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Lo stupore delle prese elettriche

Ascesa e declino: anni 40 e 50

Da “Ascesa e declino dell’economia italiana” di Emanuele Felice.

Anni quaranta. In parte continuità dirigenziale col fascismo. Scelta repubblicana. Rottura col fascismo nella parte economica. Crescita del pil del 6% annuo fino al ’63 e poi del 4% fino al ’74. Sempre più della media occidentale che stava nel golden age. Sempre più della media mondiale.
” l’Italia repubblicana rompe con la strategia di sviluppo seguita con il fascismo. Quella strategia era fondamentalmente riconducibile alla cosiddetta «industrializzazione sostitutiva di importazioni» (o Isi): sostituire le importazioni con produzioni nazionali, ovvero limitare l’acquisto di prodotti industriali dall’estero attraverso barriere doganali, per riservare il mercato interno alle industrie domestiche; le quali però, al riparo della concorrenza straniera e in genere sovvenzionate dallo stato, raramente erano in grado di esportare . È una strategia che mal si adatta a un paese come il nostro povero di materie prime, bisognoso quindi di importare per poi esportare (e di esportare per poter importare); sfavorisce inoltre la concorrenza – internazionale ma anche interna – e quindi tende a danneggiare la competitività delle imprese. L’Italia repubblicana abbandona questo schema e sceglie invece, con una certa nettezza, di industrializzarsi aprendo al commercio internazionale.”
Argentina, India, Medio Oriente hanno proseguito nella strategia dominante negli anni Trenta, quella dell’autarchia, fino agli anni Settanta, con risultati deludenti.

Pilastri del nuovo sistema economico internazionale.
1. Gold standard. Cambio fisso sul dollaro. Possibilità di politiche monetarie di sostegno alla domanda. Per fare questo ed evitare pressioni sul cambio dovute a modifiche dei tassi di interesse vengono imposti dei controlli sui movimenti di capitale a breve. Probabile fissazione del cambio, nel ’58, a livelli sottovalutati. Esportazioni così favorite. Il controllo sui movimenti speculativi permette un’espansione degli investimenti interni. Non ci sono controlli sui movimenti di capitale a lungo termine e questo favorisce gli investimenti diretti dall’estero.
2. Gatt. Liberalizzazione del commercio tra Stati. Riduzione dei dazi e delle tariffe doganali. Unione doganale tra i membri della Comunità Europea. Nel ’66 il 40% delle esportazioni va verso i paesi della Cee e si tratta di prodotti industriali finiti.
3. Cooperazione internazionale a guida nordamericana. Ottenimento di materie prime, di sussidi diretti e di prestiti per l’acquisto di macchinari (Unrra e Piano Marshall.) Per evitare l’inflazione gli USA concedono i prestiti ai governi che li distribuiscono in funzione delle richieste delle imprese. L’Italia investe in macchinari, favorendo l’industrializzazione, l’ammodernamento delle strutture produttive, le economie di scala. Aiuta il processo il basso costo dell’energia dovuto al basso prezzo del petrolio. Intanto vengono concessi aiuti alle aree in via di sviluppo e la stessa Cassa per il Mezzogiorno per i primi quindici anni funziona bene: sono gli anni in cui funziona il vincolo esterno della Banca Mondiale per rendere la Cassa indipendente dal potere politico.

I pilastri del modello di crescita italiano.
I pilastri internazionali permettono di godere di uno sviluppo di tipo fordista, di un’industrializzazione avanzata anche tecnologicamente, di un ampio accesso ai mercati esteri, di specializzazione, di liberalizzazioni, di economie di scala.
I pilastri specifici del modello italiano sono tre. Uno è dato dalle esportazioni. Un altro dai bassi salari. Un altro ancora dal tasso di investimento in capitale. Vediamo questi ultimi due.
1. bassi salari (ampia disponibilità di manodopera a basso costo) che permettono alle imprese di avere prodotti competitivi (anche per effetto del cambio, comunque) e buoni profitti;
La riserva di manodopera è una costante della storia economica italiana e solo nei primi anni Sessanta si arriverà all’opposta carenza di personale (piena occupazione.)
Negli anni del boom si ha una massiccia emigrazione dal sud al nord, di almeno due milioni di persone. Si ha il trasferimento dalla campagna alle città e soprattutto il passaggio dall’agricoltura all’industria. In agricoltura si intensifica la produttività grazie all’uso dei concimi chimici (innovazioni land saving) e grazie alla meccanizzazione (innovazioni labour saving.) Al sud si ha la fine dei grandi proprietari agrari grazie alla riforma agraria e la valorizzazione colturale di terreni fino ad allora abbandonati. Peraltro c’erano dei paesini che vivevano in modo tardo medioevale al sud. Quel che conta, al di là delle critiche possibili alle riforme, è che l’Italia diventa un Paese industriale.
I lavoratori vengono pagati relativamente poco. I salari crescono del 2,5% annuo, meno, quindi, rispetto alla produttività e al PIL.
2. alto tasso di investimento in capitale. Gli investimenti quadruplicano dal ’48 al ’63 e la loro quota sul PIL balza dal 19 al 31%.
Quindi gli utili erano reinvestiti e in buona parte pure nell’acquisto di prodotti ad alta tecnologia dall’estero. Questo accelerava il tasso di progresso tecnico e limitava la necessità di ricorrere al mercato dei capitali, che era inefficiente e poco flessibile.
In sostanza “il modello «virtuoso» di crescita dell’economia italiana appare in fondo simile a quello delle attuali economie emergenti dell’Asia export- led : cioè guidate dalle esportazioni, con basso costo del lavoro e alto tasso di investimento.”
A cosa è dovuto questo alto tasso di investimento?
1. Dopo la guerra l’Italia aveva un’inflazione elevata per vari motivi. La massa monetaria esplosa a seguito delle spese di guerra, la carenza di materie prime e di alimenti con conseguente eccesso di domanda, la concessione di prestiti da parte delle banche che finanziavano l’accumulo di scorte dovuto alla carenza di beni (chi li aveva, li teneva in serbo) e quindi aumentava la domanda a sua volta. Einaudi alzò il tasso di sconto, mantenne il vincolo di riserva delle aziende di credito sulla Banca d’Italia e riuscì a stabilizzare la Lira e a rientrare dall’inflazione.
Non si ha un effetto depressivo sull’economia a seguito della stretta monetaria poiché vi sono misure espansive dal lato dell’offerta: il piano Marshall, il fondo per gli investimenti delle industrie meccaniche, la riorganizzazione dell’Iri.
2. L’inflazione resterà bassa, non oltre il 2,9% fino al ’60 e questo garantirà la pace sociale e il contenimento dei salari. Anche il debito pubblico è basso: non supera il 30% del Pil. Questo non è dovuto solo alla crescita del Pil. Le entrate salgono dal 13% del PIl nel ’51 al 29% nel ’63, a seguito della riforma Vanoni che rende obbligatoria la dichiarazione dei redditi e colpisce i lavoratori dipendenti. Per le uscite si hanno interventi pubblici di natura industriale e infrastrutturale, ma non viene edificato un modello di welfare universalistisco come invece accade nel resto dell’Occidente. Solo negli anni Sessanta si avranno gli interventi su sanità, pensioni, scuola. “l’unica eccezione di rilievo è il «Piano Fanfani» (1949- 1963), che lancia un programma di edilizia popolare ambizioso e di notevole impatto, ma che è anche fonte di rendita per alcuni speculatori, e di voto clientelare per le lobby politiche.”
Ora. Un basso indebitamento pubblico e una bassa inflazione rendono gli investimenti in titoli di stato poco remunerativi rispetto a quelli in attività produttive, che così vengono favorite.
Inoltre ogni transazione finanziaria è messa sotto controllo. Sono vietati i trasferimenti di capitale all’estero e questo favorisce l’utilizzo dei capitali in investimenti produttivi interni.
3. “Il terzo determinante è il fatto che la crescita generalizzata (anche internazionale), l’eccellente gestione dei fondamentali macroeconomici e il contenimento dei salari, nel loro insieme favoriscono l’ottimismo da parte degli imprenditori, attivando gli animal spirits (se vogliamo chiamarli così) dell’agire economico. Di questo clima il cinema di allora ha dato un’eloquente rappresentazione con il personaggio recitato da Vittorio Gassman nel film Il sorpasso (1962).”
4. Tolleranza per l’evasione fiscale di lavoratori autonomi e piccole imprese, nonché sgravi fiscali per piccole, medie e grandi aziende. Probabilmente questa tolleranza è una specie di scambio, attuato dal regime democristiano anche per motivi di clientelismo elettorale. “tolleranza fiscale e aiuti per le piccole imprese vengono utilizzati anche per creare consenso elettorale, da parte della Democrazia cristiana, specie dalla metà degli anni cinquanta in poi. Secondo Barca, funzionano come una sorta di «compensazione» per carenze dell’amministrazione che portano invece a maggiori costi sugli operatori economici; carenze nella politica per la formazione, istruzione e ricerca, e poi anche per quel che concerne le infrastrutture e il funzionamento della giustizia e del diritto. Il risultato è un «compromesso senza riforme», forse positivo per i profitti, almeno nell’immediato, ma certo alquanto insolito per un paese avanzato. Questo è un aspetto del sistema politico- economico che tenderà con il tempo a rafforzarsi e a incancrenirsi, fino a costituire, uno dei motivi fondanti delle più recenti difficoltà dell’Italia. Negli anni cinquanta, stante il grado di sviluppo del nostro paese a quel tempo, forse lo si poteva tollerare; è doveroso però chiedersi perché un’impronta negativa di questo tipo non sia mai stata superata nel corso dei decenni – a mano a mano che l’Italia «progrediva», anche nella gerarchia economica – attraverso opportune riforme dell’amministrazione, del diritto, del sistema di istruzione e ricerca, e della tassazione.”
5. Intervento pubblico. Le imprese di Stato investono massicciamente e in macchinari. I loro investimenti superano, come tasso di crescita, quelli delle imprese private. Nessuno può dire se i progetti profittevoli sarebbero stati finanziabili anche da soggetti privati e quindi se non si debba ritenere negativo tale intervento pubblico. Mancava, forse, un mercato efficiente. Comunque fatto sta che in quegli anni le imprese erano ancora enti pubblici autonomi il cui operato si contrappone “per profondità di indirizzo strategico e ampiezza di risorse mobilitate, «all’insieme di interventi parziali e distorti delle amministrazioni pubbliche ordinarie». Il problema è che, con il passare degli anni, le differenze fra le due tipologie si andranno facendo sempre più labili, e le amministrazioni «straordinarie» altro non diventeranno che «sovrastrutture» addizionali sovrapposte all’attività ordinaria, utili semmai a infittire la trama degli iter burocratici, o delle scorciatoie clientelari.”
Nasce in quegli anni la siderurgia integrale a ciclo continuo che darà l’acciaio, materia fondamentale per l’industria italiana.
L’altro elemento fondamentale dell’intervento pubblico è lo sviluppo della rete dei trasporti, anche al sud. L’Italia passa da 479km di autostrade nel 1950 ai 3913 del 1973. Francia e REgno Unito non arrivano ai 1500km, mentre la Germania ne ha più di 4000.
“Basso costo dell’energia, siderurgia a ciclo continuo, e quindi le autostrade costituiscono – assieme alla catena di montaggio di importazione nordamericana – gli ingredienti fondamentali del modello fordista: lungo queste traiettorie, anche gli italiani approderanno alla società dell’affluenza.”
RIASSUMENDO
Per tutti gli anni cinquanta, lo sviluppo dell’economia italiana si fonda su tre pilastri: crescita delle esportazioni, bassi salari e alti investimenti. Le politiche commerciali e valutarie (liberoscambismo e ancoraggio al sistema monetario internazionale), quelle interne di tipo monetario e fiscale (inflazione contenuta e tassazione blanda dei profitti) erano coerentemente orientate a sostenere questo modello. Occorre solo aggiungere che su tale schema, di tipo liberista classico, si incardinava una variante importante, decisiva: l’intervento dello stato, principalmente attraverso l’impresa pubblica, che innalzava considerevolmente il tasso di investimento e provvedeva alla modernizzazione dei settori strategici di base, a cominciare dalla siderurgia.

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