Quando fai il tuo primo corso di tennis ti viene spiegato come colpire la palla, come muovere il braccio, come tenere la racchetta, dove deve finire una volta colpita la palla, che movimenti devi fare con le gambe. Insomma, la tecnica.
Tu provi, riprovi, riesci a buttare la palla di là, a giocare, a vincere anche qualche partita, ma sai che tra la tua tecnica e quella perfetta c’è una distanza abissale.
Poi vedi giocare tanti tennisti, anche bravi, e vedi che loro hanno accorciato quella distanza.
Un giorno, finalmente, ti decidi ad andare a Roma a vedere gli internazionali dal vivo.
Così finisci insieme a un numero spropositato di spettatori e di bambini cacciatori di autografi per qualsiasi allenamento o partita di qualificazione in corso su qualsiasi campo. Così ti trovi immerso in un’autentica festa del tennis, se non dello sport, che non pensavi fosse così emozionante da vivere.
Così vedi un numero sconvolgente di tennisti più o meno forti allenarsi, fare shopping, stare negli spalti o giocare. Nel ping pong che fai muovendoti da un campo all’altro, da un negozio all’altro, da una frittura di pesce napoletana a un pane cunzatu siciliano, da un parco all’altro, da un allenamento all’altro (Eugenie Bouchard due volte e lunghe, Roberta Vinci che si ferma anche un’ora a giocare coi bambini, Sara Errani, Thomas Berdych, che gioca anche col pubblico quando colpisce delle lattine con le proprie battute), da una partita all’altra (Donati, Colmegna, Fritz), vedi accorciata come non avevi mai visto prima, dal vivo, la distanza tra l’idea di tecnica e la sua realizzazione. Il rovescio in back di Roberta Vinci che passa un filo sopra la rete e finisce sulla riga di campo opposta è la “perfezione del rovescio in back.”
Poi, in un centrale strapieno, entra Roger Federer.
Basta il primo tocco di palla per restare a bocca aperta, a occhi spalancati, per commuoversi pure. Lui fa quello che si deve fare. Tutto quello che era nella tua testa, lui lo fa. Lo fa senza togliersi nemmeno la giacca. Una mezzora da urlo. Da pentirsi, come al solito, di non averlo visto giocare prima di adesso. La mezzora più bella mai vista giocare dal vivo. Ed era un allenamento, capite? Come diceva DFW, vedere Federer giocare a tennis è come vivere un’esperienza religiosa. Il pubblico ammirava i suoi colpi in silenzio. Prima di entrare, c’erano stati applausi e cori. Poi, il primo colpo, i primi oooh con delle volée superbe o dei rovesci a una mano come dio comanda e quindi il religioso silenzio. Perfino i bambini stavano muti.
Stavano osservando, stavamo osservando estasiati la perfezione. Quella distanza tra l’idea di tennis e la sua applicazione pratica si era annullata.