there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Fisco, statalismo e declino.

Appunti generici seguiti alla lettura del libro bianco sulla riforma tributaria che Tremonti aveva scritto nel 1994. Per quanto criticata da chi voleva più assunzioni e meno riforme generali (un tale Enrico De Mita) era un’ottima proposta di riforma complessiva del sistema tributario italiano. Lo stesso Tremonti una volta a governo abdicò da se stesso, ma questa è un’altra storia. A me più che parlare della proposta in sé interessa rivangare su alcune questioni di fondo che sono propedeutiche al declino italiano. Il libro bianco si legge comunque qui: http://www.fondazioneci.it/pdf/libro%20bianco%20tremonti.pdf

Ecco alcuni punti citabili o riflessioni personali, come la seguente:

L’Italia è uno stato dominato da una mentalità giuridica. Tutti a parlare di giustizia, di eguaglianza, di democrazia e tutto quello che hanno creato è uno Stato profondamente ingiusto e iniquo, oltre che inefficiente e ladro.

Il potere finanziario è nelle mani dello Stato.

Il Parlamento non è il controllore della spesa, ma il sovrano della spesa: assume lo stesso potere di spesa che avevano un tempo i sovrani. (La stessa cosa vale per i trentamila centri di spesa sparsi per la penisola.)

Negli anni Settanta si è creata l’illusione di uno Stato sociale gratuito e redditizio.
L’ideologia di base dell’Italia è da sempre super statalista.

L’Italia è una democrazia del deficit.

Più si spende, più voti si prendono.
Il pubblico denaro è inteso come gettone di spesa elettorale.

L’attenzione agli errori formali sulla base di una giustizia millimetrica è morbosa
La mentalità giuridica prevalente conduce a troppe leggi, troppe tasse, troppe liti, il che peraltro equivale a nessuna legge.

Un’idea sottostante al sistema triutario è che il fisco non dipenda dall’economia, ma l’economia del fisco, come se il fisco fosse un’entità sovraordinata.
Prevale all’interno della p.a.la dottrina ottocentesca del dover essere sulla realtà, come se la realtà fosse una variabile dipendente.
I ceti popolari hanno trovato il modo di pagare con le tasse il welfare state a…molti altri anziché a loro stessi.
Vige il pregiudizio, a livello legislativo, che il mondo del lavoro sia caratterizzato da grandi imprese e dipendenti pubblici e le piccole imprese sono state o (anni Settanta) lasciate libere oppure (in seguito) tartassate.
Il sistema fiscale tende alla perfezione enigmatica, secondo la formula dello Stato di polizia perfetto.
Il sistema fiscale coincide in astratto col modello del dispotismo popolare. In pratica ha penalizzato soprattutto i più larghi e meno abbienti ceti popolari. (ritenute alla fonte, iva, fiscal drag…)

L’ideologia di fondo del sistema Italia è statalista, centralista e con dosi di consociativismo solidarista.
Il reddito non è visto come il frutto del lavoro, ma come una colpa che va espiata col fisco.
Il fisco è visto come uno strumento di giustizia anziché come strumento empirico per portare soldi nelle casse dell’erario per l’interesse comune.
In pratica il fisco è come lo strumento con cui lo Stato processa il mercato.
La rivoluzione fiscale consiste nel far ruotare la politica intorno alla realtà, anziché viceversa.

Soluzioni?
In sintesi, i tre obiettivi di questa riforma sono costituiti dallo spostamento
dell’asse del prelievo fiscale:
a) dal centro alla periferia
b) dalle persone alle cose
c) dal complesso al semplice

Tocqueville sosteneva scetticamente che mai si potrà “ottenere la
decentralizzazione dal potere in carica; la centralizzazione costituisce un’esca
troppo grande per alle passioni dei governanti. Persino coloro che hanno predicato
la decentralizzazione abdicano alla loro dottrina arrivando al potere
“.

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