Quali sono stati i giudizi a caldo dopo l’accordo siglato a Parigi sulla lotta degli Stati ai cambiamenti climatici?
Greenpeace e 350.org segnalano che i combustibili fossili sono dalla parte sbagliata della storia.
“Questo testo marca la fine dell’era dei carburanti fossili, non c’è modo di raggiungere gli obiettivi enunciati in questo accordo senza tenere carbone, petrolio e gas nel terreno”, ha dichiarato May Boeve, direttore esecutivo di 350.org.
“Secondo il WWF si tratta di un “forte segnale”, mentre, secondo ActionAid il testo non è abbastanza ambizioso. Oxfam sostiene invece che i paesi ricchi non hanno promesso abbastanza finanziamenti ai paesi in via di sviluppo per bilanciare le perdite che subiranno per l’utilizzo di macchinari meno inquinanti ma più costosi.
Secondo Gianni Silvestrini: “un altro aspetto riguarda la necessità/possibilità di rileggere gli investimenti di lungo periodo, dai rigassificatori agli oleodotti, dalle centrali alle autostrade, in relazione alla loro coerenza con un percorso di decarbonizzazione per evitare che risultino inutilizzabili, sottoutilizzati o, peggio, controproducenti.
Dall’esito della COP21 viene poi un colpo molto duro ai combustibili fossili, destinati sostanzialmente a sparire in poco più di un cinquantennio. La credibilità degli investimenti in questo settore calerà e l’immagine delle multinazionali del settore verrà minata se non cambieranno rapidamente strategie, mentre il movimento “Divest fossil” acquisirà forza e credibilità. Centinaia di miliardi di dollari cambieranno destinazione a favore delle rinnovabili, dell’efficienza, della mobilità elettrica. Un nuovo contesto che consentirà di contenere le tensioni internazionali e di ridurre le diseguaglianze.”
Un articolo su Bloomberg si pone su questa lunghezza d’onda.
“Salvare il mondo non costerà poco. Se vendi petrolio, carbone o auto old fashioned, l’accordo minaccia dei disastri per te. Per chi produce o progetta pannelli solari, domotica ecosostenibile, illuminazione efficiente ecc. è un potenziale miracolo. L’accordo accelera l’investimento in tecnologie rinnovabili se verrà imposto un prezzo al carbone.
Le imprese minacciate da un mondo decarbonizzato dovranno rifocalizzare il proprio core business.
Le utilities, pure, dovranno rinnovarsi. RWE AG, una utility tedesca ha approvato un piano per dividere la società in due: una focalizzata sulle rinnovabili e sulle grid e l’altra sulle fonti convenzionali.
Le fonti fossili, però, soddisferanno ancora il 75% della domanda di energia primaria nel 2030. Il gas è l’opportunità del periodo di transizione. Gli investimenti andranno comunque verso l’energia verde.
Milioni di lavoratori subiranno delle conseguenze negative.
Il Canada intanto, ad Alberta, ha alzato le tasse sul carbonio. L’idea è di aiutare a fare gli investimenti in tecnologie pulite, efficienza, rinnovabili.”
Il commento più equilibrato è quello di Michael Levi nel blog CFR. (I link si trovano in fondo all’articolo.)
“L’accordo è potenzialmente storico. Non segna la fine delle fossili e non poteva certo salvare il pianeta da solo. Invece stabilisce un framework per la trasparenza e la revisione delle attività che le nazioni metteranno in essere per tagliare le emissioni. Inoltre incoraggia un processo di sforzi più forti nel tempo.
I precedenti negoziati si focalizzavano sulle diverse responsabilità dei Paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo. Quelli sviluppati erano obbligati a raggiungere dei target da delle leggi internazionali. Stavolta tutti i Paesi sono invitati a ridurre le emissioni e non ci sono obblighi. In fin dei conti le violazioni delle leggi internazionali anche vincolanti sono frequenti. Invece nei due anni passati molte nazioni che sapevano di dover presentare dei piani di taglio delle emissioni a Parigi hanno compiuto diversi sforzi.
Le maggiori barriere all’azione sono domestiche, non internazionali, quindi è preferibile che il modo di raggiungere gli obiettivi venga deciso a livello nazionale. La paura di punizioni, peraltro, potrebbe portare a stabilire degli obiettivi non ambiziosi.
Un aspetto positivo è che anche i Paesi non sviluppati devono darsi da fare, essere trasparenti e rendicontare i propri sforzi.
Adesso bisogna vedere come i media descriveranno l’accordo, come le parti si presenteranno ai successivi incontri, come l’opinione pubblica delle varie nazioni reagirà ai vari provvedimenti.
Per ora l’accordo merita degli applausi. Suona come un fondamento per la cooperazione internazionale sul clima molto più di quanto facesse il protocollo di Kyoto. Sembra essere più legittimato e quindi più potente rispetto a Copenaghen. Per quanto era ragionevole aspettarsi, Parigi è stata un successo. Adesso arriva il difficile: costruire quanto è previsto dall’accordo.”
Un giudizio positivo da rimarcare, da Vox, è il seguente:
“Pensiamo alle nazioni coinvolte nell’accordo come se fossero degli atleti fuori forma che hanno cercato di qualificarsi per una manifestazione mondiale in staffetta e abbiano fallito finora. L’accordo di Parigi non impone a queste persone di allenarsi più duramente. Però fa mettere i loro nomi su una lavagna, ne verifica i progressi, stabilisce degli aiuti monetari verso chi non può permettersi gli allenamenti e facilita la pressione degli uni sugli altri. Ovviamente la parte cruciale restano gli esercizi da fare e questi dipendono dagli sforzi e dalle capacità dei singoli individui. Però tutto il resto può aiutare.”
Tutti i commentatori sottolineano che l’importanza dell’accordo è data sostanzialmente dal fatto che è stato sottoscritto da tutti i paesi partecipanti, compresi i Paesi emergenti e quelli finora più riluttanti, come l’India (che ha comunque detto che prima penserà a sradicare la povertà nel suo Paese e poi ad abbassare le emissioni.)
E’ stato superato il blocco che finora contrapponeva la Cina agli Stati Uniti, per esempio. Dice infatti Jeffrey Sachs:
“Il Senato americano rigettò il protocollo di Kyoto anche perché non prevedeva impegni analogamente stringenti per la Cina, che a sua volta diceva di non fare parte degli accordi e soprattutto di essere più povera.
A Parigi si sono tolti i blocchi che hanno impedito agli accordi precedenti di concretizzarsi compiutamente. Le ragioni sono tre:
la Cina è cresciuta economicamente ed è il principale emittente di gas serra nel pianeta: non può più accusare di questo gli Stati Uniti.
La Cina è inoltre soffocata dall’inquinamento e le regioni più aride sarebbero vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Infine la diplomazia ha avuto molti successi: le idee e il lavoro di Fabius e di Ban Ki Moon e le telefonate tra Obama e Xi Jinping sono servite a qualcosa. La diplomazia ovviamente non basta. Il successo adesso dipenderà dalle politiche che veranno implementate nei prossimi decenni: regolamentazioni sugli impianti fossili, miglioramenti tecnologici, eliminazione dei sussidi alle fonti fossili, piani di azione a livello locale che comprendano le smart grid e la mobilità elettrica (o incentivi per una mobilità diversa, come suggerisce Greenpeace.) mercati finanziari che disinvestano dal carbone e si spostino verso le fonti rinnovabili, disegno di percorsi a lungo termine per una decarbonizzazione profonda.”
Che dire, quindi? L’accordo è comunque stato raggiunto e senza quei compromessi non sarebbe stato firmato da tutti.
Secondo me gli obiettivi sono ambiziosi. I punti sono positivi, ma tutto viene lasciato alla buona volontà dei Paesi coinvolti. Il fatto è che i vincoli legali non sarebbero stati riconosciuti o rispettati e le sanzioni non sarebbero probabilmente state comminate. Le opinioni pubbliche possono dirsi favorevoli a qualsiasi cosa, purché non tocchino il loro portafoglio o il loro benessere, anche solo presunto.
I giudizi dipendono dalle aspettative: quelle che si avevano prima dell’accordo e quelle che si hanno sul futuro. Le mie erano negative, anche perché credo poco agli accordi tra Stati e agli Stati e ai loro governi, più capaci di creare problemi che di trovare soluzioni, spesso. Quindi sono soddisfatto, ma credere in questo accordo significa comunque fare una professione di fede.
Probabilmente, più che gli accordi tra politici e burocrati, saranno lo sviluppo economico, la convenienza economica, lo sviluppo delle tecnologie esistenti, l’innovazione tecnologica (privata e pubblica,) il gioco degli incentivi e dei disincentivi correttamente determinati (e la formazione delle aspettative) a rendere concreta la decarbonizzazione. E’ possibile che qualcuno, forse Apple o Google o chissà chi altro, scoverà una disruptive tecnology che acceleri la transizione a un mondo decarbonizzato.
Eliminare i sussidi alle fonti fossili (primariamente,), favorire il commercio internazionale e non mettere i dazi ai pannelli solari cinesi, adottare carbon tax o creare meccanismi di scambio delle emissioni che funzionino sono azioni concrete adatte per risolvere il climate change.
Quando il cambiamento sarà conveniente verrà da sé senza interventi esterni o necessità di sussidi. Il rischio è che i cambiamenti tecnologici ecc.che consentirebbero di risolvere il problema procedano ad un passo più lento rispetto al climate change.
Link:
http://www.ilpost.it/2015/12/13/accordo-sul-clima/
http://www.qualenergia.it/articoli/20151212-l-accordo-sul-clima-un-disastro-o-un-successo-insperato
http://www.qualenergia.it/articoli/20151213-quegli-aspetti-positivi-dell-accordo-di-parigi
http://blogs.cfr.org/levi/2015/12/12/two-cheers-for-the-paris-agreement-on-climate-change/
http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-12-14/big-oil-make-way-for-big-solar-the-winners-and-losers-in-paris
http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/Dalla-COP21-un-cambio-di-passo-ma-la-vera-sfida-inizia-ora/
http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/accordo-o-no-a-parigi-nato-un-movimento-globa/blog/55086/
http://www.greenpeace.org/international/en/news/Blogs/makingwaves/cop21-climate-talks-paris-negotiations-conclusion/blog/55092/
http://www.babel.cospe.org/2015/12/13/cop21-un-accordo-debole-clima/