Sbobinatura. Il mercato del lavoro e i sussidi di disoccupazione. Come (non) funzionano in Italia e cosa bisognerebbe fare.
Storiella. La miniera improduttiva chiude. I minatori non trovano lavoro. 10km più là c’era un’azienda che cercava 6 tagliatori di legna e loro non lo sapevano. Un livello di disinformazione sul mercato del lavoro di quel tipo è una rarità di pochi paesi montagnosi. Ciò ha pochissimo a che fare con la disoccupazione o meglio col fatto che l’Italia sia strapiena di persone che qualcosa saprebbero fare ma non si muovono, vivono di espedienti e di sussidi. Abitano nella casa di famiglia e non sono soddisfatti della loro condizione lavorativa.
Non lo sono non perché non sanno trovare la domanda ma perché manca il tipo di forza lavoro che sarebbe necessaria e manca la domanda del tipo di lavoro che sarebbero in grado di fare.
Ciò che manca sono gli investimenti, la crescita dimensionale delle imprese, la possibilità di investire nel paese e la domanda di lavoro qualificato.
I 5s vogliono aumentare l’occupazione degli uffici di collocamento. Se vi guardate attorno vi rendete conto che questa cosa degli uffici di collocamento, cosa fascista e arretrata, non esiste da nessuna parte nel mondo. Chi cerca lavoro sa come farlo e lo fa in modo diverso dall’utilizzo degli uffici di collocamento, in massima parte. Esistono agenzie private di lavoro. Esistono siti web, giornali, passaparola. L’ultima cosa che manca è l’informazione.
Quando esiste offerta di lavoro qualificata, i siti ricevono domande superiori rispetto ai posti a disposizione.
Fenomeni come Finmeccanica che cerca x lavori e non li trova si devono al fatto che quei lavoratori con quelle specializzazioni non sono presenti laddove Finmeccanica ha centri di ricerca o fabbriche. Se ci sono nel territorio nazionale, non hanno intenzione di muoversi. Se non ci sono proprio, evidentemente il sistema educativo non è riuscito a stare al passo coi tempi. Spesso mancano, anche perché gli incentivi del sistema sono quelli che sono, l’intenzione, la capacità, la comprensione che convenga investire un anno della propria vita a studiare un lavoro nuovo anziché vivere di espedienti.
Un signore è in una situazione di disoccupazione, con lavori saltuari, da dieci anni e gli è venuto in mente adesso di fare domotica perché l’UE gli ha offerto dei fondi per imparare la domotica. Ma è possibile che nei nove anni precedenti non ci fosse lo stimolo e la comprensione che se impari un lavoro nuovo un lavoro lo trovi?
Tutta questa retorica attorno ai navigatori, all’app che unisce domanda e offerta è vuota.
Il problema del mercato del lavoro italiano non lo risolvi col reddito di cittadinanza. Infatti si deve investire nella domanda e nell’offerta. Si preferisce dare da mangiare oggi invece di dire fai sacrifici e impara a pescare.
Nei casi gravi di incapacità di lavorare e di povertà endemica dare un reddito di susstenza è doverosom ma si tratterà di un cinque per cento della popolazione. Se il problema è costruire un mercato del lavoro e anche dei sussidi di disoccupazione che incentivino la ricerca di lavoro si deve fare altro. La domanda e l’offerta si incontrano sul mercato. Le app per la ricerca di lavoro ci sono già. Gli uffici di collocamentoo vanno fatti sparire.
L’investimento pubblico negli uffici di collocamento crea posti di lavoro socialmente poco utili e dà stipendi a persone che fanno, anche con molta volontà, cose inefficienti e quindi non è utile. È preferibile dare dei sussidi a tutti i disoccupati. I sussidi devono essere omogenei e calibrati alla durata della disoccupazione. I sussidi dminuiscono col passare del tempo ed entro tot mesi finiscono.
Al più se si vuole avere la mano pubblica si costruisce un sistema elettronico generalizzato semplicissimo in cui chiunque cerca lavoro deposita le proprie caratteristiche e chi cerca un lavoratore deposita ciò che vuole (e le proprie caratteristiche) e si lascia fare al software il matching e al più la verifica. Ma questa cosa è secondaria.
I soldi dove vanno messi? Nel rifare la formazione professionale, a cui dare dignità. Occorre costruire centri, scuole, corsi, università, corsi brevi o lunghi, di vario livello, di formazione permanente e riformazione professionale. Il grande investimento va fatto in questo: dotare il sistema pubblico di corsi che facciano formazione permanente e riformazione per le persone che hanno perso le conoscenze per stare al passo con la tecnologia, che hanno perso lavori che sono diventati obsoleti, che hanno perso il lavoro e non ritrovano il lavoro per cui erano formati e devono trovarne un altro. Questa è una cosa che non si fa dalla mattina alla sera ma bisogna iniziare.
Poi ci vuole una campagna politica che incentivi la mobilità territoriale. Una volta la gente si spostava. Per favorirla ci vuole un sistema di trasporti migliore specie al sud. Ci vogliono regolamenti edilizi, possibilità di trovare scuole migliori, ma oggi questo è un aspetto secondario. Manca la cultura della mobilità. La cultura attuale è che il lavoro deve venire a me invece di dover andare a cercarlo. Va trovato il modo di rendere disincentivanti i lavoretti saltuari e quindi va stroncata la piccola evasione fiscale, I piccoli sussidi sono degli incentivi a stare fermi, a ripetere delle esperienze di vita piuttosto misere vissute da signori anche intelligenti e capaci che con altri modelli di vita avrebbero potuto vivere gli anni dei lavoretti in modo più produttivo e soddisfacente.
Il lavoro comunque non viene da te. Se il lavoro produttivo e qualificato viene da te è perché nell’ambiente dove sei si creano condizioni favorevoli a investire. Questo però è un altro discorso.
La formazione permanente non deve essere finta. Non prendere dei professori di italiano o latino e far finta che insegnino informatica. Non prendere psicologi e far finta che facciano grandi cose. Bisogna fare insegnare queste cose chi le sa, verificare che le sappia e controllare i risultati, che devono essere concreti. La formazione non deve portare a tanti carrozzoni inutili.
Inoltre ci vogliono politiche fiscali di spesa pubblica, di fornitura dei servizi tali che l’Italia diventi attraente per gli investimenti e per le imprese.
In Germania appena resti disoccupato ci sono corsi di formazione pagati dallo stato e finanziati dai fondi UE.