there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Il commercio internazionale è innocente

Da “Voltremont”

La Cina
ha iniziato a crescere in
modo impetuoso già negli
anni Ottanta, dopo
l’attuazione di varie
riforme liberalizzatrici.
Questa è la vera variabile
chiave.

Chi argomenta che la crisi viene dal
commercio internazionale
e, in particolare,
dall’accesso della Cina al
medesimo scarica sugli altri le proprie responsabilità. Il problema
non sarebbe interno, non avrebbe a
che fare con l’Italia e con
le sue erronee scelte
economiche, sociali e
politiche. Nossignori, è la
globalizzazione che ci
frega. La soluzione sarebbe più stato e meno
mercato, più dazi e meno
commercio, più monopoli
e meno concorrenza.
Bene, ma se così
fosse, perché gli altri
paesi europei non
sembrano soffrire il
commercio estero tanto
quanto noi? Perché
l’apertura al commercio
con il resto dell’Europa e
gli Usa, prima, e con altri
paesi poi (alcuni ben più
poveri della Cina, come i
paesi africani) non ci
causarono danno dagli
anni Cinquanta in avanti?
Anzi, perché quasi tutti
attribuiscono grande
merito al commercio
internazionale nel
realizzarsi del fin troppo
conclamato “miracolo
economico italiano” degli
anni Cinquanta e
Sessanta? Se è vero che
l’unica maniera per
diventare più ricchi è
produrre, con tecniche
innovative ed efficienti,
cose nuove che piacciano
alla gente, in che maniera
il protezionismo e i dazi
ci aiuteranno a
raggiungere questo
obiettivo? In particolare,
non dovrebbe la lezione
dei nostri “cugini poveri”
latinoamericani
(Argentina e Venezuela,
tanto per dire) insegnarci
qualcosa? Stanno male
che viene da piangere e
diventano sempre più dei
morti di fame incazzati,
eppure son pieni di dazi,
protezioni, governi che
sussidiano questo e
quello, che permettono a
questa o quell’altra
impresa di monopolizzare
il mercato per
“proteggere” l’onore
nazionale, e via dicendo.

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