in volta si presentano.
Quindi perchè devo rinunciare alla possibilità di avere disponibili anche piante RR? Non è mica
detto che adotti queste piante per abolire tutte le altre pratiche di diserbo che avevo seguito prima.
Anzi in Italia non sarà mai possibile affidarsi ad una soluzione unica. Le piante RR si devono
intendere come una soluzione da prendere in considerazione se risolvono un problema che merita
di essere risolto in tal modo.
Perchè gli OGM in agricoltura si devono vedere come un “attila” che fa tabula rasa di tutto il resto?
E’ uno strumento che può anche rimanere riposto se non fa al caso.
Le piante RR sono servite ad aumentare il reddito di chi le ha coltivate, a ridurre i costi di gestione,
ad aumentare le superfici a no-tilling, a sostituire erbicidi piu’ tossici con altri meno tossici, cosa
che in ultima analisi (anche questi dati alla mano, mica pippe mentali ) ha migliorato la qualita’
dell’acqua negli USA. E visto che gli agricoltori ai loro guadagni ci tengono come tutti, se alla lunga (a proposito
quanti anni sono un “lungo” periodo? 10, 20 o 50?) i coltivatori di soya gm negli USA
vedranno un calo dei guadagni torneranno a piantare la soya tradizionale.
Aspettiamo sereni per controllare se ciò avverrà o meno nei prossimi anni (o decenni … dipende
dal concetto di lungaggine).
Dite che con l’uso continuo delle piante RR si è dovuti ritornare al 2-4 D?
gli americani, che non
sono fessi, l’hanno sempre usato nell’amnbito di un’ottimale rotazione di piante e prodotti
diserbanti, in quanto erano coscienti che un’eccessiva pressione selettiva generava resistenze.
E’ pure certo che anche usando queste precauzioni non si scongiura la possibilità che si
selezionino piante resistenti (e io ti ho anche detto che meno male che questo continua a capitare),
si cerca solo di diminuire le probabilità.
Vale la regola classica: I PROBLEMI AGRONOMICI CHE SORGONO SI RISOLVERANNO, COME
SEMPRE ANCHE IN PASSATO, CON SOLUZIONI AGRONOMICHE INNOVATIVE.”