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Lo stupore delle prese elettriche

Babashoff – Ender: tra sport e doping di Stato.

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Shirley Babashoff aveva diciannove anni quando le interruppero un sogno. Aveva vinto ai mondiali di Berlino e all’Olimpiade di Monaco. A Montreal, nel 1976, era la favorita numero uno. C’era chi la paragonava a Mark Spitz. In America contavano su di lei per la conquista di un ragguardevole numero di ori. “Mi sentivo carica. Piena di convinzione. Mi ero allenata duramente. Ai trials avevo superato tutti. Sentivo anche le aspettative della nazione su di me, ma non mi pesava.”
babashoff
Era il periodo della guerra fredda. Le Olimpiadi servivano agli Stati per vantarsi dei loro successi di fronte ai nemici. La propaganda non mancava e per le popolazioni era immediato distinguere gli atleti tra eroi e pusillanimi.
A mettersi di traverso tra lei, gli Stati Uniti e i successi furono le nuotatrici della Germania Est. Vinsero quattro ori, sempre davanti alla Babashoff. Nessuno toglierà a loro il momento in cui toccano per prime il traguardo e all’americana la sensazione della sconfitta. Per di più lei era convinta che quelle barassero. Lo gridò al mondo davanti alla stampa, ma nessuno le volle dare retta. In America le affibbiarono il nomignolo di Surley Shirley, la perdente (sia pure con quattro argenti olimpici al collo) che si lamenta e spara a zero sulle avversarie che l’hanno battuta.
Non sappiamo cosa avrebbero detto le tedesche dell’est se avessero potuto replicare sinceramente, ma è probabile che fossero innocenti, cioè inconsapevoli di essere vittime di un sistema di doping di stato che venne implementato in Germania Orientale e portò quel Paese di diciassette milioni di abitanti a conquistare un numero di medaglie olimpiche spropositato.
La Babashoff non volle più farsi vedere per trent’anni. Tornò in pubblico a Seattle, quando tutti avevano conosciuto la verità.
Negli albi d’oro resterà la grande loser. Avrebbe potuto essere giudicata la miglior nuotatrice di sempre, con un metallo diverso appeso al collo.
Vorrebbe che fossero tolte le medaglie alle tedesche (diecimila erano coinvolte, solo a centosessantasette sono state tolte). A loro, più che le medaglie, è stata tolta la possibilità di una vita normale. Alcune le hanno rifiutate. Altre penseranno comunque a quando hanno ottenuto quei successi: quelle sensazioni restano.
Kornelia Ender smise presto. Forse aveva intuito qualcosa. La fecero innamorare di un altro campione, Roland Matthes, ma non durò. La sottoposero a restrizioni per cercare di tenerla in corsa anche per Mosca ‘80. Adesso fa la fisioterapista a Magonza. Per molti sarebbe ingiusto togliere a lei le medaglie perché, malgrado l’aumento di massa muscolare di otto chili in breve tempo, lei era probabilmente davvero fortissima. Forse avrebbe vinto anche senza il doping. Purtroppo nessuno potrà saperlo.
kornelia ender
Shirley ebbe un figlio, ma se le chiedete chi sia il padre non dirà il suo nome. Quell’uomo la rese incosciente quando annunciò che avrebbe voluto fare i master. Divorzierà, si rifarà una vita, vincerà ai master, avrà un nuovo marito, continuerà a sentirsi defraudata di quattro medaglie d’oro, ma magari ricorderà con estremo piacere il momento di gloria legato alla staffetta 4×100.
Quella gara segnò il trionfo delle americane. Si svolse dopo che le tedesche avevano vinto tutto e per la quale avevano stabilito il record del mondo. La prima staffettista fu la Ender che scavò un solco con l’americana. La seconda tedesca fu avvicinata, ma resse al comando. Fu la terza ragazza a stelle e strisce a compiere l’impresa. In virata, un particolare ancora non troppo affinato da tecnici ed atleti, superò la tedesca e la staccò. Spettò alla Babashoff il tocco finale e l’urlo che consacrò lavittoria con record del mondo delle staffettiste americane.
Sul podio poterono guardare finalmente le avversarie dall’alto in basso, mentre negli spogliatoi  ascoltavano delle voci baritonali e pensavano di essere in una stanza per coed.

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