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Lo stupore delle prese elettriche

Centro e nord est Italia. Modernizzazione attiva e distretti industriali

Da “Perché il sud è rimasto indietro” di Emanuele Felice

Un discorso simile a quello del nord ovest, incentrato sul ruolo delle istituzioni inclusive e sulla modernizzazione attiva, vale per le regioni del Nord-Est e del Centro. Sebbene alcune, soprattutto l’Emilia-Romagna, mostrassero segni di vitalità già in età liberale e fra le due guerre, è solo nella seconda metà del Novecento che la loro convergenza verso il Nord-Ovest ha avuto inizio. Gli anni settanta sono la decade di maggior recupero del Nec: proprio quando l’antico Triangolo iniziava a deindustrializzarsi, per la crisi del modello fordista, la Terza Italia andava prendendo corpo. Qui la manifattura era ancora il settore trainante, al punto che al volgere del nuovo millennio le due regioni più industrializzate d’Italia si trovano proprio al suo interno: con oltre il 40% della manodopera occupata nell’industria, il Veneto e le Marche hanno ormai superato persino la Lombardia. Il modello della Terza Italia, come si sa, è quello della piccola e media impresa, in genere nei settori «leggeri» (tessile, abbigliamento, ma anche meccanica, arredamento, ceramiche, manifatture varie), fortemente orientata all’esportazione.

Per un certo tempo si è ritenuto che queste imprese fossero interstiziali, cioè complementari e in fondo subordinate a quelle del Nord-Ovest, spesso germinate in seguito a processi di esternalizzazione dal centro. Il successo degli anni settanta ha indotto gli studiosi a ripensarne il ruolo: non più ancillare, ma pienamente autonomo e addirittura alternativo rispetto alla grande impresa. Si è così fatto strada un nuovo paradigma interpretativo, fondato su una peculiare morfologia imprenditoriale, il distretto industriale, che per alcuni è assurto a «punto più alto dell’esperienza industriale italiana». Il distretto industriale è un sistema coordinato di piccole e medie imprese, la cui caratteristica consiste nell’essere profondamente legate fra loro, ancorate ( embedded ) al territorio e alle reti sociali e istituzionali, di tipo formale e informale, che lì operano. Dal territorio le imprese dei distretti traggono «esternalità positive», ovvero beni pubblici che vanno dalle norme non scritte di comportamento che facilitano il coordinamento fra soggetti diversi, a istituzioni locali efficienti che agevolano la loro attività in molteplici ambiti: servizi di consulenza, concessione di linee di credito, gestione delle relazioni industriali, diffusione delle innovazioni, di solito incrementali, o perfino le strategie di marketing (si pensi all’organizzazione delle fiere). Tutto ciò contribuisce ad abbassare i costi operativi delle piccole e medie imprese, rendendole non solo autonome ma competitive rispetto alle grandi − che naturalmente per ridurre i costi possono basarsi sulle economie di scala − e quindi in grado di misurarsi anche sui mercati internazionali. Decisivo in questa storia è stato il ruolo di istituzioni partecipative e inclusive, siano esse le amministrazioni «bianche» del Triveneto o quelle «rosse» di Emilia-Romagna e Italia centrale: la loro azione si è coniugata con gli alti livelli di «capitale sociale» o civicness , nel creare quella che Arnaldo Bagnasco ha chiamato la «costruzione sociale del mercato».

Oggi per la verità il paradigma dei distretti appare ridimensionato, alla luce della loro trasformazione in corso verso il «quarto capitalismo», l’impresa di medie dimensioni competitiva all’estero e che all’interno procede a gerarchizzare la produzione dei distretti; ma forse soprattutto perché essi non sono stati per nulla risparmiati dalla recente crisi dell’apparato produttivo italiano. Questo però non dovrebbe cambiare di molto quanto detto circa il ruolo delle istituzioni inclusive: nella misura in cui l’industria nazionale continua a essere competitiva e a creare un po’ di ricchezza, pure in una cornice nazionale così problematica sotto diversi aspetti (burocratico-fiscale, giudiziario, infrastrutturale e non ultimo per quel che concerne il sistema di innovazione), ciò lo si deve in buona parte alla vitalità dei contesti locali.

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