there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Acqua e sete nel mondo: non è tutto quel dramma che vi dicono.

| 0 commenti

Basiamoci su “Voltremont” e sui rapporti dell’Unesco e di WaterFootPrint.

http://www.unesco.org/ water/wwap/wwdr/wwdr3/tableofcontents.shtml.

http://www.waterfootprint.org/?page=files/home.
L’acqua, oggi come
duecento anni fa, ha un
elevato valore d’uso (più
elevato di quello del
petrolio e dei diamanti)
ma un basso valore di
scambio. Il paradosso è
risolto dal concetto di
scarsità: l’acqua ha
tutt’oggi un basso valore
di scambio perché ce n’è
molta ed è facile
procurarsela. La
sciatteria, invece, sta
nell’affermazione che nei
paesi sviluppati il cibo è
abbondante mentre
l’acqua sta diventando
scarsa. Basta pensarci
bene anche solo un
minuto per rendersi conto
che questo è impossibile:
per produrre cibo,
mediante agricoltura o
allevamento di bestiame,
ci vuole acqua.
Non lo diciamo noi.
Nel terzo rapporto delle
Nazioni unite sullo stato
mondiale dell’acqua,
pubblicato nel 2009, si
riporta che l’agricoltura
utilizza quasi l’ottanta
percento dell’acqua
consumata dal genere
umano, l’industria poco
meno del venti percento e
il resto (ossia la piccola
quantità che risulta
sommando il “quasi”
prima dell’ottanta con il
“poco meno” prima del
venti) è utilizzo urbano e
domestico. Insomma, se
c’è cibo logica vuole che
debba esserci acqua.
Eppure abbiamo tutti la
percezione che l’acqua
stia diventando scarsa.
Come mai?
La scarsità può essere
fisica (non c’è acqua)
oppure economica
(l’acqua c’è ma è mal
gestita: per esempio
mancano adeguate
infrastrutture per la
distribuzione, oppure
l’acqua viene impiegata
in maniera inefficiente
nel processo di
irrigazione). Ora, la
scarsità fisica non sembra
essere un problema.
Secondo il rapporto delle Nazioni Unite il genere
umano all’inizio del
ventunesimo secolo
prelevava meno del nove
percento dell’acqua che fa
parte del ciclo idrologico
(quella che, per
intenderci, arriva dalle
precipitazioni e dallo
scioglimento dei
ghiacciai). Anche se la
popolazione mondiale
aumenterà di un terzo da
qui alla fine del
ventiduesimo secolo e
anche se la domanda di
acqua aumentasse più che
proporzionalmente a
causa di stili di vita e
abitudini alimentari che
richiedono più acqua,
saremmo ben lontani
dalla soglia di scarsità
fisica dell’acqua. Quindi
la scarsità di cui stiamo
parlando deve per forza
essere scarsità
economica: l’acqua non
arriva dove dovrebbe, per
esempio a causa di cattiva
gestione delle risorse
idriche, e quando arriva
non viene utilizzata in
maniera efficiente.
Oppure, ci vuole tempo
perché la popolazione si
sposti nelle aree dove
l’acqua è relativamente
più abbondante, come
sempre è accaduto nel
corso della storia
dell’umanità (lo
testimonia, per esempio,
l’abbandono, tra il
dodicesimo e il
tredicesimo secolo, della
Mesa Verde nel deserto
dell’Arizona).
Possiamo sperare di
risolvere questo problema
di scarsità economica?
Certo che possiamo. Se la
scarsità fosse fisica
dovremmo rassegnarci a
veder crescere il prezzo
dell’acqua all’aumentare
della popolazione
mondiale come molto
probabilmente vedremo
accadere per il petrolio
entro i prossimi venti
anni. Ma se il problema è
scarsità economica si può
adeguare la disponibilità
di acqua senza che il
paradosso del valore
faccia costare l’acqua
come l’oro in attesa che,
come abbiamo
documentato sopra, la
popolazione mondiale si
stabilizzi alla fine del
ventiduesimo secolo. A
quel punto anche la
pressione sulle risorse
idriche si stabilizzerà.
Il rapporto dell’Unesco citato sopra
riporta un grafico (per chi
non si fida: figura 6.3 a
pagina 83) che mostra come
la quantità di acqua
utilizzata relativamente al
prodotto interno lordo sia
drammaticamente
diminuita in tutti i paesi
negli ultimi trenta anni.
Questo implica che
stiamo aumentando il
reddito mondiale più
rapidamente di quanto
stiamo aumentando il
consumo di acqua, e che
quindi quel maggior
reddito può in linea di
principio essere utilizzato
per migliorare la gestione
delle risorse idriche e la
relativa tecnologia. Non a
caso il rapporto delle
Nazioni unite enfatizza
nel primo capitolo gli
enormi benefici
economici e sociali
associati all’investimento
in acqua potabile. Anche
a tecnologia costante, poi,
ci sono ampi margini per
utilizzare più
efficientemente le risorse
idriche.
Il sito
waterfootprint.org
dell’Università di Twente
in Olanda riporta che la
quantità di acqua
utilizzata in media in
India e in Brasile per la
produzione di una data
quantità di riso è circa tre
volte quella utilizzata
negli Sati Uniti e in Cina.
Sempre India e Brasile
utilizzano per la
produzione di grano il
doppio dell’acqua
utilizzata da Stati Uniti e
Cina. E in India si
produce mais utilizzando
quattro volte la quantità
di acqua utilizzata nella
stessa coltura negli Stati
Uniti. Il messaggio è
chiaro: esistono già
tecnologie e metodi che
permettono di produrre
cibo (ricordate che
l’agricoltura utilizza
quasi l’ottanta percento
dell’acqua consumata dal
genere umano)
utilizzando molta meno
acqua di quanta si usa
attualmente in zone molto
popolose del pianeta.

Lascia un commento