C’era una volta “Sette giorni di cattivi pensieri,” una rubrica trentennale, curata da Gianni Mura su Repubblica, in cui lui scriveva di sport, attualità, ma anche di libri o di musica, facendomi spesso conoscere qualcosa di nuovo e di interessante e dando risalto a quelle notizie di cronaca, spesso positive, che restavano nascoste all’interno dei giornali. Intitolare una categoria del mio blog “KattiviPenzieri” è un omaggio a quella rubrica.
Ho fatto una breve ricerca sui suoi scritti durante i mondiali di Italia ’90 e ho scelto questo, per dare un’idea dello stile: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/06/17/endecasillabi-parolacce.html?ref=search
Una delle cose peggiori di Italia ’90, dice, è che:
obbliga i calciatori a far finta di cantare l’ inno nazionale, alcuni lo cantano veramente. Ma lo canterebbero senza tv? Uno che canta è Giannini, e canta chiaro: Dedico il gol a chi mi ha criticato per tre anni. Bravo, lo aspettavamo, niente di meglio di un gol agli Stati Uniti per sparare sulla Croce rossa. Principe, tu infierisci su dei morti. Tre anni di critiche per rendere Giannini titolare inamovibile: ma cos’ è questa critica, cosa ottiene, a cosa serve? Serve a far parlare i calciatori. Specie brasiliani. A Pelé non piace il modulo e il gioco del Brasile? E’ solo un ex giocatore. O torna a giocare, o sta zitto. Firmato Lazaroni (4). Pelé può dire quello che vuole tanto non ce ne frega niente. Firmato Dunga (5). Pelé dice solo stupidaggini. Firmato Muller (2,5). Muller è notissimo per la profondità del suo pensiero. Chi è Pelé, in fondo? Un ex calciatore. Se esiste una categoria che i calciatori odiano, sono gli ex calciatori che fanno i giornalisti (avanti c’ è sempre posto, sorpassate pure ma senza spingere). Più ancora dei giornalisti. In breve, 4 a Giuliano Terraneo, ds del Monza, perché ha smesso di fare il portiere. Un calciatore serio in meno (speriamo, un ds serio in più, in questo caso raddoppierò il voto).
Non ricordo molto di quei mondiali. A Firenze giocò nel primo turno la Cecoslovacchia. C’erano polemiche continue sugli scandali che via via emergevano. A causa dei mondiali e della ristrutturazione degli stadi, la Fiorentina dovette giocare a Perugia le partite interne della coppa Uefa della stagione. Ecco. Ricordo molto più quelle, di partite: la vittoria sul ghiaccio a Kiev; la semifinale conquistata a Brema mentre i miei compagni di classe erano in gita a Monaco di Baviera ed esultarono in un albergo tedesco mentre io ero a letto in Italia; le prodezze di Roberto Baggio; la salvezza conquistata battendo l’Atalanta quattro a uno mentre io ero in una pista di autoscontro; la rivolta della città contro i Pontello dopo l’annuncio della cessione di Baggio alla Juve; la finale persa contro la Juventus dopo avere dominato il primo tempo a Torino davanti a duemila tifosi entusiasti; la finale di ritorno giocata ad Avellino per la squalifica del campo; le contestazioni alla nazionale a Coverciano. Notate alcune parole che odorano di passato, a proposito: coppa Uefa, Cecoslovacchia. Altre, invece, sono immutabili come l’Italia degli ultimi cinquant’anni. Scandali, per esempio.
Non ricordo molto di quei mondiali, dicevo, ma mi è rimasta impressa in mente una polemica tra gli intellettualoidi di Repubblica, gli Scalfari, i Placido, contro i giornali sportivi. Erano i giorni in cui la presunta e autoproclamata intellighenzia di sinistra (autoproclamatasi sia “intellighenzia” che “di sinistra”) si dava appuntamento a Capalbio a spendere i soldi conquistati a suon di scritti contro l’avido capitalismo pur di non vedere quello scempio di evento sportivo di rilevanza mondiale, e popolare, che si svolgeva in Italia. Perfino l’Unità li prendeva in giro:
http://archiviostorico.unita.it/cgi-bin/highlightPdf.cgi?t=ebook&file=/archivio/uni_1990_06/19900611_0023.pdf&query=capalbio
Cosa altro ricordo? Che le partite dei mondiali furono di una noia mortale. La stessa cosa si ripeté a Usa’94. Erano gli anni in cui tutti cercavan di imitare il Milan di Sacchi, che era stato spettacolare finché a giocare a zona totale era solo lui. Poi le partite diventarono match di scacchi giocati a centrocampo: la lentezza era impressionante e il gol non era previsto dagli schemi, quindi non si cercava innanzitutto di segnare, ma di rispettare i movimenti e di tenere le posizioni. Fu aumentata anche la frequenza d’uso di alcuni termini come ripartenza o intensità, senza che se ne sentisse proprio un gran bisogno.
Ricordo, infine, l’antipatia che ormai aveva preso la nazione nei confronti di Maradona, il genio che se si fosse trovato in un salone chic con lo smoking bianco e qualcuno gli avesse tirato un pallone pieno di fango, lo avrebbe stoppato di petto (citazione da “Bambini Infiniti,” di Emanuela Audisio.) Così in semifinale fu fischiato l’inno argentino dalla nazione intera. I napoletani, invece, cantavano “Argentina! Argentina!”, come avrebbero fatto negli anni seguenti i fiorentini, soprattutto dopo l’arrivo di Batistuta (e di Latorre: qualcuno si ricorda di Latorre?).
Vedete che poi piano piano i ricordi si affollano in fretta, come cantava De Gregori? Ecco sopraggiungere un coro: “Quando c’è Zenga tra i pali, Italia fuori ai mondiali. Caniggia gol di testa, tutta Firenze in festa.” (Zenga, ex ultrà interista, era intervenuto a difendere la squadra contro i tifosi viola che stavano disturbando l’allenamento a Coverciano, ndrr.)
Ma leggete, tanto per tornare ai Sette Giorni di Cattivi Pensieri, cosa scriveva Gianni Mura, dopo che fu fischiato l’inno dell’Uruguay nella partita contro gli azzurri, dunque qualche partita prima del fischio dell’inno argentino. Il titolo è eloquente: l’inno nazionale dell’intolleranza.
E poi, collegato con l’ Italia via tv, c’ è il mondo, che non vede solo i gol e le ole ma ascolta anche i fischi agli inni. E qui non si può dare la colpa al Col, a Matarrese, a Blatter, a Vicini, ma solo alla cattiva educazione, pubblica e privata, che ha scacciato la buona. E’ giusto sperare che gli azzurri vincano il mondiale, è sbagliato credere di aiutarli così. Intanto, in Austria, negli Usa, in Cecoslovacchia, in Uruguay, in Argentina e prossimamente toccherà agli irlandesi, la gente (quella che nei suoi stadi non fischierebbe mai il nostro inno) s’ è fatta un’ idea, e quest’ idea è poco bella, e ormai il guaio è fatto. In Messico, caro Messico, queste cose non succedevano, e nemmeno in Spagna, in Argentina, in Germania. Nel ‘ 69 a Tallinn (campionati europei juniores di pallavolo, pochi mesi dopo l’ invasione della Cecoslovacchia) ho sentito tutto un palazzo dello sport fischiare l’ inno sovietico, ma era un dissenso politico, una sfida. Qui è fatto per sport, per quello che si crede sia sport. D’ altra parte, quando si arriva a un coro di vaffa contro Malta (è successo, è successo) si è oltre le colonne d’ Ercole, nel mare aperto della stupidità. Anche a questo può servire un mondiale, che non è solo confronto di scuole calcistiche. A Genova c’ era lo stadio pieno di irlandesi, di italiani brasiliani olandesi che tifavano anche loro per i verdi. Per la Romania, non più di cento persone. Ma nessuno ha fischiato l’ inno della Romania. Irlandesi civili, brava gente, questo è certo. Italiani incivili? Non so. So che l’ intolleranza è il vero sport nazionale, e ogni occasione è buona per tenersi allenati.
Il seme dell’intolleranza dà sempre buoni frutti, ma tornando alle cose che si possono imparare leggendo un buon articolo di giornale, voi lo sapevate che l’inno sovietico era stato fischiato a Tallinn nel 1969, in piena guerra fredda? Questa cosa vale un approfondimento, non credete?