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Lo stupore delle prese elettriche

Politica economica: meglio le regole della discrezionalità.

Se fissate una regola e la derogate sistematicamente, è la deroga a diventare la regola e i soggetti attivi e passivi deputati alla sua attuazione si comportano di conseguenza.

Ci sono poche certezze in politica economica.
Una è che è preferibile una banca centrale indipendente dal governo.
Un’altra è che seguire delle regole predefinite comporta vantaggi maggiori, nel migliorare le performance economiche, rispetto a lasciarsi guidare dalla discrezionalità.

Con la discrezionalità i decisori possono seguire criteri inefficienti, inoltre non tutte le variabili sono considerabili e la loro variazione non è sempre definibile esattamente a priori.
Soprattutto, a seguito di una qualche decisione politica o manovra economica, gli agenti coinvolti cambiano il loro comportamento. Le loro aspettative sulle conseguenze delle politiche influenzano i risultati delle decisioni e generano conseguenze che possono essere inattesa.

L’economia è dinamica: ragionare come se fosse statica (se faccio questo x cresce e y sale e tutto il resto non conta) è sbagliato.

Oltre a quanto detto sopra, passa del tempo tra il momento in cui si verifica un problema e vengono prese le decisioni e tra il momento della decisione e della messa in pratica. Questo fa sì che la discrezionalità spesso non funzioni. Peggio ancora, comunque, è derogare alle regole fissate.
Seguire delle regole permette di mantenere coerenza intertemporale: vale a dire che il risultato richiesto dal potere pubblico nel breve termine sarà coerente con quello desiderato nel lungo termine.

Quand’è che la discrezione può servire meglio il pubblico interesse? Quando l’ambiente è incerto e I PRONUNCIAMENTI DEI POLITICI SONO CREDIBILI.
Se tu dici, in recessione, che adesso farai delle politiche di deficit spending, ma rientrerai dal debito una volta che sarai in crescita, devi poi dimostrare di farlo.
Lo stesso discorso vale per le famose riforme strutturali . Quelle strane creature di cui spesso si vocifera quanto siano necessarie, ma che poi non vengono mai fatte. In Italia, almeno.

La tendenza a procrastinare l’adozione delle riforme strutturali non vale solo per il Belpaese, comunque. E’ un comportamento tipico dell’uomo e della collettività quello di promettere e di rimandare, ed è studiato in economia. Questo ha un effetto concreto: è meglio subire una politica di austerità subito, in caso di necessità, piuttosto che confidare nel fatto che verrà perseguita quando le condizioni economiche lo permetteranno. Il rischio è di dover subire un’austerità maggiore in seguito, soprattutto se i Paesi si dimostreranno per l’ennesima volta non credibili. A quel punto i mercati valuteranno il maggior rischio Paese e questo dovrà chiedere soldi pagando di più e quindi sottraendo risorse destinabili alla spesa produttiva e alla crescita.
Se non sei credibile, caro decisore economico o politico o semplicemente persona, gli investitori, i produttori, i risparmiatori, le famiglie, le imprese, le persone si comporteranno di conseguenza.

Che succede invece quando qualcosa cambia? Magari repentinamente? Che anche se prima eri giudicato “cattivo” diventi “buono”. Acquisti fiducia e il mercato o l’economia, diciamo, ti premiano.
Ecco che, ad esempio, in caso di iperinflazione da debito agganciare la valuta ad un’altra o mettere in pratica manovre che incrementino la probabilità di ripagare il prestito concesso può improvvisamente far cambiare davvero i risultati della politica, poiché gli agenti si rendono conto che il cambiamento è reale. Le quattro grandi iperinflazioni degli anni Venti in Europa centrale sono state risolte con un drastico cambiamento di politiche, realmente eseguito, e che quindi hanno portato a un drastico cambiamento di aspettative da parte delle famiglie, delle imprese, degli investitori.
L’Italia ha usufruito di tassi bassi di interesse dopo l’ingresso nell’euro perché la sua stessa entrata ha significato per gli investitori un surplus di credibilità, insieme all’annullamento del rischio di svalutazione, anche se poi è stato lasciato evaporare.

Possiamo parlare di incoerenza intertemporale anche in altri campi? Forse non tecnicamente, ma estendiamo pure il concetto.
Prendiamo in ordine: il caso degli atleti buttati fuori dalla nazionale di pallavolo, quello dei convocati ai mondiali di nuoto, quello degli scioperi dell’Atac e dell’Ataf, quelli delle proteste dei tassisti e infine quello di Reagan contro i controllori di volo e della Thatcher contro i minatori.

Se la Federnuoto stabilisce che ai mondiali sono ammessi solo coloro che hanno nuotato un certo tempo durante la stagione e poi ogni volta vengono portate altre persone per motivi vari non predeterminati, la federazione perde di credibilità e alcuni atleti possono considerare meno importante il raggiungimento del tempo limite. Fermo restando che ottenere tale tempo in…tempo permette di eseguire meglio la preparazione per l’evento e dà più sicurezza. Ma se dentro di sé l’atleta fosse interessato solo al viaggio premio?

Se i lavoratori dell’Atac o dell’Ataf o i tassisti possono permettersi di protestare in modo selvaggio e illegittimo, ma nonostante ciò le sanzioni sono di scarso rilievo, il licenziamento non è previsto e ai tassisti o ad altre corporazioni viene sempre data ragione dai giudici o dai politici, questi soggetti sono incentivati a ripetere certe agitazioni al minimo stornire di fronda. Chiaramente anche i minatori sotto la Thatcher o i controllori di volo sotto Reagan pensavano di fare lo stesso, ma si accorsero ben presto che, sotto di loro, almeno in quei casi, la musica era cambiata: vivere di parassitismo, confrontismo velleitario, inefficienza garantita non sarebbe più stato consentito.

Se la nazionale di pallavolo caccia quattro atleti che non hanno rispettato una regola, cioè hanno fatto una notte brava in discoteca di sabato, ci si meraviglia quasi per il fatto che per una volta un ente italiano abbia adottato la linea dura. O meglio la linea del rispetto delle regole. Varrà da esempio? Chissà.

Riferimenti per quanto riguarda la politica economica: Greg Mankiw, Macroeconomics. Alberto Bisin, Favole e Numeri. 

 

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