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Lo stupore delle prese elettriche

Ascesa e declino: spesa irresponsabile e crescita drogata.

Da “Ascesa e declino” di Emanuele Felice.

Alle Regioni viene concesso di spendere senza che abbiano alcuna responsabilità sulle entrate.
Il nuovo ceto politico locale ne approfitta, soprattutto al sud, per regalare soldi e posti in cambio di voti. Anche nelle regioni più virtuose, l’ente resta un centro di spesa pubblica addizionale rispetto all’amministrazione ordinaria e opera normalmente in deficit.
Tra baby pensioni e indicizzazioni alle retribuzioni dell’industria, a loro volta agganciate all’inflazione, la spesa pensionistica esplode. Dal ’74 all’84 passa dal 12 al 16% del Pil e intanto ha in sé i germi del sistema retributivo che produrranno sconquassi soprattutto col pensionamento dei baby boomers, l’allungamento della vita media, la riduzione del pil, il peggioramento della piramide demografica, l’innalzamento dell’età di ingresso nel lavoro ecc.
La riforma sanitaria permette di garantire tutela universale a tutti i cittadini e si mantiene tra il 5 e il 6% del Pil. Cresce però enormemente la spesa per il personale.
La Sanità diventa di competenza regionale e il ceto politico locale ne approfitterà per creare disparità dovute a motivi elettorali.
“La spesa è in crescita anche per fronteggiare la crisi economica . La cassa integrazione guadagni (Cig), sorta subito dopo la Seconda guerra mondiale, nel corso degli anni settanta viene progressivamente estesa ed è resa permanente: dovrà sostenere il reddito dei lavoratori che perdono il posto, assicurando loro l’80% della retribuzione lorda e anche la continuità dei contributi previdenziali; naturalmente i suoi esborsi lieviteranno in questo periodo, per effetto delle difficoltà nell’industria . Nello stesso tempo, i governi cercano di porre in atto una politica di riassetto e riconversione industriale: nel 1971 vede la luce la Gestione partecipazioni industriali (Gepi), allo scopo di aiutare le imprese in riconversione con iniezione di capitale e finanziamenti agevolati. Sennonché la nuova società verrà gestita con criteri marcatamente assistenzialistici, prediligendo le sovvenzioni a pioggia ai piani organici di salvataggio e ristrutturazione, e finirà per adempiere al ruolo di ammortizzatore sociale, prendendo a carico i lavoratori in esubero delle imprese in crisi ; ben lungi dallo svolgere una politica di sviluppo – come era stato invece per l’Iri – sarà solo uno strumento di sostegno ai redditi. Sul bilancio dello stato grava poi l’esigenza di ripianare i crescenti deficit delle imprese.”
pubbliche: in difficoltà perché gestite con modalità sempre più clientelari – a differenza che in passato – ma anche perché attive soprattutto nei settori pesanti (siderurgia e spezzoni importanti della meccanica e della chimica), quelli cioè più intensivi nel consumo di energia e per questo maggiormente colpiti dal rialzo del prezzo del petrolio. Difatti dal 1974 al 1988 l’Iri e le altre aziende pubbliche, con la parziale eccezione dell’Eni, chiuderanno i conti sempre in perdita, anno dopo anno. Vale la pena di sottolineare come molti di questi problemi gravino su una parte del paese, il Mezzogiorno, in forma più pesante e pronunciata che nel resto d’Italia: così è per l’espansione assistenziale delle amministrazioni periferiche e il malfunzionamento delle regioni, per il largo utilizzo della Cig e di altre forme di sostegno al reddito (le pensioni di invalidità) spesso con criteri clientelari, per le difficoltà delle industrie soprattutto pubbliche. Parzialmente, ciò lo si deve al fatto che la crisi del modello fordista si abbatte con particolare violenza sull’Italia meridionale. Messa in scacco la strategia di interventi dall’alto nei settori capital intensive , il sistema politico- economico si dimostra incapace di progettare un nuovo modello di sviluppo e abbraccia convintamente le logiche dell’assistenzialismo. Gli aiuti della Cassa per il Mezzogiorno proseguono, consistenti, per tutto il decennio, ma l’ente ha ormai smarrito la sua autonomia decisionale rispetto al sistema politico, non soltanto nazionale ma perfino locale: decisiva è a questo proposito una legge del 1976 che sancisce l’ingresso nei suoi consigli di amministrazione dei rappresentanti delle regioni meridionali, definisce un ambito di interventi straordinari di loro specifica competenza (i «progetti regionali di sviluppo») e attribuisce alle regioni poteri consultivi su tutte le decisioni ministeriali attinenti l’economia del Sud. Queste dinamiche si sommano alla crescita pervasiva della criminalità organizzata, che proprio allora, fra gli anni settanta e ottanta, va assumendo nel Sud Italia i suoi connotati più marcati, in tutte le sue diverse espressioni organizzative e territoriali (la Mafia in Sicilia, la ’Ndrangheta in Calabria, la Nuova camorra organizzata in Campania, quindi la Sacra corona unita in Puglia). Crisi economico- istituzionale e grandi organizzazioni criminali si rafforzano a vicenda: le seconde si fanno dominus nella gestione dei finanziamenti pubblici e, per questa via, assurgono ad architrave dell’assetto di potere interno al Mezzogiorno, in una misura che mai si era vista in passato. Ne consegue che i finanziamenti per l’ammodernamento infrastrutturale del territorio meridionale risultano inefficaci, perché male impostati a causa di convenienze politiche e poi perché intercettati dalla criminalità.” Basti pensare al malaffare che domina la costruzione della Salerno Reggio Calabria o all’arricchimento della camorra a seguito del terremoto in Irpinia.
“Paradossalmente (ma neanche tanto), per il sistema politico a quel punto è meglio «aiutare» il Mezzogiorno assumendo elettori nei ranghi delle amministrazioni pubbliche e parapubbliche, o distribuendo pensioni e assegni sociali: cosa che pure viene fatta, e generosamente, a scapito degli investimenti nel capitale fisico. A partire dagli anni settanta, il Sud Italia smette di convergere verso il Centro- Nord; se non comincia ad andare drammaticamente indietro, sarà grazie ai massicci interventi di sostegno al reddito, cioè all’assistenzialismo. Il dualismo Nord- Sud nei termini in cui lo conosciamo oggi costituisce, insieme al debito pubblico e all’illegalità, un altro lascito di quel ventennio, che le politiche della Seconda Repubblica non riusciranno a modificare.”

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