Da “Dal miracolo economico al declino,” di Vito Tanzi.
Nel 1974 l’Italia si trovava di fronte a un bivio e imboccò la strada sbagliata.
Nei trent’anni precedenti l’Italia si trasformò da paese povero a paese ricco.
La strada intrapresa in passato non era più percorribile e comunque all’epoca fu percorsa con più disciplina. Erano state create infrastrutture necessarie. C’erano stati investimenti pubblici necessari. Col passare del tempo quegli interventi diventeranno sempre meno necessari, meno efficienti e sempre più finanziati da debiti, mentre in passato gli investimenti erano stati fatti con pochi debiti.
Con lo sviluppo di un mercato mondiale più efficiente e più aperto, e con una classe politica sempre meno dedicata all’interesse pubblico e sempre più ai propri interessi personali, sarebbe stato necessario cambiare rotta.
Con una pressione fiscale che era diventata alta e che continuava a salire e un debito pubblico che cresceva sempre più rapidamente, la strada che l’Italia intraprese negli anni Ottanta l’avrebbe portata verso un declino economico di tipo argentino e verso il default. Infatti nel 1992 un tale destino fu appena evitato. Fino alla fine del secolo l’Italia continuerà a crescere poco e nel nuovo secolo non crescerà affatto. La distribuzione del reddito diventerà meno uguale e la corruzione sarà sempre più endemica e diffusa.
La strada che l’Italia ha seguito dagli anni Settanta in poi, fatta di alta spesa pubblica in deficit e comunque alta pressione fiscale, non poteva che avere effetti negativi sull’economia italiana. Alcuni economisti hanno contribuito a suggerire di tenere il disavanzo pubblico confidando in una crescita che avrebbe permesso di salvarsi. I politici, naturalmente, preferiscono dare retta a chi suggerisce che le manovre fiscali o monetarie espansive producano reddito e crescita ipotizzando che poi, un giorno, avrebbero potuto iniziare manovre di austerità.