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Lo stupore delle prese elettriche

Bce, austerità, spesa pubblica, Europa, banche: favole e numeri spiegati da Alberto Bisin

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Dal libro di Alberto Bisin, favole e numeri

LA BCE

La bce dovrebbe essere più accomodante?

 

Le idee sono due:

  1. L’intervento della bce non dovrebbe andare a finanziare i debiti dei singoli stati, ma potrebbero intervenire in quelle operazioni che danno liquidità alle banche per evitare i credit crunch. Se il problema sono le banche interveniamo su quelle: la fed si è fatta mercato interbancario quando questo era congelato, fare in modo che vendano i titoli sovrani che hanno in eccesso (anche perché per Basilea II erano tutti titoli a basso rischio e quindi li hanno comprati per essere in regola: adesso non prestano perché i rischi sono cresciuti,) farle ricapitalizzare, rifare gli stress test ecc. Perché abbassarsi a monetizzare il debito?
  2. I rendimenti sui titoli comprendono oggi anche il rischio legato all’euro e all’area comune, quindi sono esogeni rispetto ai fondamentali economici dei singoli paesi. In realtà il rischio di crolli dell’euro o di uscite della Germania o cose simili è comunque legato al rischio dei singoli Paesi. Inoltre ci sono vincoli ben precisi che l’unione si è data proprio per evitare eccessi di discrezionalità, che purtroppo ci sono stati, con gli aggiramenti dei divieti.

 

Ma attenzione! Tra le regole e la discrezionalità vincono sempre le regole. Se un banchiere centrale pensa di poter manovrare il mercato, sappia che non può. Non esistono banchieri centrali in grado di far funzionare il mondo come vogliono loro. E neppure pianificatori centrali. Vedi alle voci: time inconsistency of monetary policy, unpleasant monetarist arithmetic, nobel a Kydland e Prescott, per la parte teorica. Per la pratica si cerchi la storia monetaria degli anni settata e ottanta, scritti di Paul Volcker, si legga della Taylor rules.

L’economia monetaria ha la stessa rilevanza di quella dei servizi postali. Non vi sono sostituti monetari indolori ai necessari interventi di politica fiscale.

 

AUSTERITA’

 

C’è chi dà la colpa della crisi ai tedeschi che vogliono punire i paesi indisciplinati. Non vogliono pagare per colpe altrui. In ogni caso si preoccupano dell’inflazione anche a ragione: basta ricordare gli anni setanta in Italia, Israele, America Latina, Stati Uniti: dovrebbe bastare il ricordo di questo a farci temere una bce dipendente dai voleri dei governi.

Tedeschi e francesi hanno sbagliato a non lasciare la Grecia al proprio destino fin dall’inizio. Forse le banche erano esposte: salvare il sistema bancario nazionale significa salvare gli interessi dei propri azionisti, spesso politici, soprattutto in Italia e Spagna.

C’è chi dice che bisognerebbe usare spesa pubblica e la Germania dovrebbe acconsentire a sforamenti nel deficit. Il fatto è che nessuna politica economica, magari per sostenere la domanda aggregata, è in grado di per sé di garantire crescita. Al limite la spesa pubblica potrebbe funzionare come politica anticiclica (in realtà non funziona ugualmente,): comunque una volta fatto deficit spending in periodo di recessione, si dovrebbe rientrare dai debiti in fase di crescita. In realtà è probabile che chi si indebiti lo faccia sempre e non pensi a rientrare mai, come dimostra l’Italia.

“Non vi sono scorciatoie per la crescita. Un Paese cresce in modo duraturo quando una data combinazione di capitale e lavoro produce una quantità e una qualità crescente di beni e servizi, cioè quando la produttività totale dei fattori cresce nel tempo. Perché questo avvenga è necessario che il capitale e il lavoro siano allocati in quei settori dove sono più efficiente. Nel nostro paese questo non avviene anche a causa della mancanza di competitività delle benche e della scarsa flessibilità del mercato del lavoro. Anche efficienti mercati dei capitali e del lavoro non sono sufficienti a garantire crescita della produttività. È necessario che il settore pubblico garantiasca servizi di qualità sempre maggiore a basso prezzo, dalla scuola, ai trasporti, alla giustizia; è necessario che così sia per i servizi professionali (avvocati, notai ecc.) per l’energia, un altro settore alla cui liberalizzazione è necessario dedicarsi con maggiore attenzione.”

Occorre avviare il lento e complesso processo di ristrutturazione eoncomica di cui l’Italia ha bisogno da molto tempo. La crisi debitoria è la doccia fredda che costringe ad affrontare problemi strutturali, non la causa.

 

POLITICHE ANTICICLICHE

Non sarebbe meglio sostenere la domanda oggi e attuare politiche di austerità domani, quando siamo tornati a crescere?

 

Secondo questo modo di argomentare la recessione è uno schock negativo su consumi e investimenti che ha effetti diretti e indiretti (attraverso il moltiplicatore) sulla disoccupazione; una maggiore spesa pubblica riducono lo shock e la disoccupazione.

Che l’austerità deprima l’economia è chiaro anche per la teoria economica moderna, che tiene conto di variabili stock come la ricchezza privata e il debito pubblico, e dalle aspettative sulla dinamica futura di queste variabili. Inoltre l’effetto quantitativo di spesa e imposte sono diversi e anche i diversi tipi di spesa pubblica hanno effetti diversi.

Comunque l’austerità è recessiva. Il fatto è che anche se le politiche fiscali restrittive sono recessive, ciò non toglie che possano essere desiderabili. Quali sono le alternative?

Innanzitutto può essere che l’austerità sia necessaria: se i mercati temono la solvibilità futura del paese, l’austerità serve ad allentare la presa…e un’austerità fatta con riduzioni di spesa anziché con nuovi aumenti di tasse, già alte. Ritardarne l’adozione, peggiorerebbe la recessione oggi.

Inoltre attendere un riaggiustamento significa aspettare un tempo che non avverrà. Si parla di incoerenza temporale della politica economica, che è una proprietà della politica economica che descrive la tendenza a procrastinare e dipende dalla struttura politica e istituzionale. La struttura istituzionale italiana è tale per cui questa propensione è massima e il debito ne è un effetto. La politica economica in Italia è incpoerente, cioè piegata ai volubili interessi del momento, con minima attenzione agli effetti di medio lungo periodo. “per questo deleghiamo la politica monetaria ai tedeschi, ma la rivogliamo indietro. O vogliamo cambiare la legge elettorale a ogni elezione.” L’Italia sono decenni che ha bisogno di un riaggiustamento fiscale. Anche quando ha goduto di situazioni favorevoli, come bassi tassi di interesse, non lo ha fatto.

 

Economia moderna. Pensare sulla base di modelli statici è un errore madornale. Le economie sono processi dinamici e come tali vanno modellati. Buone politiche economiche devono essere pensate e definite anch’esse come meccanismi dinamici, come regole di intervento.

 

Se una recessione dura da venti anni, non è una recessione, cioè un fenomeno ciclico, ma una questione strutturale, che va affrontata con strumenti di riforma strutturale, che favoriscano la crescita della produttività e quindi della crescita economica.

 

A un certo punto, 2011, gli investitori hanno perso fiducia nella capacità del paese di ripagare il debito. (decreto legge tremonti per la stabilizzazione finanziaria,” che spostava il peso degli interventi di maggiore rilevanza a dopo le elezioni.

I mecati perdono fiducia e chiedono quindi un rientro più rapido e questo richiede più tasse o meno spesa e quindi una riduzione della ricchezza attesa dai contribuenti e quindi una riduzione dei consumi. Se la spesa pubblica non fosse stata compensata dalla ricchezza privata disponibile (evasione?), la riduzione dei consumi sarebbe stata ancora peggiore.

Negli anni ottanta i governi hanno favorito un’irresponsabile accumulazione del debito. Craxi ha permesso il finanziamento di spesa pubblica. Con l’euro l’Italia ha goduto di un periodo di tassi bassi ma ha continuato a spendere. La produttività totale dei fattori è scesa, però, tra il ’95 al 2008, dello 0,22 per cento l’anno, mentre è cresciuta in Germania e Francia dello 0,5% annuo, e ancora di più negli Stati Uniti. In queste condizioni anche la bassa crescita del pil è stata drogata dalla spesa pubblica a debito.

Che fare?

Nel medio periodo occorre far crescere la ptf, cioè la capacità del sistema di produrre reddito, per dato impiego dei fattori capitale e lavoro.

Nel breve si può crescere aumentando l’utilizzo dei fattori: lavorando di più e investendo più capitale. Per avere più lavoro e investimenti oggi in Italia occorre ridurre le tasse su persone e imprese in modo sostanziale.

A riduzioni del carico fiscale devono fare da contraltare estesi tagli di spesa pubblica, ma di quella inefficiente, in modo che spazi di crescita del pil restino.

Un ritorno alla crescita della ptf richiede interventi in profondità sul merato del lavoro, sul mercato dei capitali, sui servizi pubblici fondamentali (giustizia, istruzione, sanità ecc.), su quelli privati, soprattutto sulle professioni e sulle infrastrutture. Gli interventi sui mercati e sulle professioni devono liberare risorse garantendo maggiore competitività. Mentre gli interventi sui servizi pubblici devono garantire incrementi di produttività e devono farlo liberando risorse utilizzate con scarsa efficienza, a causa del vincolo di bilancio.

Tutto questo è possibile perché ampi sono gli spazi di intervento in Itali. Ancora molto limitata è la competitività del settore privato: basti pensare al mercato del credito e delle professioni. Molto ridotta è la produttività del settore pubblico, a fronte di una spesa elevata, soprattutto al sud: si pensi a giustizia civile, scuole, politica locale, partecipate pubbliche, sanità ecc.

 

BANCHE

Ricevono soldi in misura maggiore di quanti ne prestino.

Saranno poche le richieste di investimento della domanda, ma il problema sta nell’offerta.

Sono poco capitalizzate, anche perché avevano grandi quantità di titoli del debito pubblico che hanno perso valore. In un mercato concorrenziale le banche sarebbero costrette a vendere i titoli e a ricapitalizzarsi sul mercato azionario. Invece usano la liquidità per comprare ancora più titoli e si oppongono con forza a ricapitalizzarsi per non diluire i propri azionisti e proteggere il proprio management. Questo perché le banche non guardano ai mercati ma al governo: si procurano benemerenze in attesa di un salvataggio a spese dei contribuenti. Il Tesporo rignrazia perché gli fa vendere titoli e ridurre lo spread.

A che serve alle imprese un lavoro meno costoso e più flessibile se non possono finanziare i propri investimenti?

I finanziamenti facili ai privati hanno portato problemi negli Usa. Il Giappone non si riprende dalla recessione degli anni novanta per motivi simili. Ma la liberalizzazione del settore bancario è comunque prioritaria, anche se i problemi sono comuni ad altri paesi.

Ricapitalizzare diluisce il capitale degli azionisti, ma la banca può tornare a produrre credito e profitti. In un’economia concorrenziale la domanda di credito insoddisfatta dalle banche illiquide viene soddisfatta da banche in buone condizioni di bilancio o da nuove banche che entrano nel mercato. Purtroppo non nascono banche come funghi ne lla realtà e le mancate ricapitalizzazioni riducono l’offerta di credito. Quindi il tasso di interesse cresce e ciò non favorisce l’uscita dalla recessione. Le banche, però, sono di proprietà di fondazioni di natura politica e anche negli stati uniti operano in assicurazione sui depositi, assicurazione pubblica a spese dei contribuenti. La politica economica che non favorisce la ricapitalizzazione fa gli interessi degli azionisti e non quella del paese.

Evitare che le banche ricapitalizzino a prezzi troppo bassi è un errore.

Le banche nel 2008 hanno tutte investito nello stesso posto, gli immobili. Il rendimento di una era quello dell’altra. Questi comportamenti vanno disincentivati dallo stato. Se poi i valori delle case sono scesi e il loro capitale ha perso valore, si sono trovate in crisi di liquidità, non devono essere salvate, non va evitata loro la ricapitalizzazione, anzi va fatta, e a valori di mercato, cioè molto più bassi di quelli a cui avevano investito i capitali. In questo modo gli azionisti ci perdono, certo. Il venditore ci perde, ma il compratore ci guadagna…e il compratore è uno che ha risparmiato un po’ di soldi, prima, e ha adesso la possibilità di comprare. Il comportamento ex ante da premiare è il secondo, non quello delle banche. Salvarle vuol dire favorire comportamenti irresponsabili. Le banche non vanno aiutate perché così stati, banche, investitori hanno incentivi individuali al funzionamento efficiente del sistema economico.

Le banche devono temere come una peste l’illiquidità o l’insolvibilità. Gli stati devnon temere di essere sovraesposti da essere costretti a svendere in una recessione.

 

PIU’ EUROPA?

Severo controllo politico della spesa e della fiscalità dei paesi membri: meccanismo untiario che possa agire a livello europeo su spesa e finanza dei paesi membri.

Questo dà troppo potere ai paesi forti e spinge a incentivi del tipo nord sud italia. I trasferimenti dal nord servivano a limitare i costi sociali di un mancato sviluppo del sud. Inoltre questa forma istituzionale ha il problema di esser dirigista. Tutto è deciso in sede politica e i mercati finanziari sono tenuti a bada con qualche fondo di salvataggio. Questa è la reazione che la burocrazia europa ha assunto a ogni fallimento: richiedere più Europa. La crisi è il risultato del fallimento della politica europea, francese, tedesca, che non ha saputo imporre a se stessa le regole che si era data.

 

Invece è preferibile garantire meccanismi ordinati di default sovrani. Il controllo dei mercati permetterebbe di capire che vendere imprese statali alla cassa depositi e prestiti è un escamotage politico.

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