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Lo stupore delle prese elettriche

La globalizzazione e la competizione salariale spiegati da NFA.

 

Copincolliamo dal libro “Voltremont,” del collettivo Noise From Amerika. voltremont

 

L’invasione di prodotti cinesi e la globalizzazione.

Dice Tremonti, e con lui chi agita lo spauracchio della globalizzazione:”Se tutti i prodotti vengono venduti dai cinesi, noi non produciamo più niente, quindi i nostri redditi scendono e finiamo in miseria.”

Ecco la risposta scritta in “Voltremont: istruzioni per il disuso,” del collettivo Noise From Amerika, da cui abbiamo già tratto l’articolo su “globalizzazione e competizione salariale” e da cui ne trarremo altri. (Non c’è molto da aggiungere o da cambiare su quanto hanno scritto loro su questi temi.)

“È la vecchissima storia della differenza tra vantaggi comparati e vantaggi assoluti. Chiediamoci: a chi venderanno i cinesi? anche se noi diventassimo gli unici produttori di tutto, a chi venderemmo? Dovremmo dare via i nostri prodotti gratis.
Lo stesso argomento vale per la Cina: se la concorrenza cinese facesse davvero sparire la manifattura italiana e la tedesca e la francese e via dicendo a chi diavolo venderebbero i loro prodotti, i cinesi?
La risposta «li venderanno a se stessi» non vale, perché illogica: se ciò che producono lo
vendono a se stessi… allora potremmo farlo anche noi, riprendendo a produrre quello che producevamo e vendendocelo. Quindi se la concorrenza cinese fa chiudere alcune aziende italiane, ed europee, questo è analogo alla concorrenza di Abbiategrasso che fa chiudere alcune aziende di Ravenna, e viceversa. Dopo un giro, quelli di Ravenna trovano qualcos’altro da produrre e quelli di Abbiategrasso, volendo comprare qualcosa con ciò che guadagnano vendendo i propri prodotti a Ravenna, compreranno i nuovi
prodotti di quelli di Ravenna. O magari il giro
sarà più complicato, perchè le cose nuove che si fanno a Ravenna le comprano ad Adria, dove produrranno nuove cose che si comprano quelli di Abbiategrasso. Alla fine, però, per lungo che possa essere il giro, i conti devono tornare per forza, perché nessuno fa niente per niente. E’ tutta una questione di vincolo di bilancio e del fatto che la gente lavora e guadagna per consumare e investire, ossia per comprare prodotti degli altri. Per commerciare, insomma.

Globalizzazione e competizione salariale

L’affermazione, di Tremonti, ma molto comune: “La concorrenza dei cinesi o di altri popoli dove le retribuzioni sono inferiori a quelle italiane, comporta una spinta al ribasso delle retribuzioni degli italiani stessi, oppure alla loro uscita dal mercato. ”

La risposta: “Questa affermazione, almeno, è formalmente corretta. Nel senso seguente: se un’impresa di Abbiategrasso inizia a vendere i suoi prodotti nel mercato in cui, sino al giorno prima, li vendevano solo le imprese di Ravenna, le imprese di Ravenna entrano in concorrenza con quella di Abbiategrasso. Questa concorrenza fra imprese è anche concorrenza fra i lavoratori delle due, o più, imprese: quelli che fanno il prodotto migliore al minor costo guadagneranno quote di mercato. Gli altri le perderanno. IN QUEL MERCATO. Comunque, se i prodotti sono equivalenti e i lavoratori delle due imprese egualmente produttivi, ma quelli di Abbiategrasso lavorano per un salario uguale alla metà di quelli di Ravenna, le imprese di Ravenna avranno dei problemi a uguagliare i prezzi. Non ci piove.
E però…
Se l’impresa di Abbiategrasso riesce a vendere i prodotti nello stesso mercato dove prima li vendeva solo quella di Ravenna e lo fa, per dire, a metà del prezzo, i consumatori di quel mercato (facciamo conto siano i cittadini di Ravenna) devono spendere solo metà di prima per acquisire quei beni. Rimangono, quindi, con metà del reddito da spendere in altri beni. Che potrebbero essere, per esempio, dei nuovi prodotti che le imprese di Ravenna s’inventano. Ma, direte voi, in questa maniera i lavoratori delle imprese di Ravenna guadagnano metà di quanto guadagnavano prima lavorando lo stesso numero di ore.

La storia, però, non finisce qui.
La frase che viene spesso detta, anche da ministri o ex ministri come Tremonti, è che per competere coi lavoratori cinesi nel mercato interno italiano ed europeo, i lavoratori italiani saranno costretti ad accettare salari inferiori, ossia simili a quelli cinesi. Il costo della vita, invece, cioè il prezzo delle merci che dovranno acquistare, rimarrà tale e quale. Quindi ci rimetteranno.

Ora. Se i salari italiani si adeguassero a quelli cinesi, allora le imprese cinesi non potrebbero più vendere in Italia o in Europa o in qualsiasi mercato dove ora vendono le imprese italiane. Poiché i salari italiani sono adesso la metà di quelli di prima, per adeguarsi ai cinesi, e si sono ridotti così per permettere alle imprese italiane di mantenere fuori dai loro mercati le imprese cinesi, deve essere vero che i prezzi a cui le imprese italiane vendono i loro prodotti sono la metà di quelli di prima. Ossia sono uguali a quelli che sarebbero stati i prezzi offerti dalle imprese cinesi.
Non c’è alternativa.
Se: 1) le imprese cinesi competono con le italiane perché hanno prezzi più bassi e 2) hanno i prezzi più bassi perché hanno anche i salari più bassi,
allora: se le imprese italiane abbassano i salari al livello cinese deve essere per abbassare i prezzi al livello cinese.
Altrimenti, a che diavolo serve? Se abbassassero i salari, ma non i prezzi, non venderebbero né agli italiani (per i quali i prezzi sarebbero troppo alti, dati i salari più bassi,) né a chi non avesse adeguato i salari (visto che comunque i prezzi sarebbero più alti di quelli cinesi.)
Se scendono i salari, allora devono scendere anche i prezzi.
La conclusione, per i lavoratori italiani, è che non è vero che ci rimetterebbero: guadagnerebbero la metà di prima, ma acquisterebbero merci che costano la metà di prima.
La conclusione non cambia nemmeno per i cinesi, poiché a causa della riduzione dei prezzi e dei salari italiani non venderebbero niente in Italia.

C’è una possibile obiezione, fatta agli autori di Voltremont da un giornalista sportivo.
Eccola.
“Se io produco spaghetti, tutto il mio personale è specializzatissimo in spaghetti. Li vendiamo a 100, costo di produzione 50, e arrivano i cinesi, ma arrivano solo nel ramo spaghetti per qualche anno e vendono gli spaghetti a 40, costo di produzione 20. Io decido di chiudere. E’ vero che i miei operai avranno un risparmio quando andranno a prendere gli spaghetti al supermercato: prima li pagavano 100 e ora li pagano 40. Ma non hanno il salario e tutti gli altri beni costano tanto quanto prima perché i cinesi non li producono ancora. Come la mettiamo?
La mettiamo così.
Il prezzo degli spaghetti non è diminuito solo per gli ex operai che prima producevano spaghetti, ma per tutti coloro che quegli spaghetti acquistavano. In altre parole, gli spaghetti prima venivano venduti a cento il pacco e se ne vendevano centomila pacchi per un totale di dieci milioni. Facciamo che gli operai della fabbrica di spaghetti comprassero mille di quei pacchi. Ora gli operai non se li possono più comprare, ma il resto della popolazione sì. Quindi si vendono ancora novantanovemila pacchi di spaghetti a quaranta l’uno invece che a cento.
Per cui gli altri operai, non i neo disoccupati, risparmiano un totale di 60*99000 = 5.940.000
Che se ne fanno con questi quasi sei milioncini? Probabilmente li spendono in qualcos’altro. Cosa? Beh. Magari una sofisticata salsa per gli spaghetti cinesi, o i tortellini fatti a mano dalla nonna, o i nuovi maccheroni di grano super duro. Tutta roba che non si produceva prima e ora vale la pena produrre, perché c’è la domanda aggiuntiva generata dal risparmio di spesa causato dall’arrivo degli spaghetti cinesi a buon mercato.
Bene. Chi potrebbe produrre i tortellini fatti a mano e tutto il resto? Ma gli operai ora ex disoccupati della fabbrica di spaghetti, trasformata in fabbrica di tortellini artigianali e di sughi super lusso per la mamma che va di fretta. A ben pensarci non c’è nessun altro che possa produrre queste cose, visto che, per ipotesi, niente è cambiato per il resto del paese: sono arrivati solo gli spaghetti cinesi e gli unici a perdere il lavoro sono stati gli operai della ex fabbrica di spaghetti. Quindi gli unici disponibili per il nuovo prodotto sono gli ex operai.
Domanda: “E se i disoccupati dello spaghettificio non sanno fare le salse della nonna?” Be’. Neanche i cinesi sapevano fare gli spaghetti bene come noi, un tempo. Se hanno imparato a fare gli spaghetti, alcuni di noi potranno imparare a fare le salse.

Quando gli altri cambiano le proprie abitudini e fanno le cose diversamente è quasi sempre opportuno rispondere con qualche cambio anche da parte nostra e i cambi richiedono degli sforzi.

Compito di un governo serio non è bloccare i potenziali guadagni che vengono dal commercio internazionale, ma cercare di minimizzare i costi di chi deve cambiare ciò che fa e produce.

In che modo può farlo? Per esempio usando i proventi di quei risparmi per riqualificare chi avesse perso lavoro. Creando un’adeguata assicurazione contro la disoccupazione disponibile a tutti i lavoratori in modo equo (una cosa ben diversa dall’attuale, discriminatoria e iniqua, cassa integrazione.) Fornendo adeguati incentivi e sussidi per la riqualifica dei lavoratori.

La storia descritta è incompleta, però è coerente. I discorsi di Tremonti e degli altri anti cinesi peccano di logica, oltre che di economia.
Rendiamo adesso la storia completa per capire cosa possa succedere davvero una volta che le imprese cinesi a basso costo competano con le italiane sui medesimi mercati, e in Italia in particolare.
Chiediamoci cosa fanno gli italiani coi soldi che risparmiano acquistando spaghetti a più buon mercato ma anche cosa fanno i cinesi con quel che guadagnano vendendoci spaghetti.

Una delle teorizzazioni semplici, ma erronee, comune in personaggi come Tremonti o Toni Negri, per fare nomi a caso, è che il conflitto sia il motore del mondo. Questo perché la torta da spartirsi sarebbe di dimensioni fisse e le interazioni sociali sarebbero fondamentalmente sempre conflittuali.
Seguendo queste teorizzazioni, se guadagnano i cinesi, perdono gli italiani e viceversa. La torta è fissa e sembra impossibile che italiani e cinesi possano farsi reciprocamente del bene commerciando. Questa logica illogica è stata definita “Modello Superfisso” in un magistrale articolo di Sandro Brusco sul blog “Noisefromamerika.”

Quindi.
Abbiamo un cinese che prima non faceva nulla, che si mette a lavorare e produce una camera da letto. Finora la camera da letto era prodotta solo da un signore in Brianza.
Allora, dicono i sostenitori del modello superfisso, o:
1) Il cinese vende la sua camera da letto e ruba il posto di lavoro del brianzolo oppure:
2) Il brianzolo vede il proprio salario ridursi al livello di quello del cinese.

Vogliamo provare anzitutto che non è per niente vero che il cinese che vende la camera da letto ruba il lavoro al brianzoli. Fatto questo, vogliamo scoprire cosa succede se il salario del brianzolo si riduce al livello di quello del cinese.

Nel primo caso il prezzo si abbassa (il cinese ha un salario più basso, quindi il prezzo a cui vende la camera da letto è più basso e il brianzolo si adatta), entrambi producono e vendono la propria camera da letto e nel mercato mondiale vengono assorbite due camere da letto.
Se il prezzo cala, diciamo, da 100 a 50, il brianzolo ora incassa 50 e il cinese pure incassa 50.
Un signore che prima comprava la camera dal brianzolo per 100 (tanto per dire, uno di Marsiglia) ora spende 50 di meno per la camera e gli rimangono a disposizione altri 50 per comprarsi qualcos’altro.
Un secondo signore, anche lui di Marsiglia, che prima non poteva comprare la camera a 100, ora la compra con quei 50 che prima spendeva da qualche altra parte. Le cose che prima si comprava questo secondo signore coi 50 che ora spende nella camera, se le compra l’altro signore di Marsiglia coi 50 che ha risparmiato.
Alla fine a Marsiglia si sono portati a casa una camera da letto in più di ieri, il brianzolo e il cinese hanno incassato 50 e venduto la rispettiva camera.
Il brianzolo, però, prima incassava 100, quindi potreste pensare che abbia perso qualcosa.

Per mostrare che anche il brianzolo sta meglio o almeno uguale a prima occorre considerare il secondo caso, quello in cui le due camere da letto vengono assorbite senza che il prezzo si riduca. In questo caso il brianzolo vende una camera e incassa 100 come prima, mentre il cinese, che prima non incassava quasi niente, ha visto le sue entrate diventare 100 in un colpo solo.
Bene. E dove li ha presi i 100 extra per comprarsi la camera dal cinese il secondo signore di Marsiglia? E’ facile: dal cinese.
Sorpresi? Ebbene. Il commercio (locale o internazionale che sia) funziona esattamente così.
Quando il cinese incassava solo uno, poteva comprare merci solo per un valore pari a uno. Da chi le comprava? Dal signore di Marsiglia che, siccome faceva roba da vendere ai cinesi e questi potevano permettersi di spendere solo uno, incassava anche lui uno.)
Ma ora che il cinese si è messo a fare qualcosa di utile e incassa 100, può spendere 99 in più- Dove li spende? Dal suo antico fornitore di Marsiglia, il quale ora può produrre cose di maggior valore e/o in maggior quantità e incassare 100. Con questi si compra, finalmente, una camera da letto.
In questo secondo caso il primo signore di Marsiglia e il brianzolo stanno esattamente come ieri, mentre il cinese e il secondo marsigliese sono ben contenti.

Il terzo caso, di fatto, è il primo visto dall’altro lato della medaglia. Il brianzolo che ha venduto la camera per 50 invece che per 100 può sentirsi sfigato. Ma non deve. Per due ragioni.
Intanto perché il cinese, che prima incassava 1, ora incassa 50 (siamo tornati al caso numero 1, ricordiamolo). Quei 49 in più decide di spenderli per comprare i prodotti che fa il figlio del brianzolo e che prima nessun cinese voleva comprare a un prezzo maggiore di uno. Insomma in casa arriva comunque 100 e il figlio è anche contento perché si guadagna da vivere facendo qualcosa che gli piace anziché essere mantenuto dal padre. Ma non finisce qui.
Il brianzolo ha pure notato che, ora che le camere da letto costano 50 e non più 100, anche le macchine nuove costano 50 e non più 100 e lui era lì lì per comprarsi una macchina nuova.
Com’è successo questo miracolo?
E’ successo così.
Risulta che i cinesi sono tanti, veramente tanti. Alcuni di loro, che prima raccoglievano grani di riso con le dita, si sono messi a produrre automobili su tecnologia giapponese. I tedeschi, coi quali sono entrati in competizione, hanno abbassato i prezzi delle macchine per competere coi cinesi e ora le macchine costano 50 invece di 100. Ossia, sta succedendo in Brianza con le auto quello che era successo a Marsiglia con le camere da letto e che aveva dato una grande allegria ai marsigliesi: si sono ridotti i prezzi.
Morale della favola: grazie all’arrivo del cinese e nonostante che il suo salario si sia dovuto abbassare, il brianzolo vive meglio di prima. Il figlio ha un lavoro e un reddito e il vecchio artigiano brianzolo, pur guadagnando meno nominalmente riesce a comprarsi le stesse cose e anche qualcosa extra, grazie all’aiuto del figlio. Ci han guadagnato un po’ tutti a commerciare coi cinesi, che sono tanti.

E non poteva altrimenti: per comprare gli oggetti che producono le altre persone (che siano di Ravenna o di Shanghai non fa alcuna differenza: sempre altre persone sono) occorre avere degli oggetti o dei servizi prodotti da noi che gli altri desiderino acquistare.

I cinesi, quando si baloccavano con la Rivoluzione Culturale, non producevano nulla di utile e quindi non avevano nulla da darci. Ora stanno producendo delle cose utili. Questo vuol dire che hanno qualcosa da dare a noi in cambio di cose che noi produciamo e possiamo vendere a loro. Detto in parole semplici: il numero totale di beni prodotti è aumentato, quindi c’è la possibilità di stare tutti meglio, consumando tutti un pelo di più.
Ovviamente è probabile che loro stiano molto meglio e noi solo un po’, ma loro prima stavano da schifo e a noi già andava bene.
A noi toccò la loro sorte quando cominciammo a commerciare con gli americani, circa sessant’anni fa. Allora eravamo noi a stare male e il nostro reddito crebbe molti più di quello americano, tanto che ci avvicinammo ai loro standard di vita. Lo stesso sta succedendo, ed è bene che succeda, ai cinesi, agli indiani e a tanti altri.
Commerciando si coopera e si evita il conflitto.
Contrariamente a quanto credono in tanti (per la gioia dei politici che ci sguazzano, ndrr) il commercio tra paesi non genera conflitto tra lavoratori, ma lo evita generando cooperazione. L’assenza di commercio, invece, genera conflitto perché, quando non commerci, l’aggressione e il conflitto diventano la maniera alternativa per cercare di arricchirsi.

Commerciando con i cinesi, invece, loro ci vendono le cose che producono e noi vendiamo loro le nostre.
Sì, lo sappiamo che gli stessi molti di prima sostengono che loro venderanno tutto a noi e noi niente a loro, ma questa idea è ancora più balzana di quella che abbiamo appena smontato.
Il fatto è che se loro producono qualcosa e lo vendono, bisogna che ci sia qualcuno che lo compra. E se vendono qualcosa poi anche loro vogliono comprare. Ragion per cui il figlio del brianzolo ha trovato lavoro la settimana scorsa per produrre roba strana che spediscono in Cina o a lavorare all’ufficio turistico dove avevano bisogno di personale visto l’arrivo di cinesi arricchiti o a fare il commercialista per la parrucchiera cinese e così via.

 

 

 

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