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Lo stupore delle prese elettriche

La concorrenza fiscale è sacrosanta

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Ci sono imprese che fanno ottimizzazione fiscale. Se tu non la fai è un problema tuo.

Ci sono tanti paesi che hanno una pressione fiscale, in generale e sulle imprese, inferiore a quella italiana. Fanno tutti concorrenza fiscale? Oppure non devono rincorrere una spesa pubblica in costante aumento? Oppure hanno un sistema che funziona meglio?

Esistono degli strumenti di disegno della fiscalità che sono forme di aiuto di stato mascherato. Questo può essere un problema, che rientra nella tradizione degli incentivi fiscali. Un esempio inventato dagli italiani è stato la fiscalizzazione degli oneri sociali. Questa roba è disciplinata dall’UE. Se non rispetto la normativa, la Commissione chiede la restituzione di tali aiuti. L’Italia poi è piena di multe per aiuti di stato.

Olanda, uk, Irlanda, Lussemburgo hanno tasse basse. Se non vi sta bene sono problemi vostri. Ai loro cittadini va bene. Andate a chiedere loro se vorrebbero che le aumentassero per soddisfare la vostra voglia di parassitismo. Tre di quei paesi hanno anche un surplus di bilancio. Quindi non scaricano la bassa fiscalità sul futuro. Hanno pure una spesa pubblica bassa.

Questi paesi peraltro raccolgono imposte sulle società superiori a quanto raccoglie l’Italia malgrado abbiano delle aliquote più basse.
Evidentemente scelgono un mix più giusto (ottimale) di spesa pubblica e imposte.
L’Irlanda è stata multata dalla Commissione Europea perché applicava delle aliquote “personalizzate” per la Apple. Questo era un effetto distorsivo della concorrenza. Anche defiscalizzare per tot anni le imprese che si impiantano al sud è distorsivo, comunque.

Anche gli stati degli USA incentivano gli investimenti di imprese presso di loro, a volte, competendo con gli altri a colpi di aliquote fiscali. Amazon si è giocato l’apertura tra i vari stati. In Europa è possibile farlo dietro notifica alla Commissione Europea. Occorre anche che siano rispettati certi requisiti: essere in aree depresse, ricorrere a fondi strutturali ecc.

 

 

In sostanza c’è più concorrenza fiscale negli Stati Uniti che in Europa.

Tra l’altro il regime fiscale è una delle ragioni che ti portano in Olanda o in Lussemburgo ma non l’unica o la più importante. Ci sono anche imprese che hanno investito in Italia. La Lamborghini, l’Audi, la VW a Bologna. Vengono qua per la qualità del capitale umano e per fare quelle produzioni in quel luogo, dove trovano un ambiente ospitale e favorevole alla loro attività.

Anche garantire regimi fiscali speciali per i pensionati o incentivare le aziende straniere a fare le cose in un paese regalando il brevetto sono forme di concorrenza, che è il sale dell’efficienza anche quando si tratta di attrarre investimenti o consumi. I quali possono generare crescita, soprattutto i primi.

A un’assemblea di artigiani e commercianti veneti una persona disse: “Ci vuole la tassazione differenziata tra piccoli negozi e grandi superfici per favorire la concorrenza. Ai grandi vanno alzate le tasse. Ai piccoli vanno abbassate. Perché” (PROPRIO PERCHE’, NDRR)  “i grandi sono più efficienti, hanno costi più bassi, possono fare i turni, hanno il magazzino più efficiente, hanno una tecnologia più efficiente ecc. Per favorire la concorrenza bisogna agevolare i piccoli”.
Invece no. La concorrenza è proprio il contrario. C’è chi è più efficiente e chi è meno efficiente. Se sei meno efficiente sei stimolato a migliorare, ad aggregarti, a inventare qualcosa per diventare più efficiente. I più bravi di voi cresceranno o troveranno la loro nicchia, potranno farsi la gestione delle scorte in comune, potranno fare degli accordi su questo su quello. Chi non riesce a stare sul mercato o non gli conviene chiuda e vada a fare il dipendente per quelle imprese più efficienti, aumentando così anche la sua produttività.

 

Per molti politici o burocrati italiani sia i paesi ricchi che i paesi poveri ci fregherebbero. Gli uni con la concorrenza fiscale. Gli altri con tutele diverse dei lavoratori, stipendi più bassi, fondi strutturali. Chi è a conoscenza di violazione di leggi lo segnali. Più che concorrenza al ribasso c’è convergenza tra i vari paesi. È l’Italia che diverge, con la sua tassazione insostenibile, la carenza di lavoro specializzato, di centri di ricerca, di tecnologia di punta. Non si può parlare di concorrenza fiscale da parte di paesi come la Francia o la Germania, dove il costo di un ingegnere è superiore a quello italiano. Eppure c’è chi delocalizza là. Perché non contano solo certi costi. Conta un insieme di cose.

A proposito di limiti alla concorrenza come la mettiamo con le golden power? Laddove accettiamo l’ingresso di capitale straniero gli impediamo di comandare?

 

Certo che è dura seguire la logica di chi si oppone alla delocalizzazione dei compressori, che non sono più un bene ad alto valore aggiunto. Il problema è che non arrivano in Italia, o sono marginali, produzioni ad alto valore aggiunto.

Sembra che poiché non possiamo abbassare le tasse le debbano alzare gli altri. Come corporate tax rate siamo in media, ma come pressione fiscale siamo tra i più alti.

L’idea di fondo di chi si lamenta degli altri è che se tutti fossero come noi, mafia inclusa magari, saremmo competitivi. Ma questo è vero per definizione. Ci sono delle delocalizzazioni anche dove le tasse sono più alte. Affinché un’impresa investa in un paese o in un altro contano anche la possibilità di produrre cose sofisticate, la presenza di lavoro specializzato, di centri di ricerca, di manodopera qualificata, di tecnologie di punta. Alcune zone del paese e alcuni distretti industriali italiani hanno queste caratteristiche. È anche vero che laddove il costo è quasi tutto costo del lavoro in centri di ricerca o simili (aziende che mantengono solo ricerca e progettazione nei paesi avanzati, per esempio, e che fanno roba sofisticata), la tassazione sul lavoro è fondamentale: andranno loro e i loro lavoratori dove i soldi da loro prodotti restano a loro in maggior parte (e magari usufruiscono comunque di servizi pubblici migliori).

 

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