there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

ansia da giornalismo sportivo

 

Faccio un respiro e chiamo il boss.

“Pronto?”

“Sono Riccardo.”

“Pronto?”

“Sono Riccardo.” E continuarono per sei secondi e il settimo si riposarono.

“Ah. Dimmi.”

“Ti disturbo?” Non lo dico mai a nessuno, ma stavolta lo faccio come frase interlocutoria prima di comunicare ciò che ho intenzione di fare.

“E’ un piacere!”

“Vado a Bellariva a vedere la Rari Nantes.”

“Bravo!” Risponde lui, che è il giornalista che mi fa seguire le partite degli sport a Firenze per conto suo e grazie a cui potrei ottenere il tesserino per pubblicista.

“Volevo andare a vedere il calcio femminile a San Marcellino, ma è tardi.” L’informazione che gli do è inutile, soprattutto per lui e comunque potrebbe smorzare l’entusiasmo con cui mi ha supportato ad andare a vedere la pallanuoto. Non lo sento convinto. Dice: “Ah” e io lo interpreto come “Chi se ne frega che tu volessi andare là!” oppure “Se andavi là ti facevo fuori!”

Resto sempre col telefonino incollato all’orecchio, giro per il soggiorno di casa e a ogni parte di dialogo mi fermo.

“Alle sei e un quarto volevo andare ancora a San Marcellino.”

“A vedere la pallacanestro?”

“Sì, c’è il basket femminile.”

“Grandissimo!”

Esplodo interiormente di entusiasmo, ma resto impassibile col corpo e non sorrido nemmeno. E sono al telefono!

“Ma quando commentavo le partite per Calciopiù avevo un tesserino e non pagavo.”

“Qua te dimmi che lavori per me e vai a diritto. A Bellariva c’è l’addetto stampa che mi conosce benissimo e a San Marcellino ci deve essere un certo Cioli. Vai tranquillo che sei autonomo.”

Mi sento rinvigorito da queste parole, ma mi limito a salutare il boss con delle risate nervose e un cordiale “Ciao.”

 

 

 

sembra sia un ladro, mi muovo come un ladro, mi vergogno di chiedere o di non sapermi spiegare.

Poi saprò da chi devo andare a mi muoverò in scioltezza, ma basterebbe chiedere,. No?

 

Mi dirigo verso la piscina e sono preoccupato da tutto quello che dovrò fare. Soprattutto dovrò parlare. Vedo l’ingresso e sulla destra noto la biglietteria. Almeno queste due cose le ho individuate. Aspetto che la bigliettaia finisca di chiacchierare con alcune persone finché tutti stanno zitti e mi guardano quando muovo il dito indice in alto a segnalare che ho bisogno di un’informazione. Dico che lavoro per Stefano Ballerini e una signora, dentro lo sgabuzzino che è la biglietteria, dice “Va bene, passa.”

A quel punto si pone il problema dell’ingresso alla piscina. Mentre vado verso una scalinata che conduce al nulla, la bigliettaia mi fa voltare indietro per varcare un cancello e poter entrare.

L’ingresso nella piscina è soffocante poiché si passa dai sei gradi che sono fuori ai trenta che si percepiscono entrando. Il mio problema non è quello, ma stabilire come chiedere a chi che cosa.

 

Dalla tribuna dove mi trovo vedo la piscina sotto di me, dove gli atleti fanno riscaldamento. Mi muovo verso destra. Mi volto di quarantacinque gradi e vedo una porta aperta, con scritto autorità e stampa. Scendo le scale che portano al piano piscina perché vedo sotto di me delle persone che potrebbero far parte dello staff o essere gli arbitri. Vedo che un signore varca una porta. Lo raggiungo ma non gli dico niente. La stanza sembra una rimessa di oggetti. Scendendo le scale vedo una porta col cartello “controllo antidoping.” Si fa pipì là dentro, insomma. Riesco, guardo il poco pubblico presente (ancora mancano trenta minuti), mentre i giocatori continuano a riscaldarsi e delle persone si muovono sul piano piscina. Mi vedo come se fossi un ladro. Vado verso la parte opposta della tribuna, dove ci sono gli arbitri. A ogni passo temo di essere redarguito. Mi muovo furtivamente, ma deciso. Raggiungo l’angolo dello staff arbitrale incurante degli atleti e del resto del mondo che mi circonda. Mi chiedo se quell’uomo sia l’addetto stampa o uno degli allenatori. Alle partite di calcio sono abituato a chiedere informazioni al personale e agli arbitri, ma qui? Dove devo andare? Un uomo sta armeggiando con l’elettricità e viene aiutato. Mi piazzo davanti a loro aspettando che mi chiedano qualcosa. Non lo fanno e questo non mi piace. Io non parlo, anche se lo vorrei fare, ma mi sembra di disturbare. In questo caso sarebbe probabilmente anche vero. Loro non mi considerano. Vado verso il centro, sempre con la sensazione che tutti si stiano chiedendo chi sia e cosa faccia. Finalmente interrompo un uomo che sta sistemando dei fogli sul tavolo e balbetto:”Lavoro per Stefano Ballerini, per i giornali. Dove posso trovare l’elenco delle formazioni?”. Lui chiede alla persona che si trova al centro del tavolo e questi mi dice di andare sul lato del tavolo alla mia sinistra e prendere uno dei due fogli. Intanto c’è del frastuono e, anche per la mia ipoacusia ormai non più improvvisa all’orecchio sinistro, non sento benissimo. In ogni caso avrei paura di sbagliare. Mi muovo molto lentamente, temendo di non trovare i fogli e fare una figura di merda. Lui mi segue con lo sguardo. Giro dietro il tavolo (si potrà?) e prendo il foglio. Faccio cadere un tabellone pubblicitario della Cassa di Risparmio, su cui inciampo, ma nessuno ci fa caso, anche se non lo penso in quel momento. Lo rimetto su, cercando di stabilizzarlo quando basterebbe che lo appoggiassi. Finalmente ho le formazioni. Adesso posso tornare in tribuna. Nel passeggio un pallone mi sfiora. Per fortuna non mi prende e posso iniziare a farmi delle domande. Quanto pesa un pallone di pallanuoto? Di cosa è fatto? Ma quanto caldo ci sarà in piscina? E le donne che telefonavano a Caterpillar AM Olimpico durante le Olimpiadi per dire che la persona con cui passerebbero una notte sarebbe stato un pallanotista a caso? (O la domanda riguardava una relazione seria? In ogni caso i pallanotisti erano contesi.) Quante volte ho criticato i giornalisti incompetenti che scrivono di cose di cui non conoscono? (Della pallanuoto, passione a parte, mi mancano le basi: le regole, le tattiche, le cose importanti di cui tenere conto, come le superiorità.) Mentre mi faccio queste domande un pallone mi sfiora. E’ stato tirato da un atleta e rischiava di colpirmi, per espormi al pubblico ludibrio, evidentemente. Viene preso da un addetto uscito provvidenzialmente da dietro una tenda e ributtato in acqua. E’ incredibile quante persone passino dal piano vasca e nessuno mi consideri per rimproverarmi di qualsiasi cosa, dalla mia presenza lì a quella nel mondo, dall’ingresso a ufo allo scoppio della guerra in Iraq.

 

Mi metto a sedere nel lato della tribuna dove ci si siede sugli scalini anziché sui seggiolini, malgrado ce ne siano alcuni liberi chiedendomi se non siano posti riservati, visto che dietro di me, sul muro c’è un cartello con scritto autorità e stampa. Il tutto mentre comunque ci saranno tre gatti a vedere la partita. Potrei allora mettermi tra il pubblico nei sedili, ma sono addetto stampa e quindi non potrei. Mi alzo e mi risiedo almeno tre volte e dispongo diversamente il giubbotto per terra almeno quattro. Un ragazzo si alzerà quattro volte dal suo posto e scavalcherà il mio giacchetto: la colpa me la addosserò io anziché pensare che sia lui a rompere. Infatti si scuserà: “Questa è l’ultima.”

 

Il motivo per cui mi alzo spesso è che vedo alcune persone alle mie spalle con telecamere, fogli, taccuini, penne e una persona porta delle sedie di fronte a un tavolo. Evidentemente si tratta dei giornalisti e dell’addetto stampa. Mi alzo, cammino quatto quatto, osservo cosa hanno e cosa fanno, vorrei chiedere a qualcuno se è l’addetto, anche per conoscerlo e per capire come fare in futuro e come segnare le cose, ma ogni volta che qualcuno mi passa accanto sto zitto. Vedo un uomo davanti a me. “Ora vado.” Mi dico, ma non lo faccio. Alla fine non dico niente a nessuno e mi metto a sedere tra il pubblico, sui gradoni, dando solo qualche fugace occhiata dietro di me.

 

 

 

 

Inizia la partita. Nelle tribune c’è gente, anche se non c’è il pubblico delle grandi occasioni. La partita è tra la Rari Nantes Florentia e la SS Lazio. La Rari dimostrerà che i favori del proonostico erano meritati. Giocherà in scioltezza con la dovuta determinazione e, partita da un tre a zero iniziale, chiuderà con un risultato perentorio: tredici a sette. Soltanto a un minuto dal termine la Lazio ha rischiato di portarsi a una sola lunghezza di distanza.

 

Ai gol mi aspettavo gli annunci dei marcatori. Il fatto che non fossero stati annunciati, fino al quarto gol, per colpa di quel problema all’altoparlante su cui evidentemente stavano lavorando i tecnici quando sono andato a chiedere le formazioni, mi ha buttato in crisi. Non avevo visto chi aveva segnato. Davo un’occhiata al tabellone, ma lì apparivano soltanto dei punti rossi accanto ai giocatori e non sapevo cosa significavano: probabilmente le uscite dal gioco. Non annoterò, infatti, le superiorità e i punti fatti durante quelle.

Penso di non essere in grado di fare un commento e di stare sbagliando tutto. Penso alla colossale figura di merda che farò.

 

A fine secondo tempo realizzo che ho già scritto anche troppo, almeno una pagina, e che è venuta bene. Adesso il problema è mantenere lo standard, ma mi sento sicuro e chi se ne frega se non ho chiesto niente all’addetto stampa e sono seduto tra il pubblico, che mi nasconde alla vista anche un quarto della vasca, quella alla mia sinistra.

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