“http://www.nysun.com/arts/shock-jock/63867/” con aggiunte mie.
Il libro di Naomi Klein “Shock Economy” cerca invano di screditare il sistema economico che ha prodotto l’America moderna, la Rivoluzione Industriale, gli alti standard di vita in buona parte del mondo.
Il libro ha una sua carica di energia e sicuramente mobiliterà molti dei suoi lettori ad alti livelli di rabbia e di azione. E’ probabilmente la lettura non fiction più piena di emotività che sia stata pubblicata nell’anno. Però quando si arriva ai messaggi sottostanti, e alle prove usate per sostenerli, il libro è un vero disastro nella materia “Economia.”
La tesi centrale della Klein ha i suoi meriti. Lei argomenta che le raccomandazioni di politica economica degli economisti favorevoli al libero mercato, come Milton Friedman, non sono molto popolari. Certamente lo stesso Friedman sarebbe il primo ad ammetterlo. La Klein va oltre e argomenta che una cospirazione di destra deliberatamente va a caccia di disastri o li persegue, in modo da imporre tali idee impopolari a una popolazione che in realtà non le vuole. Per esempio, secondo lei, l’Uragano Katrina ha portato alla privatizzazione di New Orleans e questa fu benvenuta per questa ragione. (Ndrr: cioè la gente ha benvoluto qualcosa che in realtà non voleva. La grande logica kleiniana colpisce ancora.) Tuttavia il libro non porta molte prove per cospirazioni attive, a parte un’affermazione vaga scritta da Friedman nel 1962:”Solo una crisi produce cambiamenti reali. Quando tale crisi si verifica, le azioni che vengono prese dipendono dalle idee che giacciono lì appresso.” (Ndrr: mai sentito parlare di crisi come opportunità? Perché ci sia progresso ci deve essere cambiamento. Perché ci sia cambiamento qualcosa del vecchio mondo deve finire. I movimenti del ’68 o del ’77 hanno usato momenti di crisi o le hanno appositamente create. Crisi e opportunità è uno dei simboli cinesi che vanno di moda negli ambienti radical chic. Che c’è di male in quella frase? Quello che ci vuole pretestuosamente leggere la Klein, forse.)
La maggior parte del libro è un tour emotivo di eventi di rilevanza globale avvenuti negli ultimi trent’anni: Katrina, l’invasione dell’Iraq, la tortura in Cile, il massacro di Piazza Tienanmen, il collasso dell’Unione Sovietica, gli attacchi dell’undici settembre 2001. Il libro non offre argomentazioni, ma solo una dadaesca giustapposizione di temi e di sviluppi che secondo la Klein vanno di pari passo con gli sviluppi del mercato globale. Al vertice di questa specie di rappresentazione teatrale starebbe Milton Friedman, come il demone capo della marcia globale verso la tirannia e lo squallore.
La retorica della Klein è ridicola. Per esempio attacca l’import basandosi sul fatto che la parola “Tank” appare nell’etichetta “think tank.” Nel suo libro, i sostenitori del libero mercato sono equiparati ai torturatori poiché sia il libero mercato che le torture non sono politiche che abbiano un sostegno popolare. (Ndrr.: sul fatto che il popolo non veda di buon occhio la tortura o il dagli al mio nemico ho dei forti dubbi.) Le correlazioni della Klein sono così untuose che è impossibile presentarle o criticarle nello spazio di una recensione.
Raramente viene dato il giusto risalto ai fatti più semplici, molti dei quali sono complicati dalla presentazione della Klein.
Prima di tutto i governi sono cresciuti in praticamente ogni Stato sviluppato del mondo, compresi gli Stati Uniti. (Ndrr.Basta guardare la crescita della spesa pubblica e della pressione fiscale in tutti i Paesi nell’ultimo secolo.) Non sembra proprio che una cospirazione dei sostenitori del libero mercato abbia portato loro al controllo di qualcosa di significativo nelle nazioni ricche.
Secondo. Friedman e gli altri economisti liberisti hanno continuamente richiamato ai limiti dei poteri dello Stato, incluso quello di torturare. (Ndrr: ribadiamo. E’ lo Stato tanto amato dagli statalisti che tortura. I liberisti vogliono la libertà individuale, non il potere di qualcuno di torturare altri.)
Terzo. Quando il raggio d’azione del governo si è ridotto in Cina e India e quando queste si sono aperte ai mercati, i benefici sono stati innegabili per miliardi di persone.
Quarto. E’ stato il New Deal a essere imposto in tempo di crisi. Il New Deal è stata la più grande restrizione al capitalismo nel ventesimo secolo in America e probabilmente questa “imposizione in tempo di crisi” è benvoluta dalla Klein.
Quinto. Molte delle crisi del ventesimo secolo sono state il risultato di politiche anticapitalistiche. La Cina stava per crollare a causa delle politiche omicide e tiranniche di Mao. La domanda di riforme capitalistiche giunse dal basso. La Nuova Zelanda e il Cile abbandonarono politiche socialisteggianti in favore di quelle liberiste perché le prime non funzionavano bene e conducevano a crisi economiche. (Ndrr.Altri esempi di misure protezionistiche che causano crisi e guerre si riscontrano prima delle due guerre mondiali. Le politiche peroniste di molti Paesi sudamericani hanno portato a disastri economici come quelli sperimentati negli anni venti nell’Europa Centrale che viveva di deficit inflazionistici. La stessa crisi del 2008 è causata da politiche sbagliate della Fed, che non è un ente liberista. Le crisi spagnola, irlandese, greca ecc.sono sostanzialmente state causate da eccesso di spesa, eccesso di debito, eccesso di liquidità immessa nel sistema, eccesso di corruzione, tutte cose per le quali non si possono che mettere sul banco degli accusati i governi.)
Il lettore cercherà invano una discussione intelligente di qualcuno di questi punti. Ciò che un lettore troverà sarà una serie di slogan prefabbricati, come il suggerimento che Margaret Thatcher abbia creato la crisi delle Falkland per massacrare i sindacati e spargere il capitalismo su un popolo che non lo voleva. (Ndrr. Infatti fu rivotata due volte. A prescindere dal fatto che grazie a quelle riforme il Regno Unito ha evitato di esser un paese fallito come l’Italia, che certe riforme non ha mai voluto farle. Oggi, quindi, tanti vanno a cercare lavoro là e nessuno viene qua.)
La risposta più immediata che possiamo dare alla polemica di Ms.Klein è ricorrere al conservazionismo vecchia scuola. Il liberale classico Hayek rigettava l’idea di buttare via o riformare le istituzioni sociali tutte in una volta. La lunga storia dei movimenti conservatori si poggia sulla moderazione nelle politiche sociali ed economiche. Quella tradizione suggerisce un approccio graduale anche all’adozione di un liberismo spinto agli estremi, non importa quanto questo possa essere valido in teoria (Ndrr: ma soggetto a costi di transizione.) La moderazione può essere il migliore argine contro i nostri stessi disastri. Un punto così semplice, però, non avrebbe probabilmente prodotto un best seller. Così la Klein parla di Friedman come di un mandante di torturatori. Il conflitto tra le preferenze democratiche e le prescrizioni politiche è, se lo è, un problema anche per la Klein stessa. Nel suo libro precedente, No Logo, aveva chiamato alle armi per una ribellione contro le imprese multinazionali e la pubblicità, che in realtà si sono dimostrate molto popolari tra i cittadini normali delle democrazie normali. Starbucks esiste quasi ovunque a seguito di pressioni dal basso e non a causa di decisioni top down che forzano i lavoratori sofferenti a subire dosi massicce e obbligate di capitalismo in periodi di crisi.
Joseph Stiglitz ha difeso il libro. “La Klein non è un’accademica e non dovrebbe essere giudicata come tale.” Così chi non è accademico può ricorrere a fatti falsi, appelli alle emozioni, pensieri scivolosi? Nel fare affermazioni di tipo economico, la Klein chiede di essere giudicata su standard seguiti dagli economisti o almeno su standard di verità o falsità. Stiglitz continua: “In molte parti del libro, lei ipersemplifica, ma anche Friedman e altri suggeritori di terapie shock sono stati colpevoli di ipersemplificazioni.” Siamo arrivati al punto di dover citare gli errori di un punto di vista per scusare quelli di un altro?
Con “Shock Economy” la Klein è diventata il tipo di brand di cui si lamentava in No Logo. Un brand offre un’immagine semplificata anziché evidenziare la complessità, i dettagli e gli inevitabili trad off di un prodotto. La Klein ha detto al Financial Times: “Ho smesso di parlare dei brand due settimane dopo che No Logo è stato pubblicato.” Lei ha ammesso che i brand non erano il suo vero target, ma un modo conveniente per attaccare il capitalismo più in generale. Nella stessa intervista la Klein ha rimarcato: “Credo che le persone credano alle loro stronzate preconcette.L’ideologia può essere un grande motivatore per l’avarizia.” Questa sua stessa frase si attaglia perfettamente al suo libro e quindi a lei