Da “Austerità”, di Favero, Alesina, Giavazzi.
CONSEGUENZE DELL’AUSTERITA’
Evoluzione del pil.
L’introduzione di un programma di aggiustamento fiscale tax based pari all’1% del pil determina una probabilità del 90% che il pil diminuisca di uno i due punti percentuali entro due anni. Tale calo della produzione non accenna a fermarsi. Quattro anni dopo l’introduzione di un piano tax based il pil si è già ridotto di un valore compreso tra 1,5 e 2,5%. Un piano delle stesse dimensioni ma basato su tagli di spesa fa sì che entro due anni il pil si riduce ancora (con probabilità 90%) al massimo dello 0,5%. Tre anni dopo l’introduzione il pil ritorna in media al livello pre austerità.
Tre anni dopo il suo annuncio c’è una probabilità del 5% che il livello di produzione sia superiore al livello registrato prima dell’annuncio della sua introduzione.
Il fatto che i piani abbiano effetti diversi sulla crescita del pil dipende più dalla risposta dell’investimento privato che da quella dei consumi privati e esportazioni. Nel corso di aggiustamenti fiscali expenditure based entro due anni gli investimenti privati riprendono ad aumentare. La risposta delle esportazioni nette invece non differisce in modo statisticamente significativo tra i due tipi di piano fiscale. Quindi è da dubitare che il movimento del tasso di cambio possa spiegare i diversi effetti. Oltretutto la reazione della politica monetaria è endogena. Nel caso di aggiustamenti basati sui tagli di spesa la percezione è che siano più duraturi e la reazione della banca centrale più morbida. Non emergono significative differenze per quanto riguarda l’andamento dell’inflazione.
Gli investitori sembrano preferire i tagli di spesa perché si aspettano che in futuro le tasse diminuiscano o non aumentino. Quindi decidono di investire di più.
I consumi non rispondono così diversamente. Se alcuni consumatori non possono prendere a prestito la prospettiva di un calo delle tasse potrebbe non essere sufficiente a far salire i consumi. Bisogna che i loro redditi aumentino.
Se i consumi pubblici sono complementari ai consumi privati i consumatori potrebbero avere meno bisogno di comprare alcuni beni.
Disaggreghiamo la spesa
Una riduzione di trasferimenti agli individui comprime il reddito disponibile e costuisce un incentivo ad aumentare l’offerta di lavoro. Pertanto non è scontata la loro aggregazione alla tassazione o alla sepsa pubblica.
Se si aggregano tagli alla spesa per acquisti di beni e servizi agli investimenti pubblici i primi costituiscono circa l’80% della correzione di bilancio. Quindi i piani eb comportano principalmente tagli alla spesa corrente.
Per quanto riguarda gli effetti sulla produzione, i piani tax based risultano significativamente più recessivi degli aggiustamenti basati sulla spesa. Gli investimenti ripartono già dopo un anno dopo il taglio.
L’asimmetria tra i piani potrebbe dipendere dalle diverse politiche che talvolta accompagnano i due tipi di piani.
Nel 1994 la Spagna ha introdotto una riforma del mercato del lavoro nello stesso anno in cui è stato lanciato un piano di tagli di spesa. La manovra ha incentivato i contratti a tempo determinato e la creazione di agenzie di collocamento. Le riforme hanno anche decentralizzato la contrattazione collettiva.
Nel 1995 l’Australia ha adottato una politica nazionale sulla concorrenza nel corso di un programma quadriennale di austerità.
C’erano misure che colpivano condotte anticoncorrenziali da parte di imprese private e pubbliche e limitava i monopoli che riforme per energia, trasporti, acqua e gas. Secondo l’OCSE, la riforma in Australia «ha contribuito a un aumento della produttività che ha sostenuto tredici anni di continua crescita economica e che è stata associata a un forte incremento dei redditi delle famiglie; ha ridotto direttamente i prezzi di beni e servizi come elettricità e latte; ha stimolato l’innovazione d’impresa e la reattività dei consumatori e ha aumentato la varietà di scelta per il cliente».
Tra gli aggiustamenti fiscali i meno costosi sono quelli accompagnati da riforme sul lato dell’offerta e della moderazione salariale ma la diversità dei risultati degli aggiustamenti non dipende dalle riforme strutturali: a volte vengono adottate in contemporanea, altre no. Sono indipendenti.
Relazione col debito.
I piani basati sulla spesa tendono a ridurre il rapporto debito pil rispetto allo scenario in cui non si adottano aggiustamenti fiscali, indipendentemente dalle condizioni iniziali.
I piani tax based sono neutrali o lievemente stabilizzanti quando il livello iniziale di debito è basso, ma sono destabilizzanti quando l’indebitamento è elevato.
Sebbene un aumento del gettito fiscale possa ridurre il disavanzo primario o aumentare l’avanzo primario il calo del pil e l’inflazione cui è associato agiscono nella direzione opposta. Nel caso di piani basati sui tagli di spesa invece gli effetti più lievi su produzione e inflazione non controbilanciano la riduzione di disavanzo primario indotta dai tagli di spesa. Quindi le correzioni basate sulla spesa, sebbene moderatamente costose in termini di perdita del pil, generano una costante riduzione del rapporto debito pil. Al contrario i piani tax based sono controproducenti: rallentano l’economia e non riducono il peso del debito.
Perché piani basati sulle tasse o sulla spesa hanno effetti diversi?
Un consolidamento fiscale ben riuscito elimina l’incertezza e stimola la domanda rendendo i consumatori e soprattutto gli investitori più ottimisti riguardo al futuro. Un consolidamento fiscale che elimina l’incertezza dovuta ai possibili costi futuri di bilancio più elevati stimola la domanda corrente; in particolare quella degli investitori, più sensibili all’incertezza sul futuro dato il loro più lungo orizzonte temporale. Questi benefici associati alla rimozione dell’incertezza sono più probabili in presenza di piani Expenditure Based che nel caso di piani Tax Based. Infatti, se non si affronta l’aumento automatico della spesa, le tasse dovranno essere continuamente alzate per coprire l’incremento delle spese. Considerare anche la possibilità di default può rafforzare questi risultati, poiché l’eliminazione del rischio di default può ridurre considerevolmente i tassi d’interesse e azzerare il rischio di un grave collasso finanziario.
Una minore spesa pubblica, probabilmente perché associata all’aspettativa di minori tasse sul capitale, si traduce in maggiori investimenti.
I piani Expenditure Based sono meno recessivi quanto più duratura è la riduzione della spesa pubblica. Questo perché, tanto più prolungati sono i tagli alla spesa, tanto maggiore è l’effetto ricchezza positivo che deriva dai tagli delle tasse attesi in futuro dai consumatori.
Simmetricamente, i piani tax based sono più recessivi quanto più duraturo è l’aumento del carico fiscale e quindi l’entità delle distorsioni indotte nell’economia. L’idea è che, all’aumentare della persistenza, la variazione della domanda dovuta a un taglio della spesa pubblica viene man mano superata dalla variazione dell’offerta indotta dalla minore offerta di lavoro. L’effetto sulla domanda si riduce più rapidamente dell’effetto sull’offerta, pertanto il moltiplicatore della spesa pubblica diminuisce all’aumentare della persistenza. Simmetricamente, nel caso di un aumento dell’imposizione sul lavoro, il moltiplicatore aumenta al crescere della persistenza. In breve, un aumento duraturo delle imposte sul lavoro rende più permanente l’effetto sostituzione statico tra lavoro e tempo libero, e ciò accresce il moltiplicatore delle imposte sui salari. Nella misura in cui gli aggiustamenti fiscali sono percepiti come permanenti e impattano sull’offerta, quindi, un modello neokeynesiano standard suggerisce che i tagli della spesa siano meno recessivi rispetto agli aumenti delle tasse.
Se le possibilità che sia attuata una politica monetaria accomodante sono limitate, il consolidamento tax based tende ad avere, nel breve termine, minori effetti negativi sulla produzione rispetto al consolidamento expenditure based, sebbene sia più costoso nel lungo periodo. In secondo luogo, un’ampia correzione di bilancio expenditure based può essere controproducente nel breve termine se i tassi d’interesse non possono scendere sotto il limite inferiore dello zero per cento.
Una strategia mista che combina un forte ma temporaneo aumento delle imposte con graduali tagli di spesa sembra minimizzare i costi del consolidamento fiscale, nel senso che minimizza il calo della produzione.
Una riduzione della spesa salariale del settore pubblico ha un effetto recessivo sulla domanda aggregata, ma ciò potrebbe essere compensato dal fatto che una riduzione degli stipendi del settore pubblico può tradursi in un calo dei salari nel settore privato, aumentando così la redditività e gli investimenti.
Ciò potrebbe verificarsi perché, quando avviene la contrattazione dei salari tra imprese e sindacati, una riduzione dell’occupazione pubblica può incidere sui salari reali sia nel settore pubblico sia in quello privato. In questa stessa ottica, Alesina e Perotti dimostrano che nelle economie sindacalizzate, quali la maggior parte dei sedici Paesi del nostro campione, l’aumento delle imposte sul reddito si traduce in richieste salariali più alte da parte dei sindacati, maggiori costi unitari del lavoro e una conseguente perdita di competitività per le imprese nazionali.
CONCLUSIONI
I piani basati sulla riduzione della spesa (EB) hanno costi molto bassi, nel senso che determinano un calo contenuto della produzione. Tale costo medio è probabilmente il risultato di alcuni piani che producono recessioni più profonde, e di altri che hanno effetti espansivi. I piani basati sull’incremento della tassazione (TB) sono associati a recessioni profonde e di lunga durata. La componente della domanda aggregata la cui risposta differisce di più nei due tipi di piano sono gli investimenti privati. Difatti la fiducia degli investitori (che riflette le loro aspettative per il futuro) reagisce positivamente ai piani EB e negativamente a quelli TB. La fiducia dei consumatori si muove in modo analogo, ma presenta uno scarto minore tra i diversi tipi di piano. Questi risultati sono molto solidi: non dipendono dall’esperienza di un particolare Paese e non sono limitati a determinati periodi storici.
Le riforme strutturali come le liberalizzazioni del mercato del lavoro o dei beni spesso rendono l’austerità meno costosa.