there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Il fratello del pugile

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Se non era per me, mio fratello non avrebbe avuto tanto successo. Quante botte, ragazzi! Da piccolo porgevo sempre l’altra guancia e non solo. Anche la bocca, gli occhi, il petto. Il naso, poi! Quello era il massimo. Un colpo ben assestato e…bum! Sentivi un tonfo e un’ondata improvvisa di calore. Deve essere come quando esplode un vulcano. Il sangue che colava era come la lava. Peccato che mamma non voleva che lo bevessi, altrimenti avrei avuto una razione anche da parte sua, mi diceva. Però nel nostro gioco lei non c’entrava. La sua parte nel film era l’adulto che rimprovera. Poi, beh, non era capace di farti sentire grande come mio fratello. Lui colpiva nei punti giusti e, sì, certo, provavo dolore e avevo paura che esagerasse ogni volta. Invece no. Era un’esercitazione. Nessuno lo sa, ma penso che io avessi quasi piacere nell’essere colpito.

Lacrime? Cosa? No, mai. Penso che mio fratello fosse orgoglioso di questo. Oppure non gliene fregava niente. Può essere che per lui, il fatto che io non piangessi, né urlassi, significasse che faceva male al punto giusto, che i suoi colpi erano assestati alla perfezione. Lui voleva fare il pugile, non il killer.

Anche la questione dei soldi. Certo. Io andavo a lavorare. Anche d’estate, da ragazzo, come cameriere. Poi mi univo, a volte, alla banda di mio fratello. Quante Guinness ci siamo scolati! Soprattutto lui. Spesso ero io a offrire. A tutti. Preferivamo spendere i soldi in birre che darli a mamma che poi li avrebbe in parte dati a papà. Sapevamo che in qualche modo erano in contatto, ma tra noi e lui i ponti erano già stati tagliati. Non so se mio fratello sia stato picchiato da papà. Ha una cicatrice sulla schiena. Nessuno ha mai voluto dirmi perché. So solo che il genitore se ne è andato quando lui aveva tre anni e io ero ancora in pancia.

Penso che abbiate capito che i soldi affinché iniziasse l’attivitá glieli ho dati io. Le palestre. I guantoni. Le partecipazioni ai tornei. Quando mi sono diplomato e ho iniziato a lavorare presso quell’avvocato stronzo, ma che pagava bene, giravo una parte dei soldi a mio fratello. “Diventerò un campione e ti ringrazierò di tutto,”, mi diceva mio fratello. Peccato che un giorno qualcuno decise di mandare all’ospedale il mio capo dopo che mi aveva fatto uno sgarbo. Paralisi totale. Gli fu tagliata la lingua, così non poté più esercitare.

Io trovai altri lavori e continuai a sostenere mio fratello, che aveva abbandonato casa nostra, si era unito ad altri pugili e stavano in affitto. Aveva anche una ragazza, ma di lavori pochi. La scuola l’aveva finita a quindici anni. Riteneva che o uno vuole diventare intellettuale o continuare è inutile.

Be’. Insomma. Non c’è da farla troppo lunga. Cominciava a vincere. Gare. Tornei. Campionati. Fece quasi per scherzo il torneo preolimpico e batté tutti. Disse che non aveva colpito tanto bene da quando eravamo piccoli e “si allenava” con me. Lo spiegò proprio alla stampa. Com’è, come non è, fu lui ad andare alle Olimpiadi di Barcellona nel ’92.

Il resto lo sapete. Vinse una medaglia per l’Irlanda nei pesi Welter. Il giorno dopo fu festa in tutto il paese. I pub abbassarono i prezzi della birra a quelli del ’56. Che sbornia, ragazzi!

Lui fu di parola. Mi dette metà del premio e mi disse di andarmene dove potevo far fruttare il mio talento. Mi suggerì di andare in America. Ma a me andava bene continuare a fare il mio lavoro. Fu lui invece ad andarsene. Qualcuno gli voleva del male, disse. Gli chiedeva soldi continuamente.

L’ultima volta che ho avuto sue notizie era in Colorado. Si era sposato, mi ha detto. Una fuga.

Be’. Era l’ultima volta prima di ieri. Non ha vissuto il boom. Avrebbe visto suo fratello in carcere per truffe nella sua attività di agente immobiliare.

PS La storia è completamente inventata, tranne che per il fatto che l’ha ispirata: la vittoria di Michael Carruth a Barcellona’92. http://en.m.wikipedia.org/wiki/Michael_Carruth

 

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