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Lo stupore delle prese elettriche

Aiutare il sud? Lasciar fare al mercato

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Da “Sette peccati dell’economia italiana” di Carlo Cottarelli

Non si risolve il problema coi trasferimenti.

C’è un divario storico di reddito, produttività e occupazione.

Il reddito procapite del sud, anche tenendo conto del diverso costo della vita, è il 70% di quello del centronord.

Chi lavora al sud è meno produttivo e al sud lavroano meno persone rispetto alla popolazione. Il prodotto per occupato nel 2016 era del 23% più basso al sud. Su 100 persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni 69 lavorano, al nord. Al sud solo 47.

Il tasso di disoccupazione al nord est era del 7,3% al nord est. Il 20% al sud.

Rischio povertà: al sud 34% della popolazione, 11% al centronord.

La pa è regolata da norme di comportamento uguali per tutti: stessi orari di lavoro, stessi metodi di organizzazione, stessi criteri per la gestione del personale. Eppure c’è un divario di performance.

Evasione fiscale più alta al sud. Evasione iva 40% al sud contro 24% al centronord.

Più piccole imprese al sud

Indici di corruzione più sfavorevoli al sud

Giustizia più lenta al sud

Tempi di pagamento delal pa più lenti al sud

Ritardi nel completare opere pubbliche maggiori al sud

Malasanità peggiore al sud

Numero di dipendenti pubblici maggiore al sud. Regioni a statuto ordinario. I dipendenti nel 2015 erano 49,9 per centomila abiltanti al nord, 74,4 al centro, 98,5 al sud.

Più autoblu al sud

Negli ultimi decenni i conti pubblici del centro nord sono stati in ordine. Quelli del sud hanno hanno persistenti e ampi deficit. Il reddito del centro nord è più alto e con tassazione progressiva e spesa distribuita uniformemente sul territorio comporta un maggiore contributo delle aree più richce alal finanza pubblica. Però ci sono state politiche di sostegno al reddito mirate al sud, comprese politiche di eccessiva occupazione pubblica.

La diversità nel contributo che le varie macroregioni danno allo squilibrio complessivo dei conti pubblici italiani è stata ricostruita da tre professori dell’Università di Trieste (Luciano Mauro, Cesare Buiatti e Gaetano Carmeci) in due lavori relativamente recenti.12 Questi studi ci dicono che il deficit primario del Sud (la differenza tra spese non per interessi effettuate al Sud e tasse pagate dal Sud) ha oscillato tra il 20 e il 35 per cento del Pil del Sud tra il 1963 e il 1994 e tra il 15 e il 20 per cento nel periodo tra il 1995 e il 2009. Al contrario, il Nord ha prevalentemente presentato un surplus dal 1963 (con un deficit in soli quattro anni tra il 1963 e il 2009), mentre il Centro presenta risultati intermedi tra quelli delle altre due macroregioni. Queste cifre comportano che, senza il contributo del Centro-Nord, il Sud avrebbe avuto un debito pubblico rispetto al proprio Pil ben superiore a quello medio nazionale, mentre il Centro-Nord avrebbe avuto un debito molto inferiore a quello che attualmente pesa sull’Italia. Come ho già sottolineato a p. 26 del mio libro sul debito pubblico Il macigno (Feltrinelli, 2016), questo squilibrio non può implicare che il debito debba essere ora ridistribuito per macroregioni, come qualcuno talvolta suggerisce, perché lo squilibrio tra entrate e uscite a livello regionale era comunque conseguenza soprattutto di politiche decise a livello nazionale. Ma tale squilibrio è comunque indice di una profonda differenza nel contributo che le diverse regioni danno alla finanza pubblica e quindi dei massicci trasferimenti di risorse dal Centro-Nord al Sud che tali diversi contributi implicano.

Capitale sociale: è molto più basso al sud.

Capitale umano: peggiore al sud.

Divario demografico invece non c’è. Dal 2035 il sud dovrebbe diventare più vecchio del centro nord

Chiaramente se il sud avesse un reddito procapite superiore il reddito medio italiano sarebbe pari a quello francese.

Si avrebbero anche più entrate per lo stato.

Che fare

No ai trasferimenti

No ad agevolazioni fiscali

Sì a investimenti pubblici ma prima bisogna cambiare l’efficienza dell’amministrazione.

“Si dovrebbe lasciare più spazio al normale funzionamento del mercato economico. Le imprese investono per fare profitti e gli investimenti si muovono verso le aree dove è possibile farne. Ciò richiede che i costi, compresi quelli salariali, rendano conveniente l’investimento. Al momento nel Sud esiste un problema di costo del lavoro che è più serio del pur rilevante problema che esiste a livello nazionale da quando siamo entrati nell’euro (come vedremo nel prossimo capitolo). Il tema è molto delicato ma deve essere affrontato. La produttività e il costo della vita sono più bassi al Sud che al Nord. Pagare un salario di 100 al Sud è meno conveniente che pagare un salario di 100 al Nord se il lavoro è meno produttivo al Sud che al Nord. Al tempo stesso, con un salario di 100 al Sud, il lavoratore acquista più cose che con lo stesso salario al Nord. accordo raggiunto tra imprese e sindacati, si introdusse in Italia nel dopoguerra un sistema di parametrizzazione dei salari al costo della vita basato su diverse aree geografiche. Tale sistema, soprannominato con un termine derogatorio “delle gabbie salariali”, venne abbandonato tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta. Fa riflettere il fatto che è proprio da quella data che il processo di convergenza del reddito tra Nord e Sud che aveva caratterizzato gli anni cinquanta e sessanta si interrompe, anche se molte altre cause potrebbero aver influito su questa interruzione. Ma guardiamo avanti: restano importanti differenze nel costo della vita fra Nord e Sud, come abbiamo già discusso, ed è un fatto che i contratti nazionali finiscano quindi per comportare salari più elevati al Sud che al Nord in termini di potere d’acquisto, come sottolineato da un lavoro di Andrea Ichino, Tito Boeri ed Enrico Moretti dal titolo eloquente (Divari territoriali e contrattazione: quando l’eguale diventa diseguale). Risolvere il problema non richiede di tornare alle gabbie salariali, che sono troppo rigide per definizione. Quello che serve è lasciare spazio alla contrattazione a livello locale, a livello di azienda, facendo in modo che le retribuzioni riflettano le condizioni locali e che, in particolare, siano legate alla produttività. L’Italia ha bisogno di una maggiore decentralizzazione dei contratti in generale, e al Sud in particolare. Il secondo piano di azione riguarda la pubblica amministrazione. Abbiamo visto come diverse misure della performance della pubblica amministrazione segnalino un grado di efficienza molto più basso al Sud. Occorre un programma di efficientamento della pubblica amministrazione nel Mezzogiorno volto a migliorare i servizi forniti senza aumentare i costi che sono già elevati. Non c’è motivo per cui la pubblica amministrazione, che è soggetta alle stesse regole su tutto il territorio nazionale, debba essere meno efficiente al Sud rispetto al resto del paese. L’aumento dell’efficienza della pubblica amministrazione è però un elemento essenziale per migliorare la produttività del settore privato.

Questo deve riguardare tutti i settori, ma particolare importanza deve essere attribuita al buon funzionamento del sistema della giustizia, alla lotta alla corruzione, alla lotta alla criminalità. Il terzo piano di azione è quello forse più importante e riguarda il rafforzamento del capitale sociale e umano del Mezzogiorno. Il capitale sociale nel nostro paese non è alto in generale, ma è particolarmente basso nel Mezzogiorno. Oltre a spiegare perché molti dei “peccati” considerati in questo libro (la corruzione, l’evasione fiscale) sono più marcati al Sud, il basso livello di capitale sociale contribuisce a spiegare fenomeni quali la criminalità organizzata e, in generale, il minor grado di legalità. È molto più rischioso e difficile investire in aree in cui il rispetto delle leggi è insufficiente e il grado di criminalità è elevato. Rafforzare il capitale sociale diventa quindi essenziale per risolvere i problemi del Mezzogiorno. Se si devono spendere maggiori risorse pubbliche, bisognerà farlo in questa direzione piuttosto che in quella di nuovi investimenti pubblici o facilitazioni fiscali. Occorre investire nelle persone, soprattutto rafforzando la pubblica istruzione, togliendo i ragazzi dalle strade, costruendo un pezzo alla volta una nuova coscienza civile”.

 

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