Di cosa parliamo: http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/10/agricoltura-biologica-vs-agricoltura-convenzionale
Produttività, efficienza, sostenibilità.
Seguiamo questo articolo. http://science.time.com/2012/04/26/whole-food-blues-why-organic-agriculture-may-not-be-so-sustainable/
L’efficienza energetica consente di ottenere più prodotto dato un certo livello di risorse e questo è un bene sia da un punto di vista economico che ambientale. Avere di più usando di meno è il solo modo di vivere sostenibile in un mondo sempre più caldo e affollato.
La questione si complica parlando di cibo. Grazie ai fertizzanti, alla meccanizzazione, all’irrigazione, l’agricoltore americano medio sfama più di 155 persone al mondo. L’agricoltura convenzionale permette di ottenere più con meno e quindi evita al territorio di essere convertito da ambiente naturale a terreno agricolo. Poiché un terzo del pianeta è già usato per l’agricoltura, al prezzo della distruzione avvenuta di foreste e ambienti naturali, tutto quello che consente di produrre più cibo in meno terra è benvenuto.
D’altro canto l’agricoltura convenzionale usa un ammontare maggiore di energia ed è più distruttiva per il suolo.
Un’analisi di Nature sul tema(http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11069.html)
è giunta alla seguente conclusione: l’agricoltura organica produce in media il 25% in meno rispetto a quella convenzionale, per cui col bio occorre più terra per produrre meno cibo.
In realtà per i raccolti per la cui irrigazione basta la pioggia, come i legumi o le piante da frutto, il gap è solo del 5%. Per i raccolti cerealicoli e per la maggior parte dei vegetali il gap arriva a più del 25%. Il problema è che sono proprio cereali e verdure a fornire le calorie che sfamano il mondo.
La differenza principale la fa l’azoto, la chiave chimica che fa crescere la pianta. L’azoto usato nell’agricoltura convenzionale permette una crescita molto più veloce di quello che viene rilasciato naturalmente dal compost o da ciò che è utilizzato in agricoltura organica. La rivoluzione verde, in fin dei conti, è stata la rivoluzione del nitrogeno, oltre a quella dell’irrigazione.
Purtroppo l’azoto usato nei fertilizzanti convenzionali non finisce nei raccolti e basta, ma in buona parte passa dal suolo fino agli oceani, creando zone morte e inquinate. Probabilmente stiamo mettendo più azoto nel suolo di quanto il pianeta possa sostenere nel lungo termine. Inoltre l’agricoltura convenzionale dipende pesantemente da pesticidi chimici che hanno effetti collaterali distruttivi per l’ambiente (e per le api.)
Un sistema di agricoltura globale ideale allora, secondo gli autori dello studio, dovrebbe prendere il meglio dai vari sistemi.
La bottom line? Secondo gli autori dello studio di Nature, occorrerebbe passare al bio per i prodotti come frutta e verdura, mentre riso, orzo, mais e grano dovrebbero essere prodotti con agricoltura convenzionale.
Guardando avanti, i due miliardi di persone in più previsti per il 2050 potrebbero essere sfamati usando raccolti geneticamente modificati che richiedono meno nitrogeno e meno acqua e metodi che producono una resa maggiore attraverso l’uso più efficiente di acqua e fertilizzanti.
Soprattutto, occorre migliorare, comunque, il sistema di distribuzione del cibo. Gli agricoltori producono più di tremila calorie a persona sul pianeta ogni giorno. Queste calorie sarebbero quindi sufficienti a sfamare tutta la popolazione mondiale, ma per motivi di distribuzione, di sussidi, di reddito disponibile, non tutto il cibo raggiunge chi lo richiede. Un terzo del cibo oggi viene sprecato. Ottocento milioni di persone soffrono ancora la fame.
In merito alla produttività, uno studio pubblicato su Forbes per gli Stati Uniti ha confermato la resa mediamente inferiore dell’agricoltura biologica, con variabilità dovute alle zone di coltivazione e al tipo di raccolto. http://www.forbes.com/sites/stevensavage/2015/10/09/the-organic-farming-yield-gap/
La questione della produttività viene rimarcata dai pasdaran dell’agricoltura convenzionale (e degli ogm.) Scrivono quelli di Biotecnologiebastabugie:
“Sul piano globale la produzione biologica risulta sostenibile solo a patto di rinunciare alle
produzioni zootecniche che oggi si “mangiano” gran parte dei raccolti. Se dovessimo produrre le
stesse quantità di oggi con sistemi a basso input la terra non basterebbe. Inoltre ogni ettaro in più
coltivato significa un ettaro in meno per la biodiversità del pianeta… quindi meglio produrre molto
con poca terra che poco con tanta terra.
Oggi si coltivano circa 1,5 miliardi di ettari a livello mondiale. Per produrre le medesime quantità di prodotti agricoli (non solo cibo!) senza l’uso della chimica (o degli OGM), ne servirebbero 4 miliardi, il che tradotto in termini planetari vorrebbe dire mangiarci praticamente tutte le praterie. Qualora si facesse una proiezione sulla richiesta di beni agricoli da parte di una popolazione mondiale, al 2025, di 8 miliardi di persone i miliardi di ettari salirebbero a 6. Con buona pace anche delle foreste.
Alcuni link di approfondimento:
1) cosa succederebbe al pianeta se facessimo solo agricoltura biologica.
http://biotecnologiebastabugie.blogspot.com/2008/05/che-ora-la-fine-del-mondo.html
2) perché è meglio per la biodiversità produrre tanto con poca terra piuttosto che poco con tanta
terra.
http://biotecnologiebastabugie.blogspot.com/2009/05/ogm-e-biodiversita-hippo-pippo-dilemma.html
3) perchè l’agricoltura intensiva è indispensabile per la sostenibilità.
http://biotecnologiebastabugie.blogspot.com/2008/11/parlano-bene-ma-razzolano-male.html
Una serie di argomenti molto interessanti è contenuta nel seguente botta e risposta tra i lettori di un portale scientifico e e il prof.Jonathan Foley e la dottoressa Hanna Tuomisto.
“So che le rese sono più alte, ma non è vero che l’agricoltura convenzionale poggia su input artificiali e prodotti agrochimici che compromettono la fertilità e inquinano la terra, i fiumi e i corsi d’acqua?”
a. Sì. I sistemi organici usano di solito meno prodotti chimici di sintesi, ma non sempre. Questo è meglio per l’ambiente, ma al prezzo di minori rese. La soluzione ottimale è quella che prende il meglio dai due metodi e permette di avere rese elevate con basso impatto ambientale. Sia l’agricoltura convenzionale che quella biologica hanno i loro pro e contro. L’agricoltura industriale può fare maggiore affidamento su processi naturali e usare cicli versatili di rotazione dei prodotti. Bandirla integralmente non è necessariamente la soluzione migliore, neanche da un punto di vista di impatto ambientale.
2. Per incrementare le rese non occorre usare più pesticidi?
a. Non necessariamente. I pesticidi non sono sempre fondamentali per aumentare la resa, specialmente se li integriamo con approcci di tipo organico o tecniche di gestione degli insetti o dei batteri: diversificare i raccolti e i terreni, utilizzare predatori naturali. Si possono “alimentare” le piante in modo da favorire delle varietà che producano rese più alte anche senza la necessità di usare molti pesticidi. I problemi legati alla prevenzione delle malattie e ai semi sono evitabili con un’adeguata rotazione delle colture.
3. I pesticidi usati in agricoltura biologica seguono gli stessi test di quelli dell’agricoltura industriale?
a. Sì. Una differenza tra i due sistemi, comunque, sta nel fatto che molti dei pesticidi consentiti in agricoltura convenzionale non lo sono in quella bio.
4. Secondo voi è meglio usare meno terra per produrre di più in quel pezzo di terra o usare più terra meno intensamente?
a. Dovremmo prendere i vantaggi dei due metodi. Per riso, orzo, mais, che sono i raccolti base per l’alimentazione può essere preferibile produrre in modo intensivo (alta resa su poca terra.) La frutta, la verdura e alte coltivazioni molto nutrienti possono essere coltivate in modo più estensivo. Bisogna scegliere il metodo migliore a seconda anche del luogo di coltivazione. Una via ottimale da seguire può essere quella dell’intensificazione sostenibile. Vale a dire che dovremmo usare delle pratiche ad alto rendimento ma che minimizzino l’impatto ambientale nefativo. Dovrebbero essere dati degli incentivi per lasciare comunque spazio a disposizione per la vita e la natura selvaggia e per mantenere le foreste (anche nell’ottica della decarbonizzazione.)
5. Ridurre il consumo di carne allenterebbe la pressione sull’uso della terra?
a. Sì. Produrre un chilo di proteine animali da carne di manzo richiede almeno sedici volte la terra necessaria per produrre un chilo di proteine equivalenti da soia. Il pollame e i suini richiedono meno terra della carne bovina, ma comunque ne domandano quattro volte più dei legumi di soia. Per produrre una caloria di carne bovina se ne sprecano trentadue per il grano usato per alimentare l’animale. Non tutta la carne è così inefficiente e per i latticini viene sprecato “solo” il 60% delle calorie complessivamente utilizzate. La carne che proviene da alimentazione degli animali a base di erba, invece, è più efficiente, soprattutto nelle aree meno adatte alla coltivazione.
6. Cosa è il land sharing e quali sono i suoi benefici?
a. “Land sharing” e “land sparing” sono espressioni usate per descrivere come potremmo coltivare nel modo più benefico per l’ambiente, specialmente in termini di biodiversità e conservazione dell’ambiente per gli animali selvatici. “Land sharing” significa fare agricoltura a bassa intensità, in modo amichevole per l’ambiente, consentendo agli animali selvatici e alla biodiversità di far parte dell’impresa agricola o meglio di condividerne gli spazi. “Land sparing” significa produrre prodotti agricoli in modo molto intensivo, con alte rese, in piccole aree focalizzate sulla produzione di cibo senza permettere l’intromissione di nient’altro e lasciando invece i terreni circostanti per la natura.
7. Secondo voi è preferibile il land sharing (usare tanta terra e condividerla col resto della natura) o il land sparing (produrre tanto su poca terra e lasciare il resto ad altri usi, umani o “naturali.”)?
a. Non dovrebbe essere una scelta “aut aut.” Il land sparing è probabilmente la priorità su scala globale, specialmente negli ecosistemi più a rischio e più critici come le foreste tropicali. In certe parti del mondo la priorità, invece, è il land sharing. Possiamo anche trovare sistemi di produzione agricola altamente produttivi che fanno uso in qualche modo di land sharing e simultaneamente lasciano ampio spazio alla natura. La risposta alla domanda dipende anche dagli obiettivi. Se l’obiettivo è massimizzare i benefici per gli animali selvatici, dipende che uso del territorio viene valutato in misura maggiore. Il land sparing può permettere di convertire terreni agricoli in foreste, per esempio, e perciò supportare specie diverse da quelle che il land sharing supporta.
8. Dovremmo etichettare il cibo organico come “Attenzione! Prodotto da uso inefficiente della terra. Può danneggiare l’ambiente?”
a. Le rese organiche sono più basse di quelle convenzionali, ma non sempre. I legumi hanno rese simili nei due sistemi. In generale è vero comunque che i sistemi organici hanno rese più basse di quelle convenzionali e quindi richiedono l’uso di più terra per produrre la stessa quantità di cibo. Tuttavia questa considerazione non tiene conto di altri aspetti che è opportuno considerare: non tutto il cibo è usato per l’alimentazione umana, ma anche per quella animale, per i biocarburanti e così via. Inoltre parte del cibo prodotto viene sprecata. Piuttosto, potremmo etichettare tutto il cibo, comunque sia prodotto, in base alla sua performance. Quanta terra ci vuole per produrre quelle calore? Quanta acqua? Quanto carbonio? Quanti prodotti chimici di sintesi? Poi sarà la gente a scegliere ciò che ritiene meglio.
9. Dovremmo dare un valore alla biodiversità nel giudicare le differenze tra i due sistemi di agricoltura?
a. I livelli di rendimento sono importanti anche quando si considerano le questioni inerenti la biodiversità. Rendimenti inferiori significano più terra necessaria per produrre la stessa quantità di prodotto cosicché le aree con vegetazione naturale rischiano di essere convertite in terreni agricoli. Dobbiamo comunque guardare al quadro nel suo complesso e trovare dei modi di produrre il cibo che siano buoni sia per la vita selvaggia che per l’ambiente.
10. Quali sono le statistiche sul diverso uso del cibo tra animali e persone?
a. Circa il 60% dei raccolti mondiali è destinato alle persone. Circa il 35% è usato per alimentare gli animali e circa il 5% per i biocarburanti. Questo varia di molto tra le varie aree del pianeta. In Asia e Africa la maggior parte del cibo è destinata alle persone. In Nordamerica ed Europa una percentuale più alta dei raccolti è destinata agli altri usi. Il 35% usato per gli animali è comunque utilizzato in modo inefficiente, specialmente quando si usano i cereali per alimentare i bovini. Ripensando la dieta umana in senso vegetariano e la strategia di produzione dei biocarburanti potremmo aggiungere il 40% della disponibilità di cibo nel mondo senza gar crescere un solo chilo di raccolto. La dieta conta molto. Attualmente il 70% della terra usata per l’agricoltura nel mondo è costituita da praterie. Nessuna di queste terre è usabile per produrre cibo direttamente per il consumo umano. Circa il 10% del suolo agricolo è arabile e usabile per produrre cibo. Basterebbe metà di questa terra per produrre l’ammontare di proteine vegetali equivalente a quanto attualmente è destinato a produrre proteine animali.
11. La fornitura di input richiesti per raggiungere rendimenti alti nell’agricoltura convenzionale è sostenibile? Indefinitamente?
a. Nel lungo termine tali input non sono sostenibili. Le risorse energetiche e i nutrienti minerali (carburanti fossili, fosfati) da cui dipende oggi l’agricoltura industriale sono fonti esauribili. Tuttavia, l’innovazione tecnologica può consentire di trovare nuove risorse o usi alternativi o inferiori di risorse esistenti. Sicuramente le energie rinnovabili e le tecnologie di riciclaggio aiuteranno in futuro la produzione agricola, anche laddove oggi siano molto costose. Inoltre possiamo migliorare l’intensità di utilizzo delle risorse chimiche ed energetiche usate oggi imparando proprio dall’agricoltura organica “come fare.”
12. Quali sono i pro e i contro delle monocolture e delle policolture?
a. Le monocolture sono più semplici da trattare con macchine grandi, il che permette di risparmiare nei costi di lavoro e delle infrastrutture. In altre parole, costa meno fare agricoltura industriale. Tuttavia le policolture sono molto meglio per l’ambiente. Le policolture sono più resistenti agli eventi climatici, alle malattie, ai batteri e così via. Quindi le policolture migliorano la sostenibilità dell’agricoltura mentre le monocolture sono come un castello di carte: prima o poi tutte le monocolture crollano.
13. L’agricoltura organica è meglio per la fauna locale?
a. Quasi certamente. I prodotti chimici di sintesi, soprattutto i pesticidi, sono usati meno in agricoltura bio e sicuramente fanno male alla fauna locale che li dovesse in qualche modo assumere. Inoltre le imprese bio sono più diversificate e sfruttano un ambiente più adatto alla vita degli animali rispetto a grandi estensioni monocolturali di grano o di soia. Anche le imprese convenzionali possono comunque permettere tali benefici se riducono di molto l’uso dei pesticidi e se utilizzano la rotazione delle colture e la differenziazione nell’uso dei terreni. Anziché una battaglia tra due sistemi, è preferibile puntare su sistemi ibridi che prendano il meglio dai due approcci. In ogni caso, la maggior parte degli studi ha trovato un’abbondanza e una ricchezza di specie animali e vegetali nei luoghi dove si fa agricoltura biologica, che non si riscontra con l’altro sistema. D’altronde non è ancora chiaro se l’agricoltura convenzionale con pratiche specifiche per la conservazione della biodiversità possa fornire benefici più alti di quelli dell’agricoltura organica. I benefici di questa sono maggiori nei terreni gestiti in modo intensivo anziché nei terreni con produzione diversificata.
14. Gli agricoltori, come possono aiutare le api?
a. Usando meno pesticidi, insetticidi, diserbanti. Lasciando della terra per i fiori e le altre forme di vegetazione naturale. Non destinare tutta la terra a raccolto, quindi. Far crescere più coltivazioni diverse.
15. Come possiamo promuovere l’unione di sistemi misti e integrati di agricoltura?
a. Intanto dobbiamo uscire dalla polarizzazione del dibattito basata su noi contro loro. Tale dibattito distrae dalla risoluzione dei problemi rilevanti che riguardano il cibo e l’ambiente. L’1% della produzione di cibo mondiale è oggi certificato come organico. Il 10% è ogm. Il resto non è né organico, né geneticamente modificato. Focalizziamoci, allora, su come ottenere più cibo sano con la creazione di minori problemi ambientali per ogni sistema usato. Etichettiamo i prodotti in base alla performance, come detto prima, anziché dando nomi generici come biologico o locale ecc.
16. Quante sono le emissioni di gas serra causate nel Regno Unito dall’agricoltura?
a. L’agricoltura incide per l’8,5% delle emissioni di gas serra del Regno Unito. L’intero sistema di produzione del cibo incide per circa il 20%. Se includiamo nel calcolo la variazione dell’utilizzo della terra la percentuale sale al 30%.
17. Le questioni riguardanti gli effetti indiretti del modo di coltivazione sono considerati negli studi?
a. Di solito no, anche se possono essere rilevanti, soprattutto perché si rischia di confrontare mele con pere. L’ammontare di terra utilizzato per produrre gli input che poi serviranno all’agricoltura industriale o organica ( fertilizzanti, energia, acqua, prodotti chimici, manodopera ecc.) può essere alto. Al momento è difficile sapere se i sistemi organici usano davvero più terra di quelli convenzionali se prendiamo in considerazione tutti questi aspetti. Tuttavia è probabile che l’agricoltura organica usi comunque più terra nel complesso, ma in un modo molto meno distruttivo.
18. Dovremmo immettere gli escrementi umani nella catena di produzione del cibo?
a. Sì, perché sarebbe un gran modo per ridurre i cicli di nitrogeno e fosforo. Però andrebbe fatto in modo da preservare l’igiene e la salute. Avremmo fertilizzanti naturali e contaminanti naturali insieme.
19. Al di là del metodo di produzione del cibo, non bisognerebbe anche sprecare meno cibo?
a. Certamente. Sembra che il 30/40% del cibo prodotto sia sprecato. Tagliando questo spreco aumenterebbe la disponibilità di cibo. Confrontiamo questo col 20% di miglioramento nella resa dei raccolti che abbiamo visto negli ultimi venti anni e agli investimenti di miliardi di dollari che sono stati necessari per ottenere tale miglioramento. Ridurre lo spreco di cibo, ripensare le politiche a favore dei biocarburanti e ripensare la propria dieta sono i modi migliori per aumentare la disponibilità di cibo nel mondo. Ridurre lo spreco di cibo aiuterebbe anche a ridurre gli impatti ambientali. Le famiglie sprecano il 25% del cibo acquistato, nel mondo sviluppato. Sensibilizzare al problema può aiutare a ridurre i rifiuti.
20. L’agricoltura convenzionale richiede la produzione artificiale di nitrogeno. Questo processo ha un impatto significativo sulle emissioni di gas serra. E’possibile quantitificarne l’impatto sull’agricoltura industriale e metterlo a confronto con l’impatto che il trasporto di nitrogeno (nella forma di manure) su lunghe distanze ha in agricoltura organica?
a. Gli studi mostrano che le emissioni di gas serra in agricoltura organica e convenzionale sono simili quando si confrontano le unità di prodotto. Le emissioni legate agli input, quali fertilizzanti e pesticidi, sono maggiori nell’agricoltura industriale, ma quella organica ha un utilizzo maggiore di fuel “in azienda.”
21. Che ambiente si avrebbe nel Regno Unito senza l’agricoltura?
a. Se la terra non venisse gestita in qualche modo per periodi lunghi di tempo, la vegetazione naturale nella maggior parte del Regno Unito consisterebbe in foreste.
22. Esiste un confronto sull’impronta ecologica tra tecniche convenzionali e organiche per prodotti diversi?
a. Probabilmente, ma non sarebbero molto credibili, perché dipendono da una gran quantità di ipotesi. In termini di emissioni di gas serra, il punto non è se le coltivazioni avvengano in modo organico o convenzionale oppure se siano locali o no. Il 90% delle emissioni che scaturiscono dall’agricoltura globale deriva da tre cose: la deforestazione (principalmente per le coltivazioni di soia e gli allevamenti bovini in Amazzonia o le palme da olio e il legname in Indonesia;) il metano (dai campi di riso e dal cattle;) e i nitrous oxide (dai campi iperfertilizzati, sia convenzionali che organici.) Se vuoi abbassare le emissioni di gas serra fondate sull’agricoltura concentrati sulla deforestazione, sulla riduzione delle emissioni di metano e sull’utilizzo eccessivo di fertilizzanti e di manure; mangia meno carne ed evita cose legate alla deforestazione.
23. Come ottimizziamo i sistemi agricoli in modo tale che garantiscano il rispetto dell’ecosistema e la produttività?
a. Consideriamo il mantenimento dell’acqua pulita, la stabilità dei suoli, il rispetto della flora e della fauna, il mantenimento degli impollinatori come beni di valore economico. Consideriamo la loro assenza in “quanto vengono pagati gli agricoltori” come un’esternalità negativa. Troviamo il modo di incentivare con strumenti di mercato l’agricoltura che fa bene all’ecosistema, attraverso sistemi quali gli “water funds” usati in Sudamerica o il mercato delle emissioni. Favoriamo l’utilizzo sia di processi naturali che di tecnologie moderne. I sistemi agricoli dovrebbero essere una via di mezzo tra organici e convenzionali. Le pratiche dovrebbero includere l’uso di rotazioni dei raccolti, il riciclo di nutrienti, la gestione avanzata dei semi e degli insetti. Pesticidi e fertilizzanti convenzionali potrebbero essere usati nei casi in cui sia davvero necessario.
24. In ogni caso, se volete abbassare le emissioni di gas serra dall’agricoltura, dovete focalizzarvi sulla deforestazione, sulla riduzione di metano emesso dagli animali, sull’uso eccessivo di fertilizzanti e di concimi. In poche parole dovete mangiare meno carne ed evitare ciò che è legato alla deforestazione.
Come indicato nell’articolo http://www.ilfattoalimentare.it/agricoltura-bio-oxford.html l’impatto ambientale dell’agricoltura bio, se consideriamo le unità di prodotto e non quelle di area coltivata, può essere rilevante. Anche questo articolo giunge alla conclusione di prendere il meglio dei due sistemi per arrivare a un’ agricoltura sufficientemente produttiva e col minore impatto ambientale possibile.
“L’agricoltura bio ha un minor impatto ambientale per unità di area coltivata, ma considerando l’unità di prodotto questo impatto può risultare addirittura superiore.
Consideriamo la questione della biodiversità: «L’indagine ha rivelato che le coltivazioni biologiche mostrano in genere una ricchezza di specie superiore del 30% rispetto a quelle convenzionali» scrivono gli autori, aggiungendo però che «esiste una forte variabilità nei risultati di studi differenti, con il 16% degli studi che ha descritto un effetto negativo dell’agricoltura senza pesticidi sulla ricchezza di specie».
Passiamo all’emissione di gas serra: nel complesso non sono emerse grosse differenze tra sistemi “verdi” e sistemi tradizionali, ma le cose cambiano se si considerano gruppi di prodotti differenti. I cereali, i suini e il latte bio, per esempio, comportano emissioni di gas serra superiori, mentre accade il contrario per olive e bovini.
E ancora: la perdita di azoto, le emissioni di ammoniaca e ossido di diazoto, il potenziale di eutrofizzazione e quello di acidificazione risultano sicuramente inferiori per unità di area per le coltivazioni biologiche. Il risultato si inverte considerando le unità di prodotto: in questo caso spesso il bio si comporta peggio. Il fenomeno si spiega semplicemente considerando che i due sistemi di coltivazione hanno rese molto differenti: in media il 25% in meno per le colture senza pesticidi e fertilizzanti minerali.
La differenza dipende soprattutto dalla minor disponibilità di nutrienti, in particolare azoto, per i campi bio, anche se possono entrare in gioco fattori legati a malattie, alla diffusione di piante infestanti o all’attacco da parte di parassiti. Rese inferiori significano che, a parità di prodotto, anche il consumo di suolo è maggiore per l’agricoltura biologica, mentre appare inferiore quello di energia (21% in meno), perché vengono meno le voci legate alla produzione e al trasporto di fertilizzanti sintetici.”
E quindi?
“Lasciamo perdere il tradizionale dibattito bio contro convenzionale per concentrarsi sull’ottimizzazione dei due sistemi, prendendo da ciascuno quanto ha di buono e lavorando per limitarne i difetti.
Nel caso dell’agricoltura biologica, il problema principale è costituito dalle rese più basse. Ecco allora, scrivono i ricercatori, «bisogna migliorare le strategie di controllo delle erbe infestanti, dei parassiti e delle malattie. E bisogna lavorare sugli incroci sia di piante sia di animali, per ottenere ibridi “fatti apposta” per la coltivazione o l’allevamento di tipo biologico». Senza dimenticare lo sviluppo di nuove tecnologie in grado di migliorare la gestione delle sostanze nutritive nei terreni.
Nel caso dell’agricoltura convenzionale, invece, i punti chiave sono la riduzione dell’uso di pesticidi sintetici e fertilizzanti minerali e la promozione della biodiversità. «Riteniamo che un risultato ottimale possa essere ottenuto con un sistema integrato, in cui si lavora molto sulla prevenzione e i pesticidi vengono impiegati solo in particolari circostanze”
Ancora:
“I benefici del bio si potranno avere anche senza una completa conversione dall’agricoltura convenzionale a quella organica. Un percorso più speranzoso e ragionevole può essere percorso da sempre più agircoltori anche se non seguono l’approccio bio in modo religioso. Tra gli agricoltori più poveri l’agricoltura organica può dare rese maggiori, ma il premium price del biologico difficilmente andrebbe in tasca a loro. Inoltre loro sono spesso incapaci (o non vogliono) caricare sulle proprie spalle il peso e i rischi associati col diventare interamente organici.
Una via di mezzo può essere trovata: agricoltura a basso impatto che usi molti dei principi dell’agricoltura biologica, ma non rinunci a una piccola (ripetiamo, piccola) frazione di prodotti chimici di sintesi. In questo modo i prodotturi piccoli possono produrre due o tre volte più di quanto facciano attualmente sostenendo anche meno costi per unità di prodotto. Se cinque agricoltori dimezzano l’uso di prodotti chimici, l’effetto sull’ambiente sarebbe due volte e mezzo maggiore che se solo uno di loro produce 100% bio.
Gli agricoltori che si focalizzano sulla conservazione dei suoli, sull’incremento della biodiversità, sulla rotazione delle colture, non sono preclusi dal poter adottare alcune soluzioni biotech o sintetiche in caso di necessità, soprattutto dove il suolo è compromesso. Se facciamo le cose per bene, possiamo inoculare molto organico nei sistemi convenzionali. Un approccio così integrato può sovraperformare, in termini di resa, i benefici economici e ambientali. C’è in particolare un’enorme area nell’Africa subsahariana e in Sudamerica dove la rivoluzione verde non ha avuto impatto e dove l’agricoltura bio avrà un impatto benefico su produttività e sicurezza alimentare.”