Quattordici chilometri in pista a cinque e trenta al chilometro. Bramavo la pista da due mesi per capire effettivamente quanto fossi veloce e alla fine ho superato indenne l’allenamento sul tempo run, effettuato occupando la terza corsia mentre le frecce giovani sfrecciavano alla mia sinistra e alcuni gruppetti di ragazzini stavano alla destra: c’erano anche delle pistard lente che si allenavano sull’ultima corsia e poi si sono messe a guardare quando finissi: correre un’ora e venti a giri di 400 metri è un po’ da criceti, ma ci voleva. Poi, presto, mi verrà a noia anche fare un solo giro.
Due giorni prima, mercoledì, cioè, avevo affrontato le ripetute, tre per milleseicento metri, e malgrado sentissi anche in quel caso di essere un po’ al limite, ce l’ho fatta bene. Soprattutto avevo superato indenne sia la coda per rinnovare la tessera semestrale, sia l’errore della segretaria (“Perché uno scontrino di 160 euro?” “Oh, mi scusi! Le rimborso subito trenta euro in contanti. In realtá volevamo vedere se fosse attento.”)
Per apprezzare i trasporti pubblici locali in Italia non dovremmo mai andare all’estero. La situazione vari da città a città e può essere che a Firenze non sia delle peggiori, ma ci sono volute due ore per andare dallo stadio a Scandicci. A Londra o a Berlino avrei fatto più volte il giro della città in metro o in ferrovia, nello stesso tempo. Quel che è peggio, al di là di possibili inefficienze e oberanti sindacalismi, è che le persone comuni diffidano di ogni forma di miglioramento e ostacolano la tramvia. Io, comunque, ho aspettato un bus in Viale dei Mille, il diciassette, che era quasi per essere dato come scomparso con denuncia da presentare ai carabinieri. Ne sono arrivati tre di fila e così ho preso il dieci. Uscito, ho imboccato la direzione opposta a quella dovuta, come al solito, ma grazie a Google Maps ho invertito la rotta e sono arrivato al numero cinquanta di via Ponchielli, dove avevo un incontro insieme agli altri partecipanti alla maratona di New York. La casa non poteva che trovarsi tra i numeri 48 e 52, ma non la trovavo. Questa cosa dei numeri interni dovrebbe essere segnalata con dei cartelloni giganteschi. Ecco.
Suono alla porta e nessuno risponde. Suono una seconda volta e nessuno risponde. Allora telefono. Risponde Silvia. “Perché non hai suonato?” “Veramente ho suonato due volte.” Appurato che il campanello non funzionava, è giunta un’illuminazione nella testa di un’altra Silvia:”Come fa allora l’uomo delle pizze a portarcele?” Va bene che potrebbe suonare gli altri campanelli nel citofono ma è stato più saggio mettere una persona di sentinella al pianerottolo.
Erano giorni che mi dicevo e scrivevo che non avrei preso i biglietti per andare a vedere il musical a Broadway perché tanto vado a vedere il basket e l’hockey e risparmiare cento euro non è malaccio. Quindi avevo deciso: niente musical. Arrivati al dunque, cioè al momento dell’acquisto, mi sento chiedere:”Allora tu li prendi i biglietti?” Risposta:”Certo. Che domande!”
Mentre stiamo valutando i posti per comprare i biglietti mi metto a fare il check in online per il prossimo volo con ryanair. Peccato che non trovi la carta d’identità dentro il portafoglio. Cerca che ti ricerca la conclusione resta la stessa: non c’è. A quel punto è mezzanotte e ci si penserà domani. Peccato che poi a casa non trovi nemmeno il telefonino. Facebook messenger corre in aiuto e Silvia, la seconda citata in precedenza, mi annuncia che l’ho lasciato nella sua macchina. A quel punto decidiamo di rivedersi la mattina successiva, domenica, alle dieci, e anche di correre insieme. Intanto lei è entusiasta perché abbiamo trovato i biglietti per il musical in dei posti ottimi.
Potrei iniziare a correre alle sette e mezzo e fare tanti chilometri prima di vedermi con Silvia e correre i sette previsti con lei. Oppure potrei fare prima colazione e dopo un’oretta partire. Oppure andare durante la corsa al negozio Tim dove potrei avere lasciato la carta d’identità. Però potrei anche telefonare al negozio. Peccato che in tutta la mattina, a ogni pausa, pur guardando sul telefonino su internet, non riuscirò a scovarne il numero. Comunque va a finire che faccio colazione al bar alle sette e mezzo con pasta integrale e latte (pensavo di andare fuori già vestito da corsa, poi sono tornato sulla mia decisione e mi sono vestito normalmente.) Torno in casa e scopro via web una cosa fondamentale: avere un biglietto sul posto ponte di una nave non significa che ti lascino al freddo, al gelo e sotto le intemperie, bensì solo che non hai la poltrona riservata, ma puoi liberamente muoverti all’interno di bar, ristoranti e supermercati, come quello presente sulla Tallink Star che mi porterà lunedì 15 settembre da Tallinn a Helsinki. Insomma puoi stare al caldo e puoi anche non pensare di dover rinunciare a quel viaggio per paura del freddo. Ora, in effetti, se avessi fatto a Clara la domanda:”Sai cosa significa posto ponte” anziché quella “cosa indossare sul ponte di una nave che attraverserà il mar Baltico” avrei evitato una serie di ricerche. La sua risposta, comunque, cioè mettersi una giacca a vento, resta utile.
Nella stessa ora di navigazione guardo qualche video su Youtube su New York e poi verifico che le distanze tra i luoghi in cui mi dovrò trovare nel viaggio nelle repubbliche baltiche sono tranquillamente percorribili o a piedi o senza problemi particolari coi mezzi pubblici.
Ancora, in questo racconto, non abbiamo iniziato a correre. Lo faremo, io e Silvia, attorno alle dieci e andremo verso il Girone costeggiando l’Arno e parlando del futuro viaggio a New York insieme e del mio nelle repubbliche baltiche, Fa un po’ troppo caldo per pensare di correre ventisei chilometri, quindi ne farò sedici, di cui nove da solo andando avanti e indietro per via Aretina, poiché è all’ombra. Subito dopo la corsa mi prendo un gelato, seguendo anche quello che disse una volta super coach Massini, cioè che il gelato dopo una corsa ci sta bene. Anche la Coca Cola sta bene dopo gli allenamenti e pure quella è stata sdoganata da qualche professore. È semplice: ci vogliono zuccheri a rapido assorbimento e magari qualche proteina non farebbe male. Le patatine fritte con ketchup e maionese, invece, non le indica nessuno, ma una vaschetta dal kebabaro me la sono fatta. Sia lui che il gelataio mi hanno detto bentornato, tra l’altro: era almeno da giugno che non ci prendevo niente. L’estate a Firenze fa troppo caldo, di solito, ed è meglio scappare. Quest’anno non c’è stato un caldo infernale, a dire il vero, tranne proprio la sera in cui ho corso senza mangiare e bere sotto una cappa tropicale e sono andato a dormire in una stanza umidissima e caldissima tanto da soffrire di sudorazione abbondante e rischiare di svenire.
Durante il ritorno a Stia in pullman ho scoperto che il passaporto rende praticamente inutile la carta d’identità, così la sua ricerca e l’eventuale denuncia del suo smarrimento non sono più tra le priorità. Due problemi potenziali risolti.