I dirigenti non sono “personale?”
Si possono “toccare” se non ottengono risultati, come tutto il personale. I risultati si hanno se aumentano valore, aumentano i ricavi, fanno aumentare i profitti ma è difficile valutare i risultati se i dipendenti vanno avanti per anzianità o raccomandazioni e non per merito, se non di amicizia col politico o col dirigente. I dirigenti inoltre come fanno ad ottenere risultati o a trovare soldi per gli investimenti se non possono agire né sui costi (personale, per esempio) né sui ricavi (prezzo dei biglietti, per esempio?) I dipendenti del Comune che avevano le indennità di risultato le avevano tutti uguali, ma è impossibile che due persone producano gli stessi risultati, e inoltre non erano, tali indennità di risultato, legate ai risultati, ma a un contratto deciso a livello nazionale anziché aziendale.
Come fanno a dirigere se il personale non è nemmeno spostabile di mansione o di posto o non vuole lavorare dieci minuti in più o non vuole essere valutato sui risultati o non vuole differenze di stipendio fondate sul merito?
Tutelare il lavoratore non è uguale a tutelare il posto di lavoro.
Il lavoratore si tutela garantendogli stipendi adeguati alla produttività, stipendi non defalcati da tasse assurde, possibilità di crescita professionale, anche rispetto delle sue esigenze.
Il lavoratore si tutela se può cambiare agevolmente lavoro in un mercato dinamico e nel frattempo, quando è senza lavoro, gli devono spettare ammortizzatori sociali come in tutto il mondo. Quindi anche sussidi di disoccupazione che cessano se il soggetto rifiuta un lavoro.
Gli imprenditori o i datori di lavoro non sono lavoratori?
Perché tutelare una parte nell’illusione che sia la più debole? Quanti hanno fatto periodi di malattia alla Fiat e poi facevano il garzone dei muratori? Quanti hanno avuto casse integrazioni per anni e hanno rifiutato nuovi lavori?
Se il lavoratore sa che il suo posto sarà fisso può fare scelte a lungo termine, ma non è incentivato a professionalizzarsi e anzi è incentivato a fare il meno possibile o almeno il non abbastanza produttivo.
Se assumere un lavoratore significa tenerlo a vita, prima di assumerlo se ne inventano di tutti i colori e al limite si assume a nero, giustamente.
Se il lavoratore assunto a vita fa parte di un’azienda in perdita che viene salvata dallo Stato, questo deve trovare i soldi dalle tasse o spendere a deficit. Ci rimettono quelli che il lavoro lo cercano e non lo trovano perché le aziende o gli enti devono tenere quelli assunti a vita e magari meno produttivi. Oppure non lo trovano perché le aziende devono pagare più tasse o più costi o essere meno produttive e quindi non c’è spazio per i nuovi.
Col mercato del lavoro bloccato si crea disoccupazione, come dimostra l’Italia e, al contrario, come dimostrano i paesi dove la disoccupazione è inferiore e l’occupazione, soprattutto, superiore: Uk, USA, Paesi scandinavi con la flexicurity. Perfino Spagna e Portogallo hanno avuto una crescita.
Gli stessi lavoratori, con le tasse pagate per salvarne altri, hanno meno reddito a disposizione.
Tutelare solo i lavoratori dipendenti pubblici, alcuni professionisti legati a una corporazione e i lavoratori di grandi imprese private sindacalizzate è stato uno dei grossi problemi italiani. Infatti chi teneva a galla l’Italia sono stati a lungo gli autonomi e le piccole aziende non sindacalizzate e che spesso evadevano.
Poi succede che privilegi i lavoratori dipendenti (solo alcuni) e ci rimettono: gli altri lavoratori, gli imprenditori, i risparmiatori, i contribuenti e soprattutto chi cerca lavoro e non lo trova. Non perché il numero dei posti di lavoro sia fisso, ma perché più vincoli ci sono e meno crescita c’è e l’occupazione dipende dalla crescita.
La pseudotutela del lavoratore iniziata negli anni Settanta ha creato discriminazioni, sprechi, deficit e disoccupazione. Chi ci ha guadagnato sono stati i sindacati, i politici, gli assunti in massa. Chi ci ha rimesso sono state le generazioni future e l’Italia: il declino nasce da questi obbrobri.