https://voxeu.org/article/italys-productivity-challenge
“La crescita del Pil italiano era sopra la media Ocse ancora negli anni 80 ma da metà anni 90 la crescita ha rallentato e il pil procapite si è rapidamente deteriorato rispetto all’eurozona e ai paesi Ocse. La produttività totale dei fattori, in particolare, è declinata in Italia dello 0,3% annuo nel periodo tra il 1998 e il 2014 mentre è aumentata negli altri paesi dell’Eurozona e ancora di più in paesi non appartenenti all’Unione Europea.
Alla radice della bassa crescita varie ricerche hanno evidenziato come ci siano stati: rigidità nei mercati dei prodotti e del lavoro, mercati dei capitali non sufficientemente sviluppati, peso della tassazione eccessivamente sbilanciato sui fattori produttivit, debolezza nella corporate governance e nel management, inefficienza della pubblica amministrazione e della giustizia civile.
Confrontando degli indicatori strutturali nelle aree del capitale umano, della regolamentazione dei mercati, della struttura della tassazione, dell’innovazione, si vede come i gap con i paesi Ocse sono cresciuti in ciascuna area negli ultimi quindici anni (al 2015).
Cosa succederebbe se venissero attuate delle riforme strutturali tali da ridurre il gap con la media dei migliori tre performer in queste aree? La simulazione effettuata dagli autori mostra come le riforme produrrebbero crescita ma, data la natura e la dimensione dei gap, ci vorrà del tempo affinché tali riforme possano dare i loro frutti.
L’Italia ha la quota di popolazione più bassa con educazione terziaria e la quarta quota di popolazione più alta con educazione di base nell’Unione Europea (dati della Commissione Europea, 2014). Questo gap riguarda anche le generazioni giovani, quindi ci vorrà tempo per colmarlo. La differenza è rilevante rispetto a economie concorrenti come quelle sudcoreana, spagnola, polacca. Tutto ciò si traduce in competenze scarse. Inoltre la differenza tra le competenze dei giovani e degli anziani è più piccola che negli altri paesi con livelli simili di competenze nella popolazione adulta, quindi è prevedibile che il gap cresca. Il basso livello di capitale umano riflette i bassi rendimenti di educazione e competenze, specialmente per i giovani.
L’Italia ha riformato le regolamentazioni nei mercati dei prodotti più di altri paesi negli ultimi 15 anni. Le riforme hanno portato alcuni risultati. I markup nel settore dei servizi sono scesi rispetto a periodi precedenti e asono sotto la media dell’eurozona. Tuttavia l’ambiente non è ancora favorevole all’impresa. I costi per aprire una startup restano più alti che in quasi tutti gli altri paesi Ocse. Inoltre i progressi nelgi ultimi dieci anni sono stati meno rapidi che quelli fatti da Grecia, Spagna e Portogallo, che adesso sovraperformano rispetto all’Italia. Questo indicatore, sia pure imperfetto, serve come proxy per la più ampia debolezza della pubblica amministrazione e della giustizia civile, che rallentano la riallocazione dei fattori produttivi.
Anche i gap in ricerca e sviluppo e innovazione sono grandi e crescenti. Le spese per ricerca e sviluppo nel 2013 erano dello 0,68% del pil, meno della media dei paesi Ocse (1,61%). Dal 1998 sono aumentate di 0,19 punti percentuali mentre l’aumento medio nei paesi Ocse è stato di 0,20 punti percentuali e addirittura meno della metà della Germania (0,40 punti percentuali). La quota di brevetti depositati in Italia nel 2013 è stata dell’1,4% contro il 4,9% della Francia e il 10,8% della Germania. Il passo lento di innovazione tecnologica viene evidenziato anche dalla specializzazione in settori a bassa e media tecnologia.
I mercati dei capitali restano sottosviluppati, il che ostacola l’innovazione e i cambiamenti strutturali. L’Italia sottoperforma rispetto agli altri paesi europei per quanto riguarda il private equity e il venture capital.
L’Italia potrebbe rendere la struttura fiscale più favorevole alla crescita. Nell’Eurozona l’Italia ha la più alta aliquota fiscale sul lavoro dopo il Belgio mentre la tassazione implicita sui consumi è tra le più basse. Gli sforzi di aggiustamento fiscale hanno colpito principalmente i redditi da lavoro. Le aliquote ridotte e la forte evasione dell’Iva rendono la tassazione implicita sui consumi più bassa rispetto all’alto livello dell’aliquota ufficiale.
Riforme strutturali che consentissero di chiudere il gap con i tre migliori performer nelle varie aree potrebbe aumentare il pil del 23,8% in cinquanta anni, per metà attraverso i guadagni di produttività e per l’altra metà attraverso aumenti di occupazione. I guadagni sono comunque limitati nel breve termine.
Nel lungo termine più della metà degli impatti delle riforme, secondo l’analisi degli autori, deriverebbe dalla convergenza tra gli standard educativi dell’Italia con quelli dei migliori performer dell’Unione Europea. I benefici si materializzerebbero lentamente, probabilmente sarebbero poco percepiti dopo dieci anni ma continuerebbero ad accumularsi dopo cinquanta. Il time lag potrebbe essere accorciato dal rientro dei cervelli e dall’immigrazione qualificata.
Ridurre i mark up, le barriere all’ingresso, il peso finanziario sugli asset intangibili farebbe guadagnare produttività e farebbe crescere il pil significativamente dopo cinquant’anni. Aumentare i sussidi governativi in forma di crediti di imposta a ricerca e sviluppo avrebbe invece limitati impatti sulla crescita.
Spostare la tassazione dai redditi da lavoro ai consumi indurrebbe un incremento robusto dell’occupazione e quindi del Pil già nei primi anni (mentre in seguito gli effetti sarebbero limitati) e giocherebbe un ruolo importante nell’aiutare il processo di riforma iniziale”.
Per i grafici, che sono molto interessanti, si può guardare l’articolo originale