there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Silvia e Roberto

SILVIA E ROBERTO

Un giorno nella vita intensa e disordinata di roberto, per gli amici roby, fece la sua apparizione un bacio. La sua prima reazione fu di stupore, il primo gesto naturale che gli venne fu di ritrarsi, quindi comprese che era successo davvero e le sue energie si concentrarono sulla lingua di silvia. Tutto il corpo compresso su quello di lei, con un probabile rischio di soffocamento e schiacciamento, tanto che lei dovette iniziare a guidarlo. A dirgli di stare calmo e di ricominciare. Come se si trovasse di fronte un’auto da rodare anziché un ragazzo venticinquenne. Dopo i primi due tentativi non proprio riusciti, insomma, roberto e silvia si baciarono. Come miliardi di altre persone nel mondo, potremmo dire, per non far credere loro, soprattutto lui, di essere il centro dell’universo.
“Ehi!”, fu l’unica cosa che riuscì a dire, ma lei, alla fermata dell’autobus, in attesa di tornare a casa dopo il corso di teatro, gli intimò di fare silenzio. Si baciarono di nuovo, con meno foga e più condivisione.
Quando lei decise che era tutto finito, lui restò imbambolato e zitto e non ebbe il tempo di pensare a niente. Infatti silvia esplose in una risata fragorosa. Rise a lungo. Non smetteva di ridere. Continuava a tenergli ferme le braccia, a strattonargliele, anche a gettarliele al collo, ma respingeva ogni suo tentativo di rientro in campo dopo l’intervallo. Si strinse a lui, gli dette un bacio sulla guancia e continuò a ridere furiosamente.
“L’autobus!”. Disse. Salì. Gli buttò un bacio.
Lui iniziò a sognare. Arrivò il suo autobus e tornò a casa.
Come fare, adesso?, pensava. Era più che contento. Aveva il cuore in subbuglio e la testa o troppo piena o troppo vuota, concentrata comunque su quel bacio.
La settimana successiva lui scrisse soltanto un messaggio, dopo averle chiesto l’amicizia su Facebook, in cui domandava in modo ironico e un po’ teatrale se fosse stato possibile rivedersi. Lei rispose che le faceva piacere la considerazione, ma sarebbe dovuta andare per lavoro in Spagna e quindi non avrebbero potuto rivedersi fino al lunedì successivo. Cosa che accadde, ma non riuscirono a parlare. Lui era abbastanza scostante, chiuso, temeva di starle addosso e quindi le stette lontano tutta la sera, pensando che fosse lei a non volerlo avvicinare. Lei si comportò con tranquillità e non dette troppo peso al fatto che roberto stesse un po’ sulle sue.

Tornarono in quattro verso la fermata del bus. Incontrarono un clochard che chiese a loro se parlassero in italiano, ma soltanto una ragazza si fermò, invitandolo a rivolgersi alla Caritas, con quel freddo. Finì che lui le offrì una coperta che la proteggesse nel percorso verso casa. Questa scena colpì roberto,
Alla fermata, stavolta, c’era anche lorenzo, un altro partecipante al corso di teatro, così roberto stette zitto, pur muovendosi avanti e indietro col corpo. “Mi scappa la pipì”, inventò come scusa, plausibile visto che alla stazione non ci sono bagni pubblici aperti la notte, neppure a pagamento. Intanto vedeva gli altri due parlare e lei ridere e lui sfiorarle il braccio. Si rabbuiò sempre di più in viso finché giunse il suo autobus e si immaginò loro due a baciarsi e poi innamorarsi e poi e poi e poi.
Il giorno dopo fu lei a farsi viva e quindi a renderlo di nuovo felice, alla lettura dell’arrivo del messaggio, salvo deluderlo con “sai, non so cosa mi è preso l’altra volta, ma ti capisco. Penso di aver fatto uno sbaglio. Perdonami: non avercela con me, ma non ti fare delle illusioni. Se vuoi, restiamo amici come se non fosse successo niente.”
Poteva dirlo subito, pensò lui, che la sera non andò a una festa, si immalinconì con della musica e infine pianse. Dopo tutto ciò reagì: “Almeno vediamoci”, scrisse. silvia acconsentì.

L’appuntamento era a Campo di Marte il giovedì sera alle nove. Furono ambedue puntuali. Mangiarono un gelato e lui impedì che iniziasse il solito tira e molla dell’offro io, non importa, che a lui non riusciva mai, andando subito slla cassa a pagare. Si parlarono un po’ e lei gli spiegò che forse era soltanto un po’ troppo che non baciava un ragazzo e le spiaceva di averlo usato e cose del genere. Lui ringraziò per la sincerità, disse dei pianti, lei ci rimase male. “Che stupida!”. “No, dai non importa. Un giorno ne rideremo. Anzi ridiamone subito.”

Non saprebbe dire come, ma roberto ebbe un’uscita geniale, almeno dal suo punto di vista: “Però scusa perché non ci ribaciamo? Metti che adesso sia io ad averne bisogno.”
“Dai! Detta così mon vale.”
“Hai le labbra sporche di gelato.”. silvia se le leccò.
“Adesso no.”
“Ma giù verso il mento hai ancora un po’ di bava alla stracciatella.”
“Dai! Che schifo!”, disse silvia ridendo.
“Lascia fare a me.”, fece lui sentendosi Clint Eastwood in un film western.
“Dai, scemo!”
roberto la tirò a sé e la baciò.
“Uno a uno”, disse lui, dopo. Aveva il cuore in allarme.
Lei si mise a ridere e a piangere contemporaneamente. “Cretino. Così rovini tutto”
“Eh? Ma se non è iniziato niente.”
Lei si alzò di scatto, si mise la borsa a tracolla, “stai costì” gli fece e iniziò a camminare a passo svelto verso la stazione. Lui restò lì con la frequenza cardiaca a duecento battiti al minuto, ma senza darlo a vedere. Aveva una paura travolgente: che lei non tornasse. Non poteva farlo. L’ultima mossa doveva spettare a lui.
silvia tornò e aveva di nuovo un’espressione accomodante. Gli si sedette accanto, lo abbracciò tirandolo a sé e gli carezzò la guancia, mentre gli teneva la faccia sulla spalla, come un’orsacchiotto o un bambino, più che come un uomo che aveva baciato due volte.
“Dai su. Uno a uno.”
Lui arebbe voluto passare in vantaggio ma alla sua mosse lei si scostò. “No, basta! Triplice fischio. Se ci riprovi cartellino rosso.”
“Allora riprovaci te”, disse lui sorprendendosi prima di averlo detto e poi di sentirsi di nuovo attorcigliato a lei e coinvolto da una passione che valeva, per lui, tutti i baci mai scambiati nel mondo.
Passarono altri minuti di silenzio. Lui era come se avesse fumato il calumet della pace. Lei stava bene. Temeva di essere giudicata facile o strana, ma aveva accanto a sé, in quella panchina di fronte allo stadio di atletica, un tipo più strano di lei e con cui si stava trovando bene. Era certa che avrebbe acconsentito a ogni sua bizzarria.
“Ho vinto. Due a uno.”
Stavolta fu lui a ridere. “Grazie. È bello bello bello. Perché non ..”?
“Stai calmo, però, adesso. Oh. Si è fatto tardi. Sono le undici e mezzo. Devo andare a casa. Ho il bus.”
“Andiamo a piedi. Ti accompagno.”
“Ma poi come fai ad andare a casa tua?”
“Sono due chilometri a piedi: che vuoi che siano? In venti minuti sono a casa. Vorrei esserci con te.”.
“Uuuh. E questa? Ti meriti un bacio sulla guancia.”.
“Sì, ma cioè. Adesso dobbiamo scriverci? Ti mando ogni tanto dei messaggi su facebook con scritto ho voglia di baciarti vediamoci?”
“Haha. No dai. Lasciamo che il fiume scorra.”
“ma io…”.
“ma tu vuoi delle sicurezze. Lasciati andare. Se vuoi baciarmi non importa che mi faccia una richiesta su carta bollata e controfirmata, ma sappi che potresti anche ricevere uno schiaffo perché quel giorno mi girano o mi è venuto il ciclo.”
“Ah. Il terrore degli uomini.”
“Ecco il solito maschilista. Chi sta da cani siamo noi.”
“Ohi ohi ma…”. ”
E dai: non importa che cerchi di spiegare o giustificare sempre. Non dare peso eccessivo a ogni parola.”
“Ho voglia di baciarti”.
“Mi si rovina il rossetto”.
Si avvicinò e lei lo respinse. “No!”
“Va bene. Buona quella del rossetto. Ehm, ma perché l’altra volta ti sei messa a ridere? Colpa mia?”
“Allora? Te l’ho detto poco fa…”
“Va bene va bene come vuoi tanto comandate voi.”
“Ecco. Bravo. La cosa migliore che mi ha mai detto un essere maschile. Eccoci a casa.”
“Si salutarono. Lei non glielo aveva detto, ma era stata bene e aveva capito di voler continuare così. Lui era stranito e confuso, ma anche molto felice. Scrisse subito un messaggio alla sua amica Clara. “Come mai non le ho chiesto nemmeno il numero di telefono?” Si disse lui.
“Non mi ha chiesto subito il numero di telefono. Bravo!” Si disse lei.

Si rividero a teatro, il lunedì successivo, dopo aver avuto alcune conversazioni su internet con scambi di numeri di telefono, indirizzi email e nickname su skype. Fu fatta un’esercitazione a coppie dal titolo “La ragazza trova delle scuse per non mettersi insieme al ragazzo che la sta corteggiando e lui deve trovare una risposta che la contraddica”. Lui si gettò su silvia per fare coppia con lei e lei si sbizzarrì con talmente tante frasi da lasciare roberto a bocca asciutta o quasi.
“Andiamo a piedi?”, chiese lui una volta finito il corso. Lei acconsentì. roberto non sapeva bene cosa dire, ma voleva farlo. Lei se ne accorse.
“Dai, non essere così trattenuto. Lasciati andare. Che ti frega di fare o dire sempre la cosa giusta o quella che pensi che sia giusta per gli altri. Anche a teatro a volte vuoi strafare e altre ti blocchi a pensare. Sii te stesso. La gente si innamora di quello che fai vedere. Se sei te stesso, magari si innamora di te. Per quanto mi riguarda, sappi che ci sto bene con te, se ti interessa avere sicurezze, ma non saresti né migliore né peggiore se così non fosse. E neppure io lo sarei.”

“Uhm.” Erano vicino a uno dei parchi di Campo di Marte e roberto vide una margherita solitaria. La strappò alla terrra e la offrì ad silvia, che la prese sorridendo e ringraziando. “No, sai, magari sei allergica ai fiori o non ti piacciono certe romanticherie.”

silvia ruppe la margherita e la gettò a terra. “Ma porca miseria!”, urlò, “a parte la battuta, che poteva anche starci, ma non puoi sempre ironizzare o sminuire, che ne sai e soprattutto che cazzo te ne frega se mi piaccia o no ricevere i fiori. Non ha nessuna importanza. Hai fatto un gesto carino, comunque, e l’hai rovinato con le parole. Rilassati.”
“Be’. Scusa. Me lo dicono tutti di rilassarmi.”
“No, dai, scusa te, sono stata un po’ aggressiva. Cioè…poi…volevo dirti una cosa. Cerca di non idealizzarmi. Viviamo questa storia il più tranquillamente possibile. Hai presente la canzone della Bandabardo’ “Tre Passi Avanti?”
“Sì…uno indietro per umiltà.”
“Ecco. Da oggi, quella è la nostra canzone!”
“Mmm. Va bene. Ma…scusa, hai parlato di storia?”
“Sì, domani ho un esame.”
“Dai! Scema!”
“Non pensare che ti dia la soddisfazione di spiegarti.” Piuttosto: “Sei mai stato fidanzato.”
Lui disse di sì, fece anche dei nomi, poi ammise di non esserlo mai stato.
“Ah, ecco. Volevo vedere fino a quando eri capace di mentire.”, fece lei strizzandogli le guance.” Sono anche arrivata a casa. Ciao. Buonanotte.”
Passò una buona mezzora di coccole e baci, in viale Verga. Le poche persone che passarono di lì sorrisero e anche quelli che li vedevano dal 17.
“Vuoi dormire a casa mia? Non c’è nessuno. Non farti strane idee, però.”
Lui si ringalluzzì subito. Avrebbe voluto dire “Sììììì”, ma balbettò un “Ma”. Fu dopo che lei disse “Ah, va bene. Se non vuoi ciao” e aprì la porta che lui la prese per un braccio dicendole ansiosamente:”No, no, ci ho ripensato.”
“No, carissimo. Volevi subito dire di sì. Guardarti negli occhi aiuta.”
“Sai una cosa? Stasera a teatro ci siamo divertiti con quelle frasi. Quando hai risposto, sei stato divertente.”
“Anche te: sembrava che fossi espertissima di scuse. Sei bravissima, a parte la dizione.”
“Che palle voi toscani. Il che tu voi. Pensa al buongiorno di un meridionale, con la o aperta, come se davvero spalancassi una finestra e ti aprissi al mondo, pieno di sole, peraltro. Mica come il vostro o, chiuso come voi.” Lui sospirò, analizzò la libreria e cambiò discorso:
“Ma cosa stai leggendo?”
“Un libro di Mastretta.”
“Si innamorò come tutte le donne intelligenti. Come un’idiota. Che frase del cazzo.”
“Sì, ma sei un po’ una palla. C’è qualcosa che ti va bene al mondo?”
“Sì. Te.”
Smisero di parlare fino alla mattina dopo, quando ognuno dei due avrebbe voluto essere quello che portava la colazione all’altro e così si alzarono insieme in ritardo, dopo due suoni di sveglia.
Iniziarono a vedersi più spesso, a uscire insieme senza mai sentirlo come qualcosa di obbligatorio. A lui la gente diceva che aveva gli occhi a cuoricino quando parlava di lei, il che succedeva spesso. Diceva quello che voleva dire, ma non rispondeva che a monosillabi alle richieste altrui.
Lei aspettò qualche tempo prima di rendere pubblica la notizia tra i suoi conoscenti.
Lui continuò a vivere la sua vita, invitandola ovunque e accettando le sue proposte.
Un giorno, di ritorno da un trekking nelle Foreste Casentinesi, silvia disse: “Sai cosa mi piacerebbe? Fare il mozzo, imparare a navigare e poi passare qualche anno a lavorare in una nave.”
“Dai! Facciamolo!”, fu la risposta di roberto, che studiò tutti i percorsi e tutte le possibilità. Scrissero perfino al direttore degli Hurtigruten norvegesi, che non rispose, e al responsabile delle navi di Greenpeace proponendosi di fare i volontari alle isole Fiji, ma non ne fecero di niente.
Lo spettacolo teatrale, a giugno, fu un successo. Lui non aveva più motivo per essere geloso di lorenzo, la storia di roberto e silvia era ormai pubblica.

“Ma tu sei simpatico!”. Sono state queste le prime parole che Caterina rivolse a roberto dopo sei mesi che frequentavano gli stessi locali presso l’associazione Anelli Mancanti. Erano ad una festa per la laurea di una ragazza che frequenta la stessa organizzazione. Si trovavano in terrazza e rincarò la dose con Monica, la festeggiata: “Ehi! Ma lui è divertente!”. “Certo!”, fu la risposta,” Non lo diresti con quella faccia da pirla che ha”. roberto si ritrasse con una smorfia di dispiacere, ma poi fece una risata convinta. Da quel momento loro due fecero amicizia e conversarono tutta la sera Caterina aveva due occhi enormi, neri, uno sguardo che trasmette passione, una ragazza mora che avrebbe potuto fare la protagonista in un film del neorealismo italiano. Aveva delle sopracciglia lunghissime. Teneva i capelli raccolti ed era magra.
silvia, al contrario, era bionda ed aveva uno sguardo vivace e sbarazzino. Era anche dinamica nei gesti e nella voce. Lasciava i capelli liberi di fluire. Avevano ambedue ventisei anni.
roberto fu colpito dal fatto che Caterina si scrivesse degli appunti sulle mani, dal suo racconto del nonno tornato dall’Argentina in Puglia, dal suo ex ragazzo calciatore per il quale aveva imparato le formazioni di serie A a memoria. Inoltre conosceva le canzoni dei cantautori italiani degli anni Sessanta e Settanta. Grazie alla discografia di suo padre conosceva l’opera completa di Claudio Lolli, di cui ascoltava le canzoni per pomeriggi interi negli anni Ottanta. Lo fece ridere quando affermò, parlando della Puglia, che il Salento, da lui adorato, è un’illusione per turisti e lui ribatté con le disgrazie industriali di Taranto e Brindisi.
Si rinfacciarono le sbornie più assurde. Lei sosteneva che una volta aveva passato una giornata con un gran mal di testa per colpa di un bicchiere d’acqua, che aveva infranto il grado alcolico della serata. Un’altra volta aveva vomitato sul letto e per fortuna il suo ragazzo aveva pulito. “I ragazzi, in effetti, servono a questo”, In strada secondo Caterina non era giusto che tutti fossero ubriachi e nessuno si potesse sentire tutelato.
roberto era entusiasta della serata e della facilità di relazione che avevano. Uscirono, la accompagnò a casa, lei disse che non era giusto non essere tutelati in strada mentre passeggiano ubriachi e lui la abbracciò dicendo che l’avrebbe tutelata lui.
“Suoniamo e scappiamo?”, le chiese.
“Ma dai! Lo fanno le americane ubriache che escono dallo Space Electronics, sotto casa mia. Oppure fanno casino o scopano sul cofano delle auto, ma io non protesto anche se mi danno fastidio o non mi fanno dormire perché non è giusto rompere il cazzo alla gente che si diverte. Ma scusa. Tu stai lontano? Sono le due. Vieni a dormire con me? Sono da sola.”
Andarono a letto insieme e non si limitarono a riposarsi.
Il giorno dopo roberto era felice, anche se si sentiva un po’ in colpa, ma contemporaneamente cercava di giustificarsi: se silvia lo facesse ma restasse con me potrei accettarlo, no? Poi nessuno saprà niente.
Caterina ricominciò a non considerarlo, come se niente fosse successo. Se lui parlava, lei si metteva a ridere ma non sbocciò niente.
silvia giunse chissà come a conoscenza del fattaccio.
“Ci avevo creduto.”, gli rinfacciò in lacrime.
Provarono a scusarsi, a lasciarsi, a rimettersi insieme, ma il feeling era svanito. Presero strade diverse e dopo qualche tempo, quando lei trovò un altro ragazzo con cui stare insieme, acconsentì a tornare in contatto con lui, almeno online.
Si rividero cinque anni dopo. Lei stava scendendo le scale di un supermercato.
“Scusi, può portarmi le borse fino alla macchina, che mi si è addormentata la figlia e la porto in braccio?”
“Sì, certo!. Ma tu sei silvia!”
“Ciao! Questa è mia figlia Laura. Ha quattro anni. Come va? Ti leggo sempre su facebook. Vieni, grazie..”
“Mah. Sai.”, balbettò lui, travolto da un turbinio di emozioni.
“Be’. Adesso devo scappare”, disse lei, salendo in macchina. “Però risentiamoci. Guarda come dorme la piccola. Lei è il mio tesoro.”
“Be’, certo. E quindi sei sposata?”
“Mmm. No. Suo babbo mi ha aiutato solo a concepirla, ma non è un problema.”, disse in tono del tutto neutro, mentre infilava le chiavi sul volante.Si bloccò all’improvviso, alzando la testa come se avesse avuto un’idea geniale.
“roby?”
“Sì?”, chiese lui sorprendendosi dell’abbreviazione.
“Stai lì.” Lei scese, fece il giro della macchina, tirò roberto verso di sé, che all’inizio si restrinse in difesa, quindi si baciarono come ai vecchi tempi.
Lui non si rese conto di niente fino a che non vide più l’auto in lontananza. Non trattenne una lacrima. Poi gli rimase impressa a lungo l’ultima frase che aveva ascoltato:
“Grazie roby! Di essere stato l’unico che mi ha considerato per quello che sono.”

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