Lo stato fascista o è corporativo o non è fascista. Così si espresse Mussolini e così sono state poste le basi per lo stato interventista nell’economia, con danni annessi. Il problema di vent’anni di fascismo e di corporativismo è che quella mentalità è stata inculcata negli italiani ed è passata di generazione in generazione, superando anche i movimenti cosiddetti rivoluzionari. Statalismo, protezionismo, corporativismo, clientelismo, familismo sono caratteristiche tipiche dell’italiano medio e tutte sono nate o sono state accentuate nel periodo in cui sono stati davvero fatti gli italiani: il periodo fascista.
Leggendo i primi capitoli de la Storia della Repubblica di Guido Crainz torniamo a rivivere idealmente nel mondo dei nostri nonni e a riascoltare i loro racconti. Leggiamo di un paese lacerato, di bombardamenti. Siamo motivati a riguardare i film dell’epoca neorealista. Decidiamo di leggere i libri citati. Ci piacerebbe ritrovare le riviste e gli articoli indicati. Leggiamo di un periodo di grandi trasformazioni mondiali, a partire dalla nascita della divisione del mondo in blocchi e dalla Guerra Fredda. Leggiamo anche della contraddizione tra la miseria della vita quotidiana, distrutta dalla guerra, e della grande speranza di riuscire a costruire un mondo migliore da parte di tante persone e di tante forze politiche.
In questo articolo, però, voglio sottolineare i punti che fanno pensare al fatto che il fascismo non sia mai stato debellato. La mentalità fascista ha resistito, non solo sotto traccia. La cultura liberale non è mai stata dominante tra gli italiani e non lo era nelle forze politiche di massa. Se non era l’idea di stato fascista a essere sopra l’individuo, lo stavano diventando altre idee di stato o di collettività o di corpi intermedi (la Chiesa, la famiglia, il sindacato, il partito, le corporazioni).
Da un altro punto di vista gli italiani avevano attraversato il fascismo senza esserne influenzati. Una forma di reazione è stata la rassegnazione. Molti italiani erano segnati da un tenace servilismo verso un potere disistimato, da un’assoluta noncuranza dei propri doveri nei confronti dello stato, da una religiosità superficiale. Sicurezza e lasciar perdere, era il motto di molti italiani.
L’Italia esce profondamente divisa dalla guerra e non fa mai davvero i conti col fascismo. Non c’è un capitale sociale univoco, per usare le parole di Salvatore Rossi. C’è la divisione tra fascisti e antifascisti sulla quale si sovrappone quella tra comunisti e democristiani (o tra Chiesa e comunisti o tra Stati Uniti e Unione Sovietica). “Non si aboliscono le leggi fasciste, riusate in chiave anticomunista.
La mano delle imprese peserà sugli operai comunisti e socialisti. Vengono garantiti dei privilegi ad alcuni settori industriali come la siderurgia, l’elettricità, la meccanica: gli aiuti del piano Marshall andranno prima di tutto a loro. Nel dopoguerra verrà sì messa in pratica una politica riformatrice, ma si inserirà nel clima della guerra fredda. I comunisti saranno tenuti fuori dai posti di responsabilità nella pubblica amministrazione. I cittadini che sono ritenuti o che sono tesserati nei partiti e nei sindacati di sinistra saranno sostanzialmente esclusi dalla pienezza del diritto. Saranno messi in mora nei primi quindici anni dopo il 1945 i pesi e i contrappesi. Verrà rinviata l’istituzione delle regioni e quella della corte costituzionali.
I governi accantonano l’abolizione di quelle norme del codice penale e del testo unico di pubblica sicurezza, ereditati dal fascismo, che pure avevano giudicato in contrasto cn la Costituzione: divieti e vincoli a iniziative pubbliche e alla diffusione di volantini, fogli di via a membri di organizzazioni sindacali e a politici. I primi governi sollecitano i prefetti ad applicare tali norme e cercano di ampliare le misure anti sindacali. Proibizione di comizi, richiesta di individuare i capi di movimienti sediziosi per confinarli o dare loro voti bassi se si trovano nella p.a. Viene mantenuto il casellario politico centrale. Alla Fiat i dipendenti vengono schedati e vengono prese informazioni politiche. Le informazioni sui cittadini vengono fornite anche dai parroci. I governi, attraverso le prefetture e gli organi ministeriali, controllano l’attività politica dei funzionari dello stato. Ci sono controlli nei confronti degli insegnanti e dei funzionari pubblici anche fuori dall’orario di ufficio. In tutto questo i cittadini sono acquiescenti. Viaggiano separati il Diritto formale e la discriminazione sotterranea. Nella democrazia congelata di allora i diritti formalmente riconosciuti ai cittadini venivano quotidianamente messi in mora”. Come può formarsi un capitale sociale unitario nella nazione?
La classe dirigente fascista e la piccola borghesia impiegatizia non vengono certamente epurate. Le epurazioni effettive sono limitate. I magistrati fascisti restano in carica. I prefetti, i questori, gli agenti di polizia, ma anche i grandi industriali, i manager di stato restano in carica. In parte questo è inevitabile: anche negli altri paesi usciti da una dittatura si tende a mettere una pietra sopra al passato, anche a fare silenzio su quel che è successo. Del resto come è possibile appurare fino a che punto (e quanto volontariamente) una persona sia stata parte integrante o connivente col regime? Ecco che qualcuno si dà alla vendetta privata, come nelle regioni rosse. Al sud verrà perfino negata l’esistenza del latifondo pur di non consegnare le terre ai contadini. Le lotte sociali verranno combattute anche a colpi di fucile.
Manca una canalizzazione, una guida su come rinnovare il paese. “Ci date le terre e poi i carabinieri le tolgono in base a leggi fasciste.” Al centro i mezzadri diventano proprietari. Scoppiano rivolte sia nelle mezzadrie del centro nord che nelle cascine lombarde, dove ancora la metà del compenso era in natura e i proprietari potevano disdettare. Al sud le terre verrebbero prese ma pesa il mancato rinnovamento dello stato, con il diffuso permanere di apparati e uomini forgiati dal fascismo, coi carabinieri capaci di negare l’esistenza del latifondo pur di non accogliere le richieste contadine. I carabinieri sono pronti a reclamare l’arresto notturno degli organizzatori delle lotte contadine e il ripristino del provvedimento fascista del confino. Tali critiche sono condivise da prefetti e magistrati, che hanno un ruolo decisivo nell’assegnazione dei terreni e sono attivi nel respingere le domande delle cooperative. Riemergono le roccaforti rosse, le aspirazioni radicali nelle concentrazioni industriali. Il mito sovietico.
Quel che resta è la mentalità fascista (o almeno statalista, corporativa, autoritaria, anticomunista) delle classi dirigenti. Chi si trova nella parte di sinistra del paese come reagisce? Chi vede che le leggi e i comportamenti del potere non sono cambiati (questi anche nel caso di leggi modificate) come reagisce? Uno dei problemi è la permanenza dei codici di stampo fascista, oltre che di istituzioni come l’IRI o la Banca d’Italia. Ci vorranno anni, se non decenni, prima che si possa parlare di riforme e cambiamenti veri. La stessa riforma scolastica gentiliana, con il suo privilegiare il liceo classico e la formazione umanistica, formerà le teste e le anime di milioni di studenti per tanti decenni (e a lungo andare sarà una delle ragioni del declino italiano, in particolare delle elite).
“Anche se il fascismo è caduto non siamo al di là del fascismo. Siamo ancora come costume, come metodo, come pensiero politico ben entro il fascismo”, scrive Corrado Alvaro in “Autobiografia di una nazione”.
Riporta Crainz: “Lì vi scorre un’interpretazione del fascismo come crisi fondamentale, costitutiva e forse inguaribile di un paese che non ha saputo esprimere una sua classe dirigente. Esiste il pericolo, quasi la tragica certezza, che gli italiani non sapranno trarre partito dalla catastrofe che li ha colpisti.
Persistenza del passato, difficoltà ad aprirsi al nuovo. Più che una democrazia in divenire sembra che vi sia una dittatura in sfacelo. Uno sbandamento morale, una immoralità dilagante, frutto di venti anni di fascismo, con la quotidiana esperienza della disonestà trionfante.
Il crollo dell’autorità statale convive con la persistenza del vecchio stato dittatoriale e burocratico.
Un’educazione all’irresponsabilità, il discredito per la maestà della legge, la vendetta del defunto regime, aver lasciato la nazione priva di un autentica vita civile.
A diffondere ulteriori timori vi sono poi le incerte vicende dell’epurazione dei funzionari pubblici e delle figure più compromesse col regime: alimentano inquietudini e incertezze, angosce e delusioni. Al di là dei limiti delle leggi varate l’epurazione rinvia a un nodo che rimane irrisolto: chiedersi chi è colpevole significa chiedersi qual è stato il rapporto tra italiani e fascismo”.
L’Uomo Qualunque si pone contro i politici di professione, si appella ai moderati impauriti dall’epurazione, chiede una normalità che ritiene minacciata sia dai fascisti che dagli antifascisti. Non c’è bisogno di nessuna assoluzione, dicono i primi populisti.
“L’inganno peggiore di una diseducazione ventennale è stato quello di convincerci della sporcizia della politica e intaccare la mentalità. La cosa pubblica è noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo”
Dovevamo fare piazza pulita? Forse no.
Fatto sta che del fascismo resta troppo: codici, leggi, idee, divieti di circolazione, censure, poliziotti, magistrati, classe dirigente, burocrati. Inoltre resistono le riforme fasciste del diritto e della scuola, la legge bancaria, l’IRI, il corporativismo, la mentalità statalista, illiberale, protezionista. Codici che restano, leggi, idee (divieto di circolazione guarda i film), polizia, magistratura, classe dirigente, burocrati, riforma del diritto, riforma scolastica, legge bancaria, iri, stato corporativo, mentalità statalista illiberale protezionista,
Manca la rottura col passato, pure l’accettazione di essere stati parte del regime, per paura di essere riconosciuti colpevoli perché tutti colpevoli. Vi è paura delle epurazioni. La divisione tra fascisti e antifascisti non verrà mai sanata: i conti con la storia non verranno mai fatti e sotto traccia restano quelle pulsioni legate all’uomo forte.
Nel dopoguerra nascono comunque i partiti e l’associazionismo di massa. All’inizio i partiti hanno un ruolo pedagogico che finirà quando “diventeranno struttura che lega la propria sopravvivenza a quel tanto di liberà e benessere che la comunità può godere”. Dalla necessità della democrazia dei partiti si arriverà alla sua crisi. Qual è in questo caso il legame col fascismo?
“L’abitudine alla tessera si diffonde a livello di massa durante il fascismo. Il partito entrò nella vita quotidiana degli italiani, che si abituarono a considerare il partito come mediatore abituale (e in un certo senso obbligato) del loro rapporto con lo stato. Il partito si articolava in ogni piega della società, si contornava di istituti ed enti in cui collocare gli elementi fedeli, discriminando in base all’appartenenza. Era strumento di mobilitazione, dispensatore di favori, capace di fornire sicurezze ideali e vantaggi materiali”. Ecco che si forma una mentalità di dipendenza dal partito. Una mentalità di clientelismo, di ricerca di protezionismo. Un pensiero che vede quasi come obbligato lo scambio tra il voto o la fedeltà al partito e la garanzia (la pretesa) di sicurezza e protezione. La responsabilità individuale associata alla libertà, l’accettazione dei rischi di fallimento non fanno parte della mentalità. Peraltro, come è successo col mercato nero durante la guerra, si può agire di nascosto in barba allo stato, salvo chiederne il perdono una volta beccati.
“Sempre durante il regime si afferma la politica come mestiere. Alla fine degli anni trenta, per esempio, la federazione fascista di Arezzo contava ben 30 gerarchi e 200 impiegati: una enormità.
I partiti di massa svolgevano un ruolo di servizio ma, scriveva Calamandrei già nel ‘46, la ragione di partito intorbida le nozioni comuni di onestà e disonestà e rende sfumati ed evanescenti i confini tra la tattica politica e la furfanteria privata. Una persona onesta può ritenere lecito e meritorio, per fanatismo politico, rubare milioni per il proprio partito quando mai lo farebbe per sé. Il difetto fondamentale del sistema proporzionale, continua, è quello di portare in Parlamento non uomini qualificati per i loro meriti individuali ma pedine di un partito. L’uomo politico per il quale il mandato parlamentare era solo un onere e un onore, si avvia a diventare un funzionario retribuito dalla politica, che vive per questa e di questa, trovando in essa il suo pane”. Il parassitismo diventa un’ambizione quasi naturale.
Durante la campagna elettorale del 1948, col piano Marshall in vigore, “l’arrivo di ogni centesima nave piena di cibo e altri generi di prima necessità forniti dagli americani è salutato, ogni volta in un porto diverso, da cerimonie pubbliche e altrettanto avviene per la costruzione di ponti, case, ospedali cui abbia contribuito il denaro americano. Vi sono i treni dell’amicizia che distribuiscono città per città, con manifestazioni pubbliche, i regali per gli italiani raccolti in America. Il proseguire degli aiuti è esplicitamente condizionato al risultato elettorale. Le iniziative sono pubblicizzate dalla stampa. Vengono anche emanate delle leggi a favore della proprietà contadina. Il mondo cattolico si mobilita”. Quale mentalità può affermarsi? Che se tu mi voti io ti sfamo. Che il tuo benessere è legato al mio aiuto e quindi al tuo voto. Che io intercederò per te e prenderò da chi ha più di te (che anzi si sente obbligato a farlo) per darlo a te. Tu puoi limitarti a parassitare e a votare. Non importa che prenda delle iniziative personali, che ti dia da fare, che ti renda autonomo, che accetti i rischi derivanti dalla responsabilità che segue alla libertà.
A proposito di mentalità veniamo alla decisione tra monarchia e repubblica e in particolare al voto del sud, favorevole alla monarchia. “Molti elementi confluiscono nel voto meridionale: il precoce prevalere della stanchezza e del disincanto, la paura della sovversione sociale e della subalternità al nord, la ricerca di garanzie, il bisogno di protezione, di rassicurazione, di ritorno a un universo noto e alla certezza del potere costituito”. Le parole sono ancora quelle: protezione, paura, rassicurazione, passività, quindi niente spirito di iniziativa ma attesa della manna dal cielo.
Il clientelismo batte l’efficienza nell’intervento pubblico. Nasce la Cassa del Mezzogiorno, vengono effettuate delle bonifiche e la riforma agraria.
“Negli enti di riforma si insediò una gran folla di impiegati assunti con criteri ampiamente clientelari. Nell’Ente del Delta padano vi erano 400 impiegati su 4000 famiglie assegnatarie, uno su dieci. In Calabria ve ne erano 1 su 8, in Sicilia 1 su 3.
L’ente del Fucino si compone del presidente, del direttore generale, di tre direttori di servizi, di sedici capireparto, di 350 impiegati. Si sarebbero sperperate ingenti somme per investimenti errati ed elargizioni e sussidi per ragioni estranee ai compiti dell’ente. In molte aree questi enti e la Cassa rappresentano per la prima volta uno stato tradizionalmente assente, e quindi i suoi valori e il suo modo di essere: la gestione clientelare ha effetti negativi che vanno oltre le conseguenze immediate.
Nel 1960 gli investimenti in agricoltura sono dovuti per tre quarti a interventi diretti o indiretti dello stato e solo per un quarto a decisioni private. Tutte le scelte in campo agricolo devono misurarsi con le politiche del governo: sostanzialmente dipendono da esse, con un’intrusione dello stato nella società rurale che amplifica i meccanismi avviati negli anni trenta.
Nascono il potere della Coldiretti e della Federconsorzi, due grandi serbatoi elettorali della dc. Vengono garantiti la pensione e l’assistenza mutualistica ai contadini più anziani. Alcuni deputati e ministri erano di “Bonomi”, della Coldiretti, nel senso che erano eletti coi voti dei coltivatori diretti. Nella Federconsorzi Bonomi trovava i milioni di lire per incanalare quei milioni di voti. Bonomi era l’antesignano dei boiardi di stato, partoriti dalla Repubblica in numero sempre maggiore e con qualità sempre peggiore”.
Eppure malgrado le storture esiste un paese capace di pensare in grande. Lo vediamo nel piano INA casa. Lo leggiamo nei racconti di Terzani. Lo leggiamo nelle storie di Becattini sullo sviluppo economico toscano fondato su spirito di iniziativa individuale, mix tra concorrenza e cooperazione e supporto delle istituzioni.
De Gasperi e Togliatti riescono a frenare gli appetiti dei membri di partito.
De Gasperi voleva un partito non invasivo. I suoi eredi perseguiranno invece un rafforzamento e una presenza sempre più diffusa del partito nelle istituzioni e nella società.
“Gli stessi dirigenti dei partiti dichiarano il loro porsi come dirigenti di tutta la vita nazionale (sono parole di Togliatti).
De Gasperi invece era portatore di una visione non invasiva del partito: esso è un organismo limitato. Altri organismi agiscono nello stesso tempo e nello stesso spazio su diversi piani.
Quei partiti erano ancorati alla visione e alla cultura del loro tempo, in forte continuità con gli anni Trenta, in continuità “mentale” col fascismo.
Contraddizioni si vedono anche nel pci, da un lato democratico popolare e dall’altro stalinista. Legato al popolo, ma chiuso ai reazionari. Partito aperto a tutti, ma gli iscritti devono conoscere il marxismo leninismo.
Arrivano nel pci i giovani, i braccianti, i rivoltosi anche se la classe dirigente è formata dai vecchi partigiani.
Arrivano nel pci gli intellettuali. Spiriti profondamente liberali convivranno con altri, incapaci di un’indipendenza laica, aggrappati all’idea di uno stato universale.
Crainz parla di disciplinamento di massa e di doppiezza comunista. Resiste la concezione totalizzante del partito. Il partito sopra l’individuo: una massima che vale per i partiti di massa del dopoguerra come valeva per il fascismo. Anche per la dc è faticoso il passaggio dal fascismo alla democrazia. Vi erano la paura del comunismo e l’avversione della Chiesa a un’eccessiva autonomia del partito. Aleggiano tra i gesuiti di Azione Cattolica dei sentori di uno stato autoritario o clerico autoritario, sul modello di quelli franchista e salazariano.
In Veneto si forma un intreccio di potere economico e finanziario articolato in piccole banche e imprese, un fitto dipanarsi di relazioni e di dipendenza che giungono fino alle famiglie e alla rete delle parrocchie.
De Gasperi cerca di evitare sia la deriva comunista che quella fascista e qualunquista per portare l’Italia alla democrazia compiuta. Capisce il bisogno di rassicurazione di quell’Italia: l’ansia di un ritorno alla normalità, di una ricostruzione reale del paese, di una protezione e di un’assistenza che stavano nelle corde del mondo cattolico. Si rende un interlocutore privilegiato degli stati uniti.
Al congresso del ‘49 De Gasperi è stizzito nei confronti di Dossetti che vuole la presenza degli uomini della DC nei gangli fondamentali delle istituzioni e degli enti economici. Per De Gasperi ci vogliono uomini competenti e la competenza tecnica non è disponibile come la tessera di un partito. Peccato che i De Gasperi siano stati minoranza in Italia.