Copia incolla da Sergio Ricossa,”Come si manda in rovina un paese.”
1945. Vendette contro i fascisti. I partiti si spartiscono i centri di potere. I libri di economia corporativa diventano libri di economia politica: cambiano solo il titolo e la copertina. Nessuno dà retta al pci sulla nazionalizzazione della Fiat. Agnelli, Camerana e Valletta vengono processati ma gli americani ne impediscono l’epurazione. Viene ordinato l’arresto di Donegani, Pirelli, Marinotti e Treccani ma…solo dopo che si è sicuri che siano andati in Svizzera.
1946. L’inflazione porta via i risparmi. Chi sottoscrive i prestiti per la ricostruzione, in nome del bene comune e dell’interesse patriottico, perde metà del capitale, col benestare della sinistra secondo cui i risparmiatori sono trattati anche troppo bene. Il comunista Scoccimarro vuole un’imposta sul contante e gli industriali sono d’accordo purché il ricavato vada a finanziare loro. Piaggio fa nascere la Vespa, che sostituirà la bicicletta in concorrenza con la Lambretta. Togliatti ha il senso dello Stato sovietico. De Gasperi di quello vaticano, ma sono gli unici che hanno senso dello Stato. Amnistia per reati politici: la classe dirigente fascista viene cooptata, morti esclusi.
1947. Einaudi spegne l’inflazione. I banchieri lo accusano di avere messo le mani sulle loro riserve. Gli industriali di avere ristretto il credito. I sindacalisti di provocare disoccupazione. Gli agenti di borsa di deprimere il listino. I keynesiani di non essere keynesiano. Gli effetti delle politiche economiche dipendono dalla credibilità di chi le applica ed Einaudi è creduto. I risparmiatori credono davvero che consoliderà la lira: è il ritratto della parsimonia, è onesto, è all’antica. Il contadino gli darebbe il portafogli da tenere al mercato. Se Einaudi fosse un socialista dalle mani bucate, le stesse misure fallirebbero. C’è il piano Marshall. Le prefetture sono enti inutili da abolire, dice lo stesso Einaudi, ma i partigiani le occupano e Milano sciopera contro di lui.
1948. 18 aprile. Elezioni e vince la DC. “Come si fa a prendere sul serio una costituzione che esordisce con la repubblica fondata sul lavoro? Arturo Labriola si rifiuta di votare l’articolo. Il lavoro, se non è sfruttamento, è pena, a parte i pochi privilegiati che lavorano per il piacere di lavorare. L’esaltazione del lavoro duro è solo di una certa borghesia, per lo più cristiana. Marx e Keynes volevano la fine dell’obbligo del lavoro e l’inizio della libertà, del lavoro puramente spontaneo.”
“I libri per le elementari raccontano la favola del contadino che si sente re a zappare la terra. A mio nonno, che zappò intere colline del Monferrato, non venne alcuna corona: gli vennero le mani di cuoio e un mal di schiena precoce e cronico. La sua terra meritava niente di più dell’amore che si concede a chi ci affama periodicamente, dopo averci chiesto molta fatica.”
Paul Lafargue scrisse “il diritto all’ozio” e non il diritto al lavoro.
Attentato a Togliatti, Saba scrive “Porca Italia,” Sraffa è famoso perché vive a Cambridge , fu accanto a Keynes, è paracomunista e ricco.
1949. Einaudi giubilato. La sinistra se la prende con Pella. La costituzione ammette tutto: l’iniziativa privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, cioè con ciò che vogliono i partiti. Il capitalismo è: chi ha è, chi non ha ahi, però il suo bello sono i suoi vizi. Il barbone può diventare miliardario e viceversa. Scissioni varie: socialdemocratici, sindacati, Naro e patto di Varsavia, Coppi e Bartali. L’Italia si avvia a diventare una partitocrazia. I costituenti vollero una democrazia di partiti, che implicava lottizzare le risorse e il potere politico. Niente governabilità senza coalizioni. Vedi prolusione di Giuseppe Maranini all’università di Firenze nel 1949.