Una signora mi chiede a gesti di spostare il mio zaino dalla sedia dove lei dovrebbe sedersi, secondo quanto scritto sul biglietto d’ingresso alle finali di nuoto del sei agosto 2015. “A gesti” è l’espressione da ricordare.
Alla sua destra si siede una ragazza che presumibilmente rappresenta la figlia. Io annoto sull’ipad la vincitrice e il tempo realizzato nella prima semifinale dei 100sl femminili, che si è appena conclusa. Noto che la signora guarda interessata Paddy e poi gira lo sguardo appena io alzo il mio.
“Mica sarà italiana?” Penso. Vedo che ha dei depliant scritti in inglese, il che fa supporre che non si tratti di esemplare di donna autoctona. Poi le gare proseguono e a un certo punto lei tira fuori un pacchetto di caramelle Saila. “Be’. Le venderanno anche in Russia, no?” Già. Solo che prenderà una caramella anche in seguito e la scritta “caramelle” non è in cirillico ed è in lingua italiana.
Le due presunte mamma dai capelli rossi e viso allungato e figlia adolescente tendenzialmente ventenne parlano anche tra sé ma in tutto il frastuono dell’impianto non sento quale idioma usino.
Ma ecco il turno dei 200 rana. Sta per entrare in scena Luca Pizzini, tra gli altri. Adesso dalla borsa la signora tira fuori una bandiera bianca, rossa e verde e non è né quella messicana né quella ungherese. “Siete italiane?” Chiedo in modo retorico. “Parrebbe!” Aggiungo. E la presunta mamma dice di sì. “Anche tu?” “Sì e resto fino a domenica.” “Ah.” Capisco che questo dialogo non resterà nella storia della letteratura o nei manuali di conversazione, ma cosi è stato. Seguono i seguenti (dai, suona bene “seguono i seguenti”) eventi (dai, suona ancora meglio “seguono i seguenti eventi”:)
prima semifinale dei 200 rana;
seconda semifinale dei 200 rana;
premiazione dei 100 stile libero maschili, una delle peggiori finali mondiali dei 100 sl della storia, immagino, per livello dei partecipanti;
finale dei 50 dorso femminili;
prima semifinale dei 200 dorso. Questa viene vinta dal russo Rylov e l’impianto esplode. Ecco che la mamma si gira verso di me e mi dice qualcosa. “Eh?” Chiedo. “I russi non capiscono niente: non fanno differenza tra semifinale o finale. Esultano e basta.” Accenno un sorriso. “Eh, già! Anche alle batterie è la stessa cosa.” Non dico che succedeva lo stesso un po’ ovunque: a Roma 2009, a Barcellona 2013 e a Berlino 2014. Dato che nella semifinale successiva c’è l’australiano Larkin dico alla signora che lui invece sì che è forte. Lei annuisce e lui confermerà il fatto ottenendo il miglior tempo per la finale di domani mentre Rylov ha il quarto.
La seconda semifinale dei 200 dorso vede anche la presenza di Luca Mencarini, che chiuderà con l’undicesimo tempo complessivo.
E niente, dopo tocca a loro, alle ragazze della 4x200sl e dopo cambia tutto.
Parte Alice Mizzau. Partono anche Sarah Sjostroem e Missy Franklin, per la cronaca. Alice è inizialmente ultima. Però non sta perdendo troppo terreno. Cerco di decifrare i parziali sul tabellone. “La Cina! Dobbiamo fare la corsa sulla Cina. Usa e Australia sono superiori, anche sull’Australia c’è qualche dubbio. Alla Svezia manca un pezzo. La GBR non dovrebbe impensierirci. Dobbiamo battere la Cina per il bronzo.” “Non è lontanissima, dai,” penso. Arrivano tutte. La Mizzau sembra aver recuperato la distanza, vasca dopo vasca. Sarah intanto fa 1’54″30! Che sarebbe stata la favorita dei 200sl individuali si sapeva, se li avesse gareggiati. Ma poco dopo appare sul tabellone un altro tempone. 1’57″50 di Alice. Se l’Italia fa 1’57” con due atlete ha chance di medaglia concrete. La paura era che fossero fuori forma rispetto ad aprile e non potessero ripetere quei tempi. Cerco di dire tutto questo alle mie due compagne di cittadinanza. “Oh! La Sjoerstroem 1’54” e la ragazzina si entusiasma: “Davvero! Ieri avrebbe vinto.” Non c’è tempo di accennare al tempo di Alice perché bisogna seguire Erica Musso. Regge, dai, regge, anzi conquista qualche posizione o sbaglio? 1’58”. Dai, buono.
Chiara Masini Luccetti. Tocca a lei, di Calenzano, che stava quarti d’ora a firmare autografi al Settecolli e la cui mamma era accanto a me in tribuna. Soprattutto, Chiara, che ha dovuto rinunciare a studiare Lingue all’università perché in Italia lo studio e lo sport agonistico di alto livello sono incompatibili. Per tutta la sua frazione…
“La Cina è accanto. Cioè ma in che posizione è? Cioè ma la Cina è a un palmo di naso. Cioè ma la Pellegrini questa poca distanza con le prime avversarie in staffetta mondiale non ce l’ha mai avuta. Cioè ma la Pellegrini se le mangia queste.” 1’57 e qualcosa!” Cazzo! 1’57” Lo urlo alle mie due compagne che hanno sguardi visibilmente speranzosi. Ed è terza (se ricordo bene)! L’Italia è terza ed è appena scesa in acqua Federica. L’avversaria cinese è Duo Shen, una forte e infatti la cittadina più famosa di Spinea la supera, ma non la surclassa, ma…quella cuffia dell’australiana è sempre più vicina. E se… ”
“Altro che bronzo! Vi regalo l’argento!” Avrà pensato questo mentre leggeva sul tabellone i parziali delle sue compagne di squadra che hanno davvero dato tutto quello che avevano e anche di più. A coronare un sogno di squadra durato anni, tra staffette ogni volta ricostruite, ci ha pensato lei. Le altre tre, sul bordo vasca, strabuzzavano gli occhi e la incitavano. L’impianto era in visibilio: applaudiva e urlava. Non come ai tempi di Roma 2009, ovviamente, o come se ci fosse stata una staffetta russa in vasca, ma erano incitamenti che si sentivano. Le mie due compagne di cittadinanza saltellavano sulle sedie. Io ero ormai interiormente certo del bronzo dopo la terza frazione, quindi figuratevi la delusione in caso di defaillance, ma mi sembrava un sogno così impossibile il raggiungimento del secondo posto che non ci ho creduto finché Federica ha toccato la piastra. Anche perché mi sembra di ricordare che all’ultimo ci sia stata un po’ di lotta, come se non ne avesse più, ma questo non ha importanza.
Toccata la piastra da parte di Federica è iniziato il delirio. “Argento!” Avranno urlato le azzurre mentre si abbracciavano. “Argento!” Avranno urlato gli altri atleti della nazionale presenti nella zona destinata agli staff delle nazionali, tra il pubblico. Intanto li vedevo tutti a mani alzate e bellamente urlanti. Ho iniziato a fare foto a tutti. “Argento!” Abbiamo urlato quasi all’unisono in tre. “Argento!” Ha urlato un gruppo di ragazzi italiani che era situato qualche fila sopra di noi: i maschi avevano bandiere avvolte sulla schiena e le femmine del gruppo avevano il tricolore disegnato sulle guance.
Ci siamo rimessi a sedere dopo i momenti di esultanza e improvvisamente io, la ragazzina e sua madre siamo diventati grandi amici che si conoscevano da tempo. Infatti la figlia mi ha tempestato di domande e di affermazioni: “Oooh! Senti, ma tu sei qui fino a domenica? Sì anche noi. Siamo state a vedere i tuffi da grandi altezze. Vedessi che roba! Fanno impressione! Sai che lì sono tutti amici? No, non andiamo a vedere la pallanuoto anche se ci abbiamo pensato. Tu di dove sei? Noi siamo di Milano. Hai visto la Cagnotto? Dai ma allora è tanto che sei qui. Dai sventoliamo un po’ di bandiere nei prossimi giorni così magari ci ribecchiamo.”
Capisco che anche questo dialogo (o trialogo?) non faccia parte ecc., ma chi se ne frega.
Arriva il momento della premiazione e noi mostriamo la bandiera.
“Aspettate, la reggo anch’io. Oh, cazzo, guardate anche qua, voi quattro! Le staffettiste stanno salutando i compagni di squadra. Facciamo un po’ di foto con lo zoom. Oddio sono venute da schifo. Guarda! La Mizzau sta obbligando tutte le medagliate a disporsi per fare un selfie. (Questa cosa non è mai successa in nessuna premiazione di nessuna gara a cui assistito dal 2009 a oggi: grande Alice!) Le cinesi sembrano un po’ titubanti: del resto so’cinesi. La Franklin è contentissima. Andrebbe a fare anche un po’ di casino in strada se glielo chiedessero. Yeah! Wonderful! It’s funny! Oh, adesso Federica & co.salutano i ragazzi connazionali qua sopra! Li hanno visti. Per forza: fanno un casino dell’ottanta.”
Adesso quei ragazzi scendono. Noi (ok, adesso siamo “noi”) abbiamo riposto la nostra bandiera in una delle nostre borse. Loro stanno scendendo. Hanno fatto una specie di gemellaggio con un gruppo di francesi, che non mancano mai e di solito finiscono accanto a me (passi Berlino o Barcellona, ma il primo giorno ero accanto a un francese anche a Kazan.) Si fanno fare una foto unendo le bandiere italiana, francese e russa. Si piazzano poi proprio sopra di noi e mostrano la bandiera. Gliela sventolo. “Italiani anche voi?” (Le solite domande del tipo “Sei tornato?” Quando torni da una vacanza.) “Oh. Facciamoci inquadrare dalla regia italiana. Vogliamo la Caporale! Guardiamo il medagliere. Manca un oro. Dai, c’è il Greg. Oh, ma ci siete anche nei prossimi giorni. Dai fate un po’ di casino che ci rivediamo.”
Intanto le fantastiche quattro sono rientrate in zona spogliatoio/massaggi/vasca di defaticamento, il pubblico è quasi interamente defluito e noi restiamo ancora lì dentro l’impianto come a voler continuare a vivere immersi in quella bolla di entusiasmo.
Prima che si faccia nottata o veniamo sbattuti fuori forse è meglio dirigerci verso l’uscita.
Sarebbero bastate poche frasi per scatenare l’inferno: “Io so da dove escono gli atleti. Non c’è mai tanta gente e nel parcheggio esterno si può stare. Andiamo a salutarli?” Invece (non ci penso) e saluto tutti per andare a vedere le finali di pallanuoto, non prima di essere passato da uno dei chioschi onnipresenti e prendere un hot dog al volo: questi bisogni fisiologici che fanno perdere tempo!
Comunicazione di servizio. L’idea prima di iniziare a scrivere era:
“Dunque adesso scrivo una cosa veloce che parta con tranquillità e finisca in un crescendo di entusiasmo.” Per far sì che ciò avvenga dovrei riscrivere e revisionare quanto sopra e non ho tempo, quindi ve lo beccate così. In ogni caso, come urlano qua a ogni pausa: MAKE SOME NOISE! YEAHHHHHHHHH! ARGENTOOOO!”