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Lo stupore delle prese elettriche

L’austerità che funziona(prima parte)

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Da “Austerità” di Alesina, Giavazzi, Favero

IN PRATICA

Qui si intende per austerità una politica di costante riduzione del deficit pubblico e di stabilizzazione del debito, che può essere attuata attraverso tagli di spesa, aumenti delle imposte o una loro combinazione.

Se i governi adottassero politiche fiscali prudenti non ci sarebbe bisogno di austerità.
I governi dovrebbero avere i bilanci in deficit solo in due occasioni: durante le recessioni, quando il gettito fiscale è basso e la spesa si alza per stabilizzatori automatici come i sussidi di disoccupazione; e in casi eccezionali come calamità naturali o guerre. I disavanzi dovrebbero poi essere coperti da surplus quando l’economia cresce.

Succede che molti paesi hanno alti debiti perché accumulano deficit nei periodi di crescita.
Paesi come Belgio, Irlanda, Italia hanno visto il debito crescere durante gli anni settanta e ottanta, quando il pil cresceva. Lo stesso ha fatto la Grecia nei primi anni duemila. 
Politiche di austerità si rendono necessarie.

A volte i livelli eccezionalmente alti di spesa pubblica generano tanto debito che non può essere ridotto con la crescita.
Dopo la seconda guerra mondiale la crescita e l’inflazione erano abbastanza alte da diminuire il debito accumulato. Questa cosa non è più accaduta quando si sono ridotte la crescita e l’inflazione. Del resto avere un debito alto comporta tasse più alte per finanziare spesa improduttiva come gli interessi sul debito e questo porta a scarsa crescita. La scarsa crescita combinata con l’alto indebitamento porta a crisi del debito perché gli investitori non hanno più fiducia. Per ripristinarla occorrono politiche di austerità.

Debito e crisi si combinano, a volte. L’Italia nel 2010 aveva debito alto e crisi economica. Spagna e Irlanda avevano entrate alte ma per una bolla immobiliare: scoppiata quella sono entrate in crisi. 

Di solito l’austerità si rende necessaria dopo anni di spesa pubblica eccessiva rispetto al gettito fiscale.

Si distingue tra vari tipi di austerità. C’è chi dice che l’austerità riduce il pil e quindi peggiora il rapporto debito pil. All’opposto c’è chi dice che l’aumento del debito può portare a crisi bancarie e queste a crisi finanziarie e recessioni. I mercati sembrano apprezzare le politiche di austerità e fanno pagare meno interessi.

Esistono due tipi di austerità fondamentali.
Quelli basati su aumenti di tasse e quelli basati sui tagli di spesa.
Nei paesi ocse negli ultimi trent’anni aumentare le tasse in paesi che già le avevano alte hanno portato a riduzioni del pil fino a quatro anni dopo.
Le politche basate sui tagli di spesa hanno visto perdite di pil vicine a zero. 
Aumenti di tasse hanno portato spesso ad aumenti del rapporto debito pil. Non si sa se senza aumenti di tasse ci sarebbe stato comunque un aumento del rapporto.
Austerità basate su tagli di spesa ha portato a riduzioni del rapporto debito pil.
Se lasci la spesa crescere e non aumenti le tasse il rapporto debito pil cresce. Se aumenti le tasse si riduce il pil molto. I tagli di spesa, specialmente quelli che limitano l’aumento delle voci di spesa automatiche come i programmi di previdenza sociale, hanno un effetto più duraturo sul deficit rispetto agli aumenti di tasse. 
L’austerità basata sulla spesa potrebbe beneficiare del sostegno della politica monetaria, di svalutazioni del tasso di cambio, di riforme dal lato dell’offerta. Perà una spiegazione più interessante ha a che fare con le aspettative e la fiducia.
In un’economia dal debito pubblico insostenibile più rimandi le misure più restrittive dovranno essere in futuro. Se attui il consolidamento fiscale elimini l’incertezza legata alla possibilità di ulteriori ritardi che avrebbero reso la stabilizzazione più costosa.
Se alzi le tasse e basta imprese e consumatori penseranno che continuerai a farlo (dovrai finanziare la spesa automatica che cresce, come i sussidi) e non avranno fiducia. Se tagli le spese tagli l’automatismo che genera nuovo debito.
Dal lato dell’offerta un aumento delle imposte sul lavoro, per esempio, riduce l’offerta di impieghi e ne alza i costi per le imprese, quindi i prezzi dei beni. Inoltre riduce la domanda aggregata dei consumatori, data la diminuzione del reddito disponibile. Anche i tagli di spesa riducono la domanda aggregata ma, specialmente se sono percepiti come permanenti, riducono l’ammontare di tassazione che i consumatori si aspettano di dover pagare in futuro e possono inflluenzare anche l’offerta di lavoro poiché ci si aspetta una diminuzione delle imposte. Queste interazioni di domanda e offerta producono degli effetti di equlibrio generale. Un fattore importante è la natura permanente o transitoria delle variazioni di politica fiscale. 

Si parla di austerità espansiva quando la crescita osservata in presenza di aggiustamento fiscale è più alta della crescita che si sarebbe osservata nel caso in cui la politica fiscale fosse rimasta invariata. L’austerità puà essere espansiva, secondo questa definizione, solo se è basata su tagli di spesa. 
Il costo diretto in termini di pil dei tagli alla spesa deve essere più che compensato dalla crescita delle altre componenti della domanda aggregata (consumi, investimenti, esportazioni nette). 
Non vuol dire che ogni taglio di spesa sia espansivo.
Si può parlare di austerità espansiva quando dopo le misure di austerità il tasso di crescita del pil del paese è tra i più alti tra paesi simili. Come per Austria, Danimarca, Irlanda negli anni Ottanta. Spagna, Canada, Svezia negli anni Novanta.

Quando adottare le misure di austerità? Sarebbe meglio in periodi di espansione. Però nel campione esaminato si sono presi sono più numerosi i casi di austerità presa in fase di recessione. Stabilire se i moltiplicatori siano più grandi durante uan recessione è una questione spinosa. Quando l’economia è in recessione potrebbero già essere avviati meccanismi di ripresa, a volte manca il tempo per posticipare le misure (la crisi del 2011 era alle porte: si potevano evitare le misure a dopo?), se i paesi partner implementano tutti politiche di austerità i costi saranno maggiori, in una situazione di tassi a zero la politica monetaria non può fare niente mentre l’austerità può ridurre gli spread dei tassi a lungo termine. 
In ogni caso si conferma che i costi delle politiche di austerità basate su tagli di spesa sono inferiori. Cioè l’impatto sul pil è quasi nullo. 

Il libro analizza duecento piani di austerità pluriennali in sedici economie ocse da fine anni 70 al 2014.

I PIANI DI AGGIUSTAMENTO BASATI SU AUMENTI DI TASSE (TAX BASED) SONO MOLTO PIù RECESSIVI DI QUELLI BASATI SULLA SPESA (EXPENDITURE BASED) PER TUTTO IL PERIODO CONSIDERATO E IN PARTICOLARE NEI DUE ANNI SEGUENTI L’INIZIO DI UN PIANO DI CONSOLIDAMENTO FISCALE.
Tagli alla spesa improduttiva inducono a pensare che lo stato abbia meno necessità di finanziarsi in futuro e quindi che metta meno tasse e ciò favorisce consumi e investimenti.
Mettere più tasse immediate e far calare gli investimenti sembra invece che abbia l’effetto contrario, recessivo. La crescita rallenta.
Le politiche di accompagnamento, come la liberalizzazione dei mercati e la crescita del grado di concorrenza, sono importanti per far sì che dall’austerità nascano i fiori.

I piani basati sulle tasse danno luogo a recessioni profonde e prolungate, della durata di diversi anni. Quelli basati sulla spesa esauriscono i loro limitati effetti recessivi entro due anni dall’introduzione. 
Si può distinguere tra effetto di tagli di spesa per beni, servizi e investimenti e l’effetto di tagli ai trasferimenti. I risultati sono simili. I tagli ai trasferimenti comportano costi più bassi in termini di crescita del pil. 
La componente della domanda aggregata che ha un effetto maggiore sulla differenza tra austerità basata sulle tasse e austerità basata sui tagli di spesa è quella degli investimenti privati.

Come agiscono le politiche sul rapporto debito pil? La dinamica del debito dipende dal rapporto debito pil ereditato dai periodi precedenti, dal tasso di crescita del pil, dall’andamento dell’inflazione ,dal costo medio del debito. Nel caso di alto debito e alti interessi un piano basato sulla spesa ha un effetto stabilizzante sulla dinamica del debito, al contrario di un piano basato sulle tasse.
Nel caso di basso debito e bassi tassi di interesse il piano basato sulla spesa resta stabilizzante mentre quello basato sulle tasse è neutrale.

In questo libro non si tengono in considerazionie tutti i paesi. Gli effetti dei piani di austerità potrebbero essere diversi nelle nazioni in via di sviluppo, che hanno anche settori pubblici molto più piccoli dei paesi ricchi. 
Si considerano gli effetti di breve periodo, fino a cinque anni. Non si considerano questioni di lungo periodo come la riforma pensionistica. Un piano di austerità che riduca il debito nel breve periodo può non produrre effetti permanenti se non è messa in atto anche una riforma pensionistica. Non ci si occupa di questioni intergenerazionali.
Non si considerano aumenti di spesa o tagli alle tasse fatti per stimolare l’economia. 
Non si considerano gli effetti dell’austerità sulle variabili macroeconomiche aggregate e sulla distribuzione del reddito o sulle riallocazioni settoriali.

LA TEORIA

Aumenti di tasse e tagli di spesa ridurrebbero la domanda aggregata e causerebbero quindi recessioni lunghe e profonde. Invece no.
Gli effetti della politica fiscale hanno effetti anche sull’offerta poiché modificano gli incentivi degli agenti economici. Inotlre consumatori, lavoratori, investitori, risparmiatori compiono scelte economiche anche sulla base delle loro aspettative per il futuro. Le decisoni di politica fiscale prese oggi riguardano anche il futuro. Le decisioni di politica fiscale non vanno pensate come azioni isolate che incidono su una singola voce di bilancio. Quando i governi attuano correzioni di bilancio annunciano misure pluriennali e la natura pluriennale non può essere ignorata.
Quando pensiamo al futuro consideriamo anche l’incertezza. I piani di austerità sono adottati di solito in momenti di crisi, che vedono calo di fiducia e aumento di incertezza sulla sostenibilità del debito. Quindi l’austerità può influenzare le aspettative e la fiducia di imprese e consumatori. Se l’austerità è rimandata l’impressione di prolungare la crisi puà deteriorare la fiducia e aumetnare l’incertezza.
I piani di austerità fanno parte di un sistema di riforme più complesso che comprende riforme strutturali nei mercati del lavoro, dei beni, dei servizi.

Per la teoria keynesiana i tagli di spesa sono più recessivi delle tasse. Quando keynes scriveva la spesa pubblica sul pil era tra il 10% degli usa e il 30% della francia. Oggi stanno tra il 40% e il60%. Gli effetti di variazioni di tasse e spese possono essere molto diversi quando il livello di partenza è diverso. Non è più così semplice il mondo di oggi, il modello keynesiano oggi dà risposte non corrette.

Segue spiegazione del modello keynesiano is lm. Il modello descrive solo la domanda, non considera l’offerta, non considera gli incentivi economici, è statico, non considera le conseguenze future delle decisioni di oggi. La versione moderna, neokeynesiana, considera queste cose e anche le imperfezioni nel funzionamento dei mercati finanziari e del lavoro ma non altera il messaggio secondo cui l’austerità è costosa, soprattutto se fatta attraverso tagli di spesa. 

Molti programmi di spesa pubblica vivono di vita propria. Si pensi alla spesa sanitaria o pensionistica. Una revisione restrittiva segnala che le tasse saranno più basse. Lo stesso effetto, anche se minore, si produce con tagli di spesa sdiscrezionali purché percepiti come duraturi. Se le dinamiche della spesa non cambiano aumenti di tasse fanno pensare che ce ne saranno altri in futuro.
I tagli di spesa segnalano che le tasse future saranno inferiori e i consumatori penseranno che il loro reddito permanente sarà cresciuto. I consumi privati possono allora reagire immediatamente. I soggetti più poveri potrebbero non tenere conto di imposte più basse e non hanno risparmi né possono prendere a prestito, sono soggetti a vincolo di liquidità. Anche gli abbienti potrebbero non avere investimenti liquidabili e quindi potrebbero non spendere. Però per chi ha risparmi liquidi le aspettative sul futuro contano. I piani di investimento possono essere ricalibrati. Se mi aspetto più tasse in futuro investirò meno oggi. I profitti futuri saranno tassati di più e un aumento delle tasse future per i consumatori diminuirebbe le vendite. Se si attua un taglio di spesa si segnala una riduzioen di tasse future che stimolano gli investimenti. 

Se stabilizzo il debito mi aspetto che non ci saranno presto nuove misure di austerità. Se il bilancio resta insostenibile dovrò pagare interessi alti anche nel mercato dei crediti. Un debito sostenibile che fa calare i tassi di interesse sostiene la crescita degli investimenti privati. Attuare politiche di austerità oggi ed evitare misure più drastiche in futuro potrebbe produrre un effetto netto positivo sulla domanda attraverso consumi e investimenti.

Recessione: c’è scarsa fiducia e incertezza. Aumenti le tasse: ti aspetti che aumenteranno ancora perché le spese restano uguali. Se non stabilizzi ti aspetti che prima o poi ci sarà la stabilizzazione e allora l’incertezza aumenta e con lei si riducono consumi e investimenti. Se ti aspetti che ci sarà una correzione limiterai le spese fino a che l’incertezza sarà risolta. L’annuncio di politiche di austerità credibili può eliminare tale incertezza, accrescendo la fiducia degli investitori. 

Quando la disoccupazione è elevata la percentuale di consumatori hand to mouth è relativamente alta. In un’economia in recessione è più probabile che gli effetti dell’austeritò siano più profondi. Quando l’economia è in espansione il costo del’austerità potrebbe essere inferiore. La tempistica è una cosa complicata. Potresti ammazzare un’economia che si sta riprendendo oppure potresti uccidere un cavallo già morto (alimentando la recessione). 

È importante il rispetto degli annunci. Ci sono state politiche annunciate e poi revocate. Ci sono stati i condoni in Italia. Se annuncio una tassazione sugli investimenti dall’anno prossimo investirò quest’anno. Se annuncio l’aumento dell’iva per riabbassarla comprerò tra un anno.

La politica fiscale altera gli incentivi di lavoratori e imprese. Alzare le imposte sul lavoro riduce l’incentivo a lavorare. L’impatto di tali imposte è minore per i maschi maggiorenni e maggiore per donne e anziani. I secondi percettori di reddito sono più sensibili all’analisi costi benefici del lavorare sul mercato o in casa. I giovani possono decidere id stare in casa. Gli anziani possono scegliree di anticipare l’età di pensione. Alzare le aliquote comunque determina disincentivi più forti. È preferibile ampliare la base imponibile chiudendo le scappatoie normative e riducendo le detrazioni.

La tassazione sul capitale scoraggia gli investimenti. Le tasse sui salari aumentano il costo del lavoro. Se la retribuzione netta diminuisce a parità di livello salariale pre imposte i sindacati chiedono salari più elevati. I costi delle imprese aumentano e ne riducono la competitività. Quindi le esportazioni possono ridursi.
Se i tagli di spesa sono ottenuti riducendo il tasso di crescita degli stipendi dei dipendenti pubblici, riducendo il loro numero o non aumentandone il salario procapite. Ciò spingerà al ribasso anche i salari privati. Questo effetto è forte dove le economie sono sindacalizzate e contratti pubblici e privati sono collegati dalle politiche sindacali. La moderazione salariale aumenterà i profitti e gli investimenti anche se può ridurre il consumo dei lavoratori. 

I piani tax based, soprattutto quando si basano su aumenti di aliquote, riducono gli incentivi a lavorare e a investire. Per i piani di austerità expenditure based bisogna distinguere tra spesa corrente, spese in conto capitale e trasferimenti (come previdenza sociale e indennità di disoccupazione). Le spese correnti non incidono sugli incentivi privati, fatta eccezione per il legame tra retribuzioni pubbliche e private.
Ridurre gli investimenti pubblici nelle infrastrutture può avere effetti nel lungo periodo.
La riduzione dei trasferimenti ha due effetti contrastanti: da un lato funzionano come aumenti di tasse e riducono il reddito disponibile; dall’altro aumentano l’offerta di lavoro perché le persone si sentono più povere.


Riforme fiscali che aumentano la base imponibile sono meno distorsive. Molte riforme fiscali hanno effetti ritardati, come le riforme della previdenza sociale. L’evasione di solito si riduce lentamente. 


Negli anni Settanta e Ottanta molti Paesi OCSE hanno adottato normative stringenti per i mercati dei beni, dei servizi e del lavoro. Tali norme ostacolavano la concorrenza, soprattutto nel settore dei servizi. Una rigida regolamentazione del mercato del lavoro, come salari minimi elevati e alti costi di licenziamento, ha ridotto l’occupazione. L’introduzione di lunghi periodi di ferie retribuite ha diminuito il numero di ore lavorate in Europa rispetto agli Stati Uniti. Negli ultimi decenni, però, la rigidità della regolamentazione dei mercati del lavoro e dei beni è stata allentata. In molti casi, la sensazione di essere in una «grave crisi economica», oltre a indurre i governi ad attuare misure fiscali eccezionali, può anche fornire il capitale politico per associare all’austerità alcuni provvedimenti di liberalizzazione. Talvolta le riforme del mercato del lavoro hanno effettivamente accompagnato piani di austerità: un caso di cui parleremo è la Spagna negli anni Novanta. La significativa riforma del mercato del lavoro attuata in Germania nel 2003 – riduzione dei sussidi di disoccupazione a lungo termine e penalizzazione dei lavoratori sussidiati che non accettano successive offerte di lavoro – è stata accompagnata da un periodo di consolidamento fiscale, realizzato con una combinazione di aumenti delle tasse e tagli alla spesa.

Un programma di austerità può influenzare i tassi di interesse. Ridurli può comportare un deprezzamento del tasso di cambio nominale, cosa che agevola le esportazioni. Un programma di austerità può ridurre la probabilità che un paese ricorra alla tassa da inflazione (cioè che si svaluti il debito in termini reali mediante la crescita del livello dei prezzi), cosa che rafforzerebbe il tasso di cambio.

La politica monetaria può ridurre i tassi di interesse favorendo gli investimenti e deprezzando il tasso di cambio. In una fase di tassi zero questo non è possibile. Politiche monetarie non convenzionali come i quantitative easing possono aiutare.

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