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Lo stupore delle prese elettriche

Ci sono paesi che funzionano meglio dell’Italia e vengono perciò accusati di slealtà

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La realtà fa concorrenza all’Italia. Sbobinatura
Il presidente dell’autorità garante della concorrenza e del mercato si è presentato alla Camera.
Rustichelli imita Savona.
Queste persone che guidano le authority non presentano un programma relativo alla missione delle loro autorità e invece si dirigono verso i massimi sistemi e incolpano l’Europa con argomentazioni che rivitalizzano il vittimismo italiano con argomentazioni tecnicamente fallaci e inquietanti per gli sfondoni tecnici e logici e perdono di vista la missione dell’autorità che presiedono.
Carlo Stagnaro su Il Foglio ha detto le cose che dirò io Seminerio.
“L’attuale quadro normativo dell’ue determina una disparità di condizioni concorrenziali nel mercato tra Stati membri e operatori, in quanto, da un lato, favorisce il dumping fiscale e contributivo tra paesi e, dall’altro, è inadeguato a garantire una tassazione efficace ed equa dell’economia digitale”.
Ci mette dentro tutto e il contrario di tutto. Se è vero che la tassazione del mercato digitale è qualcosa che va analizzato e esaminato è anche vero che accumularla al concetto di dumping fiscale e contributivo nel senso che questi sono elementi di debolezza della costruzione europea è avventato.
“Paesi come l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali nell’area euro che praticano pratiche fiscali aggressive che danneggiano le economie degli altri stati membri e anche grazie a queste politiche realizzano elevatissimi tassi di crescita”. Non so più che dire dalla disperazione.
A modo suo ha detto che abbassare le tasse causa crescita: è un supply sider, un allievo di Laffer. (Ma perché allora non propone di abbassarle anche in Italia?)
Possiamo trarre avere motivi di ottimismo: noi vorremmo abbassare le tasse ma ce lo impedisce l’Europa che è piena di paradisi fiscali che praticano prassi di crescita aggressiva? Va bene. Allora Regno Unito e Spagna col 35% di pressione fiscale sul pil? Crescono più di noi.
La sua frase è che questi paesi che praticano pratiche fiscali aggressive e a queste si associa un tasso di crescita del pil particolarmente alto.
Lui intende non imposizione bassa sui residenti autentici ma imposizione bassa volta a drenare base imponibile ad altri paesi dell’unione, forse. Questo avrebbe una sua coerenza di ragionamento
Ma la controprova che ne ricava qual è? Nel quinquennio il pil italiano è cresciuto solo del 5%, mentre quello dell’Irlanda del 60%, quello del Lussemburgo del 17%, quello dell’Olanda del 12%. A fronte di un reddito procapite di 28 in Italia si ha in Lussemburgo un reddito pro capite di 83, in Irlanda di 63, in Olanda di 41.
A parte ciò perché non parla di Germania, Francia, Spagna, che sono vittime della sottrazione di base imponibile ma hanno avuto aumenti di pil rispetto a quello italiano che sono multipli del nostro? Anche questi paesi sono paradisi fiscali che attuano politiche aggressive per le quali siamo cresciuti del 5% in un quinquennio?
Questo modo di argomentare, in audizione parlamentare, è un non sequitur sconcertante.
Poi come avverrebbe questo drenaggio fiscale? Perché diventi pil quello che attrai occorre che ci siano aziende che si impiantano lì e fanno valore aggiunto in luogo. Se non fanno valore aggiunto in luogo non fanno pil
Generano valore aggiunto per contabilità internazionale anche le istituzioni finanziarie, quindi quelle beneficiate da depositi e flussi intermediari contribuiscono alla crescita del pil.
Poiché il valore aggiunto delle istituzioni finanziarie si calcola a costo devono avere dei dipendenti lì che pagano o fare lì dei profitti.
Altre grandezze che lui cita. Il Lussemburgo, paese di 600 mila abitanti, è in grado di raccogliere imposte sulle società pari a 4,5% del pil a fronte del 2% del pil. Cosa c’entra la dimensione del paese con un rapporto, cioè il gettito delle imposte societarie sul pil, lo sa solo lui.
Non si capisce cosa dica.
Tu hai 600 mila abitanti ma sei pieno di istituzioni finanziarie quindi produci il 4,5% di gettito ires. Eh. L’Italia fa il 2.
Anche l’Irlanda, dice, fa meglio dell’Italia. Il 2,7% è l’incidenza dell’imposta sul reddito delle società in rapporto al pil.
“L’Irlanda è in grado di attrarre imprese altamente profittevoli con un margine operativo lordo mediamente pari al 69,4% del valore aggiunto prodotto”. D’accordo. Vogliamo parlare di altri paesi?
È invidia penis e anche italicus vittimismus?
Poi c’è la stima della perdita di gettito. Il fisco italiano perde entrate fiscali, a causa della concorrenza fiscale intraeuropea, di tassare oltre ventitre miliardi di dollari di profitti. Ciò comporta un danno per l’Italia stimabile tra 5 e 8 miliardi di dollari l’anno.
È un danno? Può essere. Ma tra 4 e 7 miliardi di euro di maggiore gettito annuo determinerebbe un impatto tale sull’economia italiana che è grande 1750 miliardi di euro da determinare un’espansione del pil mirabolante?
Ma gli ordini di grandezza?
Rustichelli è di formazione giuridica. Il ragionamento è tipico del giurista. È a metà tra estasiante e irritante. È una vergogna. Ammiro andare dietro a smontare queste cose ma sono tutti argomenti da potenti romani, burocrati romani che se ne escono con discorsi di poverini come siamo vittime. Esistono questi paesi terribili che ci portano via il pane perché hanno le tasse basse.
Il meglio deve ancora arrivare.
In Europa ci sono questi bucanieri che stanno devastando il continente e casualmente un solo paese, l’Italia. Rustichelli non dice niente di paesi della dimensione analoga a quella italiana e dovrebbero essere nella stessa condizione nostra ma non si dice qual è stata la crescita del pil cumulata né qual è stato il gettito fiscale di questi paesi.
È un classico di cherry picking. Peraltro è un cherry picking da giuristi. Se diciamo che l’Italia perde da 4 a 7 miliardi di euro di base imponibile da parte dei bucanieri d’Europa non diciamo nulla. Pensiamo con questi soldi cosa potremmo fare? Potremmo essere una socialdemocrazia scandinava o una specie di Singapore del Mediterraneo? Ma gli ordini di grandezza?
“Altrettanto dannose sono le pratiche di dumping sociale e contributivo che danneggiano i lavoratori e incentivano le delocalizzazioni delle imprese in paesi che offrono minori tutele ai lavoratori e minore tutela ambientale”. Sta parlando del Bangladesh? No. “Nel 2019 il costo medio di un’ora di lavoro in Polonia è stato di 10, 7 euro mentro in Italia è stato di 28,8 euro”. E uno dice sì ma questo è un problema di convergenza, no? Il pil pro capite polacco o ungherese o ceco o slovacco non sono allineati alla media UE per cui i fondi di coesione di cui beneficiano questi paesi servono alla convergenza.
L’Italia ha il costo del lavoro più alto? Informeremo il grande capo esticazzi. Come si cura il costo del lavoro? A quanto ammonta il costo del lavoro in Germania e in Francia? Perché Rustichelli non lo dice? E non lo raffronta con le delocalizzazioni delle aziende da quei paesi e in quali settori si verificano? Il costo del lavoro elevato si cura generando valore aggiunto. Non è vero che in Italia il cuneo fiscale è elevato perché è simile a quello tedesco? No. Perché se lo prendiamo come grandezza monetaria sono ingannevolmente simili ma se prendete il valore aggiunto generato, che determina una quantità reale a livello di contabilità nazionale e nei fatti, il costo del lavoro italiano si mangia una porzione più alta del valore aggiunto generato dal sistema italiano. Queste cose sono le basi. Invece abbiamo scoperto. Che ci sarebbe un dumping.
“Mentre in Italia il 28,7% del costo del lavoro è dovuto al versamento di contributi previdenziali a carico del lavoro e ad altri costi, la percentuale di tali ulteriori oneri scende in Polonia al 18%”. E quindi? Il problema è la POlonia, che ha avuto flussi di migrazione, che è una società giovane, che è uscita da una dittatura, che ha un sistema di welfare non pienamente sviluppato o è l’Italia che non riesce a generare valore aggiunto per sostenere questo costo del lavoro che sta diventando un lusso che non ci possiamo permettere al netto di tutti i venditori di fumo che dicono che la colpa è della moneta?
Professor mio, le pensioni costano. Qualcuno le paga. È vero che chi lavora produce e un terzo buono gli viene asportato per pagare le pensioni. Invochi una riforma pensionistica che ritardi di gran lunga l’età pensionabile e tagli le pensioni in essere. Così vedrà che il costo del lavoro italiano diventerà più allineato con quello polacco. Anche negli anni 50 era così. Il costo del lavoro italiano era molto basso. Negli USA probabilmente qualcuno pensava le stesse cose di Rustichelli e aveva torto anche lui. Sai qual è la soluzione? Se ti vuoi tenere le superpensioni, se vuoi tenere la grande spesa pubblica, se vuoi tenere le tasse alte, non c’è che una soluzione, anche attraverso il lavoro dell’agcm. Creare condizioni di concorrenza nei mercati affinché le imprese diventino più produttive, affinché vengano in Italia imprese più produttive, imprese che hanno un valore aggiunto altissimo per ora lavorata e quelle imprese sono in grado di pagare i costi.
C’è un’altra conclusione. Andarsene dal commercio internazionale. Si ferma il mondo. L’Italia scende e saluta. Può uscire dal wto, se vuole, eh. Non commerciamo più con nessuno. Importiamo solo per decisione governativa. Non esportiamo perché gli altri non vorranno. È una soluzione.
Colpo finale.
Seminierio: Se tagliamo le pensioni che si aggirano intorno alla sussistenza ammazziamo un paese. Nessuno nega che le pensioni siano alte rispetto a quel che il paese può permettersi in termini di generazione di valore aggiunto. Però ho l’impressione che se tagli le pensioni retributive ammazzi un po’ di gente.
Boldrin: Credo di no, visti i numeri. Poi il taglio medio può essere del 10%, ad alcuni il 2% e ad altri il 15%. Questa è un’ovvia conclusione di quanto il prof Rustichelli denuncia.
Si potrebbero creare le condizioni di competizione del sistema paese, su cui Rustichelli può dire la sua, per favorire lo sviluppo del valore aggiunto e l’aumento della produttività. Intervenendo anche sull’antitrust.
Ma la legge annuale sulla concorrenza che fine ha fatto?
Rustichelli denuncia che un esempio paradigmatico dei differenziali di costo del lavoro è la crisi dell’industria italiana del bianco.
È allucinante. Ma dove vive questo? Per Rustichelli il problema, che risulta in manifattura bloccata su produzioni di basso valore aggiunto, viene sfidata e sconfitta da paesi che, essendo indietro sulla creazione di valore aggiunto e avendo quindi un costo del lavoro più basso, la deindustrializzano. Ci rendiamo conto di cosa bisogna leggere? È il piagnisteo italiano. È il mondo rovesciato. Perché non ha citato la crisi dell’industria delle candele o della ciabatta economica o delle magliette che non si fanno più in Italia?
Tutte le imprese a valore aggiunto basso vanno laddove il costo del lavoro è basso. Guarda un po’!
Negli anni 50 la chimica di base venne in Italia perché già allora ebbe di basso valore aggiunto. Poi il costo del lavoro crebbe e se ne andò. È la stessa roba.
Il vero dramma è avere un giurista presidente di autorità che scambia variabili nominali e reali, non comprende il concetto di generazione di valore aggiunto per cui chi ne crea poco crea dumping, non si rende conto che l’Italia ha un costo del lavoro mismatchato rispetto al valore aggiunto che genera e quindi è condannata a una desertificazione industriale se non cambia rapidamente verso e abbiamo questi documenti letti in Parlamento.
Qualcuno gli ha fatto osservare che questa è una valanga di assurdità?
Questo signore ha suggerito quali sarebbero i rimedi? Invadere la Polonia? Imporre di aumentare i loro contributi, le loro tasse, imporre di pagare le pensioni?
Il presidente dell’antitrust dovrebbe tirare per la giacca i parlamentari e ammodernare un paese pieno di corporazioni medievali. Invece si mette a fare del vittimismo fiscale senza conoscere neanche il significato di valore aggiunto.
Questo dà la misura di quanto siamo messi male e con peggioramenti nel modo di porsi rispetto al mondo esterno. Perché abbiamo abbandonato il principio di realtà.
L’antitrust ha aperto un’istruttoria su Alitalia perché rimborsa i biglietti in voucher.
Vorremmo un antitrust che digrigna i denti e non fa politica.
Le implicazioni ovvie del discorso o sono invasioni o uscita dal mercato comune.
I fondi di cui beneficia la Polonia? L’Italia è stata beneficiaria di fondi strutturali e in particolare le regioni del sud lo sono state per lunghi anni perché si fa puramente sulla base dei livelli di reddito. Non froda nessuno.
La Polonia poi ha un’incidenza assurda del settore primario. Ungheria e Cechia sono satelliti manifatturieri della Germania. Valore aggiunto lo fanno, hanno un sacco di muratori, si tengono in equlibrio. Non li vedo sulle soglie di un clamoroso benessere. Ma noi paghiamo cinque miliardi più di quel che riceviamo? C’è stato un periodo in cui non era così. Fino al primo centrosinistra, quando è iniziata la cavalcata della spesa pubblica, l’Italia era in un classico movimento di catch up. Inseguiva paesi a maggior valore aggiunto. Oggi lo fa la Polonia. Il problema italiano è un problema di crescita interrotta. Noi abbiamo lo sviluppo, il salto di layer del valore aggiunto, ma abbiamo mantenuto un costo del lavoro disallineato dalla generazione di valore aggiunto e viceversa. Abbiamo fatto crescere il costo del lavoro in parte con salari ma soprattutto con imposte e contributi e a questa operazione di crescita del cuneo fiscale e contirbutivo (effetto della crescita dell’idea che l’Italia sia un paese ricchissimo che può permettersi di tenere due terzi della popolazione a far niente, a vivere lautamente perché i tassi di povertà tra i pensionati sono ben pochi, i giovani non muoiono ma prendono meno. Abbiamo deciso di comportarci così senza la capacità sistemica di generare, per chi continua a lavorare, valori che coprano queste spese).

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