L’ultima genialata del governo per affrontare la crisi economica dovuta all’epidemia è la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, qui https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2020/05/05/decreto-maggio-resta-nodo-imprese-governo-decide-dopo-incontro-con-parti-sociali_47d0e135-40a2-43fb-8288-6c8690576c46.html
Ne abbiamo già parlato a iosa nel passato, ad esempio qui, dove rimandiamo per la spiegazione tecnica del perchè è una grandissima sciocchezza https://www.facebook.com/massimo.fontana.52/posts/2998517706846445
Il punto è sempre lo stesso: la riduzione dell’orario di lavoro, a parità di salario, per una azienda è un aumento del costo del lavoro.
Come risponderà l’azienda in questione?
Semplice: se non riuscirà ad aumentare la produttività di pari livello, e in Italia ricordiamo la produttività è ferma da vent’anni e nulla fa pensare che tale stato di cose cambierà, licenzierà lavoratori sostituendoli con macchinari meno “labour intensive”.
Eh, ma nel caso in questione dovrebbero esserci compensazioni per le aziende, racconta la favola, e vedremo come verrà effettivamente articolata la proposta.
Ma ancora, il massimo che si otterrà sarà allora la sterilizzazione dell’aumento del costo del lavoro.
Sterilizzazione che lascerà immutato il livello occupazionale aggregato, visto che per una azienda non c’è alla fine nessuna convenienza nell’assumere, o come è questo il caso, non licenziare lavoratori.
E semplice:
– la riduzione dell’orario aumenta il costo del lavoro spingendo a licenziare
– la compensazione successiva diminuisce i costi, bloccando la spinta a licenziare
– effetto finale: nessun licenziamento e nessuna assunzione, visto che il costo del lavoro è rimasto immutato.
Alla fine quindi, avremo che:
1) se le compensazioni saranno adeguate, lo stato spenderà milioni di euro per non salvare o creare nessun posto di lavoro.
2) se non saranno adeguate, oltre ad aver speso soldi, avrà anche una distruzione di posti di lavoro oltre il percorso normale dovuto al ciclo economico.
In sostanza, comunque vada sarà un insuccesso.
Costoso peraltro.
Il problema però non finisce qui.
Come mostra l’esperienza francese delle 35 ore, e le esperienze dei paesi socialdemocratici che dagli anni ’80 in poi hanno sperimentato tale politica industriale, politiche quali la riduzione dell’orario di lavoro a parità salariale, anche se compensata dallo stato, tendono ad irrigidire la domanda di lavoro da parte delle imprese, solidificando il sistema economico su livelli di disoccupazione molto elevati.
Non a caso anche li dove la crescita della produttività ha compensato gli effetti negativi della riduzione dell’orario, ovvero nei paesi socialdemocratici del nord europa, nelle crisi si è comunque tagliato anche lo stipendio parimenti all’orario o nei casi più gravi, si è addirittura tagliato lo stipendio aumentando l’orario di lavoro, come qui nella Germania del 2005 https://st.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2005/11/VW_terzotrimestre_05_3nov_alan.shtml?uuid=d4ae9ad2-4c64-11da-8818-00000e25108c&DocRulesView=Libero&correlato
Ovvero l’esatto contrario di quanto si vuole fare oggi in Italia.
L’esatto contrario.
Un aumento strutturale del tasso di disoccupazione quindi.
Questo è il rischio di simili misure.
E questo temo sarà anche il destino dell’Italia se continuerà pervicamente a voler seguire tale misura.
Tanto più che ricordiamo la produttività del lavoro italiana è ferma.
In questo contesto e con un pil in caduta libera, l’unica politica occupazionale che ha veramente una possibilità di funzionare è piaccia o non piaccia, la riduzione decisa e rilevante del costo del lavoro e quindi probabilmente anche dei salari.
Se non capiremo questo punto, condanneremo il paese ad un livello di disoccupazione strutturalmente elevato.
Buona notte a tutti.