(Da “Favole e numeri” di Alberto Bisin).
“Restringere o rendere costosa la possibilità di licenziare un lavoratore, attraverso la corresponsione di indennizzi o l’obbligo al reintegro, significa proteggere il posto di lavoro, ma non il lavoratore. Lo stesso si ha limitando il periodo di prova o la durata o l’utilizzo di contratti a tempo determinato.
In Italia ci sono protezioni del posto di lavoro. Molto minori sono le protezioni dei lavoratori licenziati in collettivo o per giusta causa. Manca un sistema adeguato di ammortizzatori sociali.
Cosa succede se le imprese competono in un mercato concorrenziale per i prodotti ma il salario è determinato da una contrattazione collettiva centralizzata ed è quindi più elevato del salario concorrenziale? Nel breve periodo le imprese, a parità di salario, licenziano meno, ma assumono meno. Nel medio periodo si avrà minore occupazione (nel medio periodo l’occupazione è determinata esclusivamente da quanto le imprese assumono a dati livelli di protezione.)
Inoltre la produttività del lavoro media nell’economia è ridotta da una maggiore protezione dell’occupazione, poiché i lavoratori non sono assegnati alle imprese la cui produttività dipende dalle caratteristiche dei lavoratori: queste emergono dopo che sono stati assunti ma da quel momento non si muovono in base alla produttività loro e delle aziende.
Cosa succede quando si introduce flessibilità? Si crea un sistema duale in cui un gruppo di lavoratori è protetto e l’altro no. Le imprese a questo punto assumeranno precari e licenzieranno loro per primi a fronte di shock negativi anche se questi fossero più produttivi dei protetti. Nel medio periodo la protezione dell’occupazione nel settore protetto fornisce incentivi alle imprese a strutturare le proprie operazioni attorno a lavori offribili a precari. Questo riduce la domanda di lavoro a tempo indeterminato da parte delle imprese. I posti non precari andranno, in preferenza, a lavoratori maturi, esperti, istruiti, che bbianmo poca mobilità tra imprese e dentro e fuori del mercato: insomma saranno penalizzati giovani e donne.
Dati e teoria vanno d’accordo. Più protezione del posto di lavoro implica una minore velocità di riallocazione de lavoratori, una più lenta creazione di nuovi e distruzione di vecchi posti di lavoro, una minore occupazione e una maggiore disoccupazione per giovani e donne, una maggiore prevalenza di contratti a tempo determinato, una maggiore occupazione di lavoratori istruiti in posti di lavoro protetti. Questi effetti sono più forti quanto più importante è la contrattazione collettiva.
Che succederebbe a ridurre la protezione del posto di lavoro? Più lavoratori perderebbero il lavoro, più persone ne troverebbero uno, si ridurrebbe la durata della disoccupazione, aumenterebbe la produttività dell’economia (per maggiore efficienza del processo di riallocazione di lavoro e capitale), aumenterebbero quindi i salari, giovani e donne e gruppi marginali avrebbero da guadagnare (maggiore occupazione e minore durata della disoccupazione.) I contratti a tempo indeterminato aumenterebbero. Dato che in ogni riforma ci sono vincenti e perdenti ci sarebbe chi perde e per questo occorrerebbe procedere a una riforma degli ammortizzatori sociali.”
Del resto come ha scritto qualcuno nel blog Noisefromamerika.org, in un post di cui non ricordo il titolo: “1.5 miliardi per Alcoa. 0.6 miliardi per Carbosulcis. In tutto quanti lavoratori sono salvati: mille? Con quei soldi si sarebbero creati posti per cinque, diecimila persone, e non posti di lavoro sussidiati perché improduttivi, ma veri, economicamente sostenibili e produttivi. Purtroppo non sentiremo mai le proteste di chi non ha un lavoro perché i risparmi degli italiani sono stati sprecati in questo modo. Nessuno sentirà mai gli scioperi dei lavoratori delle aziende che hanno dovuto chiudere per la pressione fiscale indotta da questi sprechi.”