http://noisefromamerika.org/articolo/concorrenza-fiscale
Di Alberto Bisin
Vedere prima l’Economist e poi Mario Monti che elogiano il modello francese e picchiano sull’Irlanda è assolutamente troppo.
Solo gli uomini semplici e i bambini pensano che le persone, le cose, le idee siano o buone o cattive.
Questo vale anche per le politiche economiche. La crisi economica è stata esacerbata da mercati finanziari regolamentati poco e male. Non ci piove. È quindi indubbia la necessità di nuove forme di regolamentazione dei mercati dell’economia globale. Bisogna farlo bene, non motivati da infantile vendetta. Soprattutto è opportuno tenere sempre a mente che a regolare sono e saranno governi e istituzioni internazionali, complesse burocrazie che agiscono sulla base di interessi politici e attraverso dinamiche non necessariamente in linea con gli interessi della collettività. [In forma così generale questa affermazione sembra un po’ ovvia, e forse lo è; ma è comunque una affermazione importante – il cui sviluppo coerente si deve a James Buchanan (non il presidente, uno dei peggiori, apparentemente) e Gordon Tullock, al primo dei quali è stato assegnato il Nobel per l’economia proprio per questo].
In particolare, i governi hanno una ben documentata tendenza alla eccessiva spesa pubblica. Questo perché la spesa pubblica si traduce in controllo delle risorse, potere, e in ultima istanza è strumento fondamentale al raggiungimento del consenso elettorale. Per inciso, su questo si è sviluppata una larga letteratura in economia, che peraltro è quasi monopolio italiano: a partire da Alesina e Tabellini, fino a Lizzeri e Persico e a Battaglini.
Ed è così che i politici sfruttano la crisi per i propri interessi (politici): Nicholas Sarkozy, ad esempio, che pure ha fatto del modello anglosassone e del ridimensionamento del welfare il suo cavallo di battaglia, ora cavalca invece l’anti-mercato. E non dimentichiamo gli esempi di casa nostra (vostra): la politica economica del centro-destra in Italia è passata, almeno a parole, dal liberismo ideologico un po’ tonto di Antonio Martino alle più recenti posizioni interventiste del ministro Tremonti. [La pagina wikipedia in italiano di Martino, edulcorata, è qui; quella in inglese, che riporta i suoi danni al Ministero della Difesa, è qui.]
Ma anche i più attenti osservatori delle questioni economiche europee sembrano favorevoli ad un ridimensionamento del ruolo del mercato. L’Economist, non certo fautore delle economie sociali dell’Europa continentale, sembra rivalutare il welfare francese e tedesco. Persino Mario Monti, che ha sempre difeso concorrenza e mercato, ha auspicato, in un editoriale sul Corrieredi Domenica, un maggiore coordinamento delle politiche fiscali tra paesi, per evitare che la concorrenza fiscale, “determinando […] una corsa all’abbassamento delle aliquote d’imposta”, riduca il gettito, e quindi “il finanziamento di programmi sociali”.
Quella della riduzione della concorrenza fiscale è questione importante, che sta a cuore a molti governi e che ha dominato le discussioni ai G20. Anche il governo Obama, sempre attento a non farsi scappare politiche economiche dannose, ha mosso passi decisi in questa direzione, proponendo una modifica del regime fiscale delle società che in buona sostanza impedirebbe alle imprese multinazionali statunitensi di adottare regimi di tassazione più favorevoli di quello americano.
È triste che Monti spari contro la concorrenza fiscale con argomenti francamente debolucci (anche se all’interno di una complessa quanto confusa strategia compromissoria per la Commissione).
Vale la pena, quindi, di soffermarsi un po’ più in dettaglio sui vantaggi e i costi della concorrenza fiscale. La retorica populistica vuole che queste misure siano una difesa necessaria dalla fuga dei capitali verso i paradisi fiscali. In realtà esse rappresentano innanzitutto una forma di protezionismo del mercato del lavoro interno dalla concorrenza di paesi in via di sviluppo quali l’India e la Cina. Ma più in generale, quello che i governi temono maggiormente è la concorrenza fiscale di paesi sviluppati, con moderne infrastutture, ma a bassa imposizione, come l’Irlanda. La tassa sulle società (centrale, regionale e locale) è del 12,5% in Irlanda, mentre è del 34% in Francia, del 30% in Germania, ed in principio del 39% negli Stati Uniti (anche se varie esenzioni ne permettono una riduzione notevole per la maggior parte delle imprese). I dati sono OCSE (io li ho presi da un bell’articolo del WSJ).
Per garantire la competitività delle imprese nazionali, quindi, Francia, Germania, Stati Uniti, potranno essere costrette ad un “abbassamento delle aliquote d’imposta”. A meno di raggiungere un accordo sul coordinamento delle politiche fiscali ad aliquote più elevate, che riduca sostanzialmente la concorrenza fiscale (includendo il più possibile i paesi oggi a bassa aliquota e limitando i flussi di capitale e di investimenti diretti verso quelli che rifiutino l’accordo).
Ma e’ davvero auspicabile una siffatta limitazione della concorrenza fiscale? Ci fa paura davvero un possibile “abbassamento delle aliquote d’imposta”? In un mondo perfetto, in cui i governi destinino la spesa pubblica ad una efficiente produzione di beni pubblici, la concorrenza fiscale ha effetti dannosi, proprio perche’ limita la quantita’ di beni pubblici che possono essere finanziati. In un mondo imperfetto, in cui le istituzioni politiche tendono a favorire una dinamica incontrollata della spesa pubblica, la concorrenza fiscale ha invece un effetto positivo: impone un vincolo alla capacita’ impositiva dei governi e quindi alla spesa eccessiva ed inefficiente.
La limitazione della concorrenza fiscale ha quindi effetti opposti a seconda di quale sia il mondo in cui viviamo e di quanto le istituzioni politiche siano in grado di limitare la propria naturale tendenza alla spesa: solo gli uomini semplici e i bambini pensano che le le persone, le cose, le idee siano o buone o cattive.
Purtroppo non e’ difficile osservare quanto imperfetto sia il mondo reale. Ed e’ soprattutto in Europa che le istituzioni hanno permesso a spesa pubblica e a tassazione di raggiungere livelli tali da soffocare la crescita economica ormai da anni. Ne parliamo e riparliamo da tempo su nFA. E’ questo il caso dell’Italia, ovviamente. Ma anche di quei paesi come la Francia e la Germania, che pure hanno una amministrazione pubblica efficiente.
E allora si agisca pure sulle Isole Cayman, ma ben venga la concorrenza fiscale dell’Irlanda.