there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

23 luglio 2016. Seconda parte. Bivi in bici, Fjordsafari e cinesi strani alla stazione di Voss.

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Bergen. 23 luglio 2016. Continua dal post precedente.
Scendo dalla Flamsbana.
Siamo un gruppo di una decina di persone, tra cui una bambina francese di dieci, altre due francesi adolescenti, tutte coi rispettivi genitori, due coppie anziane di americani, un australiano e due o tre inglesi.
La strada è tutta in discesa. Sono undici chilometri. In bici ci muoviamo a ridosso di fiordi, cascate, fiumi, cavalli, casette, villette, buoi, trattori con adulto che porta un bambino inzaccherato di fango che ride, barche in garage, panorami ampi, panorami ristretti, ponti. La varietà di cose da fare rende onore a quanto scritto sulla Rough Guide: non vi fate prendere dalla frenesia di saltare da un fiordo a un altro, ma fate più attività diverse nella regione in cui vi trovate, anche perché gli spostamenti richiedono tempo ecc. Take your time and take it easy, come è anche scritto nel sito del b&b da provare, l’Eplet a Solvorn.
Torniamo a noi. Esistono i bivi nella vita e nelle strade.
Primo bivio. Pronti, attenti, via. Partiamo in bici. Cento metri. Finisce la parte di pianura. Dobbiamo girare a destra e imboccare la discesa o continuare dritto? Il gruppo si ferma. Qualcuno vede il cartello Flam che indica di proseguire dritto e così facciamo.
Secondo bivio. Dovremo salire o andare dritto? Chiediamo a due escursionisti che ci chiedono informazioni pure loro. Noi non sappiamo dargliele. Loro sì. Andiamo dritto e, tra stop e foto che ognuno fa per conto suo, ci dividiamo.
Terzo bivio. C’è un cartello con scritto Marina Apartment e il disegno delle navi, sulla strada. Dovrò prendere quella o continuare dritto? Lo chiedo a un passante dotato di cane al guinzaglio che appena mi vede scodinzola. Il cane, intendo. Il passante invece mi dice che tutte le (due) strade portano al porto. Quindi al porto ritrovo una delle ragazze francesi. Dove dobbiamo posare le bici? Le posiamo tutti su una roccia. Arriva la guida della Norway Active e dimostra che non avevamo capito dove dovevamo metterle, cioè dall’altra parte della ferrovia. Poco male.
Passiamo dunque al Fjordsafari, che ho già descritto nel post per punti delle ultime giornate, ma di cui adesso copincollo comunque gli appunti scritti subito dopo quell’esperienza.
Ogni tanto va veloce, cerca di farci ballare tra onde che non ci sarebbero se non le creasse lui, tanto piatto è il mare. Ogni tanto cerca di farci prendere degli schizzi per forza. A volte gira all’improvviso. Per farci vedere animali o cascate o farci andare sul lato di un fiordo.
Abbiamo cambiato il gommone. Rischio di affondamento? Abbiamo cambiato saltando da un gommone all’altro dopo esserci fermati proprio sotto sotto una cascata.
Il monte di fronte. Sembra impossibile che ci sia uno spazio a sinistra e invece c’è. Viene voglia di fare il bagno. Quest’acqua così verde è bellissima e luccica col sole di oggi. Peccato abbia lasciato il telefonino dentro la tasca dei pantaloni che sono coperti dal giacchetto mio e dalla suite che ci hanno fatto indossare insieme a guanti, cappello, occhiali da sole e giubbetto di salvataggio.
Ai nostri lati ci sono due kayakisti. Come faranno quelli in quella montagna così ripida a fare trekking? Tra l’altro si arriva a quella casa su quella montagna solo facendo trekking da sopra e kayak da sotto. La casa l’ha costruita uno che si è ribellato alla pretesa del governo di fargli pagare le tasse. Oggi è un b&b.
E’ come se stessimo scivolando su un pavimento tirato a lucido in cui puoi specchiarti e restare incantato a guardarlo per ore.
Siamo nel punto in cui i tre fiordi si incontrano. Facciamo due volte il giro completo per avere una panoramica completa. Ci sono due fiordi alle spalle, separati da un’isolotto. Uno dei due fa poi una curva. Di fronte a noi c’è il fiordo che va al mare. Noi entriamo nel Naeroyfjord. Strettissimo, bellissimo, tra montagne aguzze. Questi posti sono emozioni pura.
Adesso il gommone sta fermo. Ascolti i racconti della guida e ammiri il paesaggio dal pelo dell’acqua.
Ci sentiamo liberi. Solo acqua, cielo e verde attorno a noi. Le montagne a proteggerci e le vie di fuga a permetterci di muoverci in ogni direzione.

“Qualunque cosa vi aspettiate dalla Norvegia, la realtà sarà migliore.” E’ questo il giorno in cui ho pensato di più alla verità di questa frase. Basti pensare anche al panorama che si vede dall’hotel Stalheim, che abbiamo passato in bus da Gudvangen a Voss. Le foto rendono solo in parte l’idea. Vedere certi paesaggi dal vivo non è la stessa cosa che guardare una foto.

In bus leggo i cartelli per il vicino Sognefjelt e i paesini con le case attaccate sulle montagne: Vik, Vinje.
Nel tragitto verso Voss si vedono anche degli spazi verdi sconfinati che mi ricordano l’Irlanda. Voss, poi. La città degli sciatori, nel senso che i campioni norvegesi dello sci vengono tutti da queste parti, ho letto. Qui esiste un vero e proprio centro del paese, con negozi, comprese pizzerie e kebab, anche se prevalgono i negozi sportivi.
Sul lago vedo gente che si alza in volo col deltaplano. Attorno al lago ci sono i soliti escursionisti-ciclisti-canoisti-barcheggiatori-spettatori.
Sarà il caldo, ma ho molta sete e ho finito l’acqua nella borraccia. Mi tocca farlo. Mi tocca comprare una bottiglietta d’acqua al modico prezzo di trenta corone (più di tre euro. Mi consolo pensando che a Parigi sarebbe costata quattro euro.) In coda alla cassa del negozio dentro la stazione in cui compro la bottiglia, ci siamo io (tempo di esecuzione dell’acquisto: quindici secondi,) una ragazza che compra l’accendino (dieci secondi, perché non ha nemmeno da avere il resto) e un uomo cinese. Lui è il primo dei tre a fare l’acquisto. Sono entrato in coda che mancavano dieci minuti alla partenza del treno. Sono uscito dalla coda che mancavano due minuti alla partenza del treno. L’uomo aveva comprato tre borsoni di pelle e una giacca di pelle. Ha voluto tre borse in cui mettere gli acquisti. Non rispondeva alle domande della commessa, perché non le capiva.
“Devi inserire il pin code.”
“…”
“Pin code. Hai presente?”
“…”
“Numeri. Numbers.” La commessa mostra la macchinetta del pos al tipo. Il tipo digita.
“Ok. Tenga la ricevuta.”
Sguardo dubitativo del tipo.
“Non si preoccupi. E’ per l’aeroporto. E’ la conferma d’acquisto. La conservi.”
Lui alla fine si decide ad andarsene. Lo vedrò salire nel mio stesso treno, quello per Bergen, poi lo sentirò urlare qualcosa dal treno a una donna che lo stava chiamando dalla porta d’ingresso della stazione, quindi lo vedò spiccare un salto e andare verso la donna. Di loro poi non se ne è saputo più niente, anche perché sicuramente non hanno preso quel treno.
E così, tra altri bei paesaggi e gruppi di giovani viaggiatori con zaini, cibo, un po’ di sonno, qualche immancabile bici o immancabile passeggino, sono ritornato a Bergen.

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