https://voxeu.org/article/productivity-italy-great-unlearning
“L’incapacità dell’Italia di uscire dalla recessione giace sull’eredità del passato, sul decennio perduto di riforme mancate nei mercati del lavoro, del credito, dei prodotti. Il gap di competitività è dovuti alla mancata crescita della produttività e alla dinamica dei profitti svincolata dalla pressioen del mercato e della produttività.
La competitività misura i prezzi delle merci straniere rispetto a quelle delle merci domestiche. Diverse misure di competitività (o del suo reciproco, il tasso di cambio reale) si basano sui prezzi al consumo sui costi unitari del lavoro. Quest’ultima misura è interessante perché non è influenzata dalle politiche di prezzo delle imprese.
Nel solo 2011 il costo del lavoro per unità di prodotto in Italia è cresciuto del 23%. In Germania è diminuito di 9,7 punti percentuali. Perché?
Decomponiamo la competitività nelle sue determinanti principali. Un paese diventa più competitivo se il salario medio orario interno cal arispetto a quelli esteri, se la produttività media del lavoro cresce rispetto a quella estera, se l’aliquota relativa per i contributi sociali pagata dagli imprenditori interni cala, se il tasso di cambio nominale si deprezza.
Nel 2000 il prezzo di un’ora di lavoro in Germania era quasi il doppio che in Italia (19 euro contro 11). Nel decennio successivo il salario nominale orario è stato convergente tra i due paesi, ma non completamente. In Italia è cresciuto di circa il 40%. In germania del 21%.
La produttività del lavoro, tuttavia, non ha seguito gli stipendi. La produttività del lavoro è rimasta stagnante in Italia (+2,7% in tutto il periodo), mentre è cresciuta notevolmente in Germania (+16,7%). Come risultato, al netto delle imposte, il costo del lavoro per unità di prodotto in Italia è cresciuto del 32,5% più che in Germania.
La differenza tra i contributi per la sicurezza sociale pagata dalle imprese è rilevante, per quanto abbastanza stabile nel tempo. Le imprese italiane pagano oltre il 30% di contributi. Quelle tedesche non arrivano al 20%.
Il tasso di ricavi da imposte sui consumi è più alto in Germania che in Italia. Anche se le variazioni nelle aliquote sono state limitate.
Il costo per unità di lavoro in Italia dal 2000 al 2012 è cresciuto del 35% mentre in Germania è cresciuto solo del 3%. Questo ha significato una perdita di competitività del 32%. La quota maggiore di perdita di competitività è stata data dalla dinamica del salario orario, cresciuto di più di 18 punti percentuali in più in Italia che in Germania. Poiché il lavoro costava molto meno in Italia all’inizio del periodo, si è avuta una parziale convergenza dei salari. Il problema è che la produttività non ha seguito questo trend. Al contrario, è cresciuta molto meno (di 14 punti) in Italia che in Germania.
La struttura della tassazione ha avuto scarso impatto sulla competitività.
Altri fattori, come le variazioni nella composizione degli scambi o la variazione dei tassi di cambio non hanno avuto un ruolo significativo nello spiegare il gap di competitività italiano.
Cosa sarebbe dovuto succedere in Italia come conseguenza delle riforme messe in atto dai partner commerciali e tese a far crescere la produttività? Secondo il modello ricardiano Dornbush Fisher Samuelson, poiché alcune industrie sarebbero migrate all’estero, l’eccesso di offerta di lavoro avrebbe dovuto ridurre il tasso di salario domestico rispetto a quello estero. Poiché è successo il contrario (più emigrazione verso l’estero dall’Italia, salari più alti) il gap di competitività è aumentato ulteriormente.
In Italia va di moda accusare chiunque e qualunque cosa della recessione più lunga e più brutta dal dopoguerra.
Mentre la severità della recessione è un fenomeno ciclico dovuto alle restrizioni fiscali, la sua persistenza deriva dall’incapacità di usicrne ed è l’eredità di più di un decennio senza riforme nei mercati del credito, del lavoro, dei prodotti. Questa mancanza di riforme ha soffocato l’innovazione e la crescita della produttività, risultando in una dinamica salariale completamente svincolata dalla produttività del lavoro e dalle condizioni della domanda.
In un mondo che cambia rapidamente, dove le barriere commerciali e non commerciali stanno cadendo e i partner commerciali stanno innovando rapidamente, l’assenza di riforme in Italia ha modellato un gap di competitività che la crisi ha evidenziato in modo drammatico e che probabimente avrà conseguenze di lunga durata”.