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Lo stupore delle prese elettriche

La globalizzazione logora chi non si adatta.

Da Salvatore Rossi: “Politica economica in Italia dal ’68 al 2007.”

Gli anni Novanta erano stati di espansione della ricchezza mondiale. Anche negli anni Duemila il trend è espansivo, malgrado un aumento del prezzo del petrolio che viene prontamente normalizzato, l’incertezza che segue all’attentato alle torri gemelle e lo scoppio della bolla delle dot com.

Globalizzazione.
1. Il commercio fra nazioni si estende geograficamente e coinvolge una maggior quantità e varietà di prodotti.
2. Il denaro (contante, depositi bancari, titoli ecc.) circola più facilmente e liberamente attraverso le frontiere nazionali, alla ricerca di impieghi più redditizi.
3. Le persone si spostano più facilmente e liberamente alla ricerca di migliori opportunità di lavoro.
4. Le idee si muovono più rapidamente anche a grandi distanze, fisiche e culturali, alla ricerca di più pronte ed estese applicazioni pratiche.
Una prima ondata di globalizzazione si era verificata tra il 1870 e il 1919. Come volume di scambi commerciali e finanziari non c’erano grandi differenze rispetto a oggi. La natura è diversa. Un tempo gli scambi avvenivano tra paesi diversi per livello tecnologico e dotazione di risorse naturali e consisteva in scambi di manufatti contro materie prime. Oggi avviene tra paesi similmente avanzati e consiste nello scambio di prodotti simili. (Auto contro auto, stuzzicadenti contro stuzzicadenti…) I consumatori preferiscono la varietà e questa è resa possibile dalla velocità di circolazione delle informazioni e dei modelli di consumo.
Una volta gli scambi finanziari erano dati da grandi investimenti di pochi grandi capitalisti. Oggi sono impieghi a breve termine di una folla sterminata di risparmiatori medio piccoli che possono accedere alle informazioni grazie ai progressi delle tecnologie di comunicazione e informazione.
Sono caduti i costi di trasmissione delle informazioni, più che quelli di trasporto.

La prima globalizzazione cadde perché le nazioni si convinsero che la prosperità dipendesse dalla loro competizione con ogni mezzo per accedere ai mercati e quindi protezionismo, autarchia…Ormai è chiaro che la libertà di commercio e la piena concorrenza apportano benefici a tutti i partecipanti agli scambi internazionali.
Oggi si assiste alla rincorsa di paesi ex arretrati, tigri asiatiche, Brasile ecc.
Lo sviluppo economico moderno non dipende più dalla disponibilità di risorse fisiche (Carbone, ferro) e finanziarie (grandi capitali da rendita agraria) ma da disponibilità di idee (know how, capacità organizzativa, creativa, inventiva) e informazioni (conoscenze scientifiche, dati) che si trasmettono velocemente. Questo può far riscattare le aree arretrate che hanno l’humus culturale adatto a lasciarsi fecondare dalle idee e dalle informazioni. Questo può portare a equità.
Un guadagno per tutti si ha, non se il gioco è statico (il vincitore sottrae sviluppo e occupazione al perdente,) ma dinamico (tutti avanzano, chi sta dietro corre più veloce e riduce il distacco.) Le politiche economiche devono assicurare a sé il massimo tasso di sviluppo creando le condizioni politiche e di mercato affinché i paesi in ritardo possano accelerare il passo.

Rivoluzione delle ict e paradosso di Solow: la nuova tecnologia inizialmente non porta aumenti di produttività. Ci vuole un po’ di tempo prima che questa esploda. Alcuni paesi hanno maggiori vantaggi di altri.

Dagli anni Novanta l’Italia è in declino di produttività e di occupazione e in rialzo di disoccupazione. Molti non cercano neppure lavoro. I motivi sono svariati: aspettative eccessive riguardo alla retribuzione o al tipo di lavoro o alla sede; scarsa possibilità o volontà nei datori di lavoro di accrescere la scala dimensionale delle imprese o di crearne di nuove; difficoltà di reperire informazioni sui lavoratori o dai lavoratori. Questi sono fattori endogeni, cioè sono difetti del mercato del lavoro italiano.L’introduzione di flessibilità è avvenuta solo all’ingresso, così le imprese hanno avuto buon gioco ad assumere a tempo e licenziare alla scadenza, mentre i lavoratori già presenti erano illicenziabili se non a costi (anche giudiziari) altissimi. Inoltre sono mancati i controlli. Questo fa sì che i giovani restino precari e i datori di lavoro rinuncino a formare compiutamente e a fidelizzare i lavoratori.

UN’ora di lavoro rende sempre di più negli Usa e non in Italia. Ottenere più prodotto con meno lavoratori significa essere più produttivi. Espellere manodopera e introdurre tecnologie fa parte del processo. Occorre che non vi siano ostacoli alla nascita di nuove imprese o all’ampliamento di quelle esistenti o alla loro acquisizione di tecnologie nuove; che le nuove produzioni trovino agevolmente manodopera e il mercato non sia ingessato; che le politiche sociali prevedano presidi di assistenza ai lavoratori espulsi. L’Italia, per la poca produttività, mostra anche poca competitività. Il risanamento basato sulla pressione fiscale non aiuta.
La maggior parte delle imprese è piccola, non vuole crescere e la capacità di ricerca e sviluppo è limitata.
Cosa si produce? Beni di consumo tradizionali (abbigliamento, calzature, mobili) e meccanica strumentale a forte diversificazione di offerta, con piccole e medie imprese. L’Italia è debole dove sono rilevanti le economie di scala, il contenuto tecnologico, la ricerca e sviluppo. (chimica, farmaceutica, nuovi materiali, elettronica, informatica.)

A ciò concorrono:
una cultura giuridico amministrativa arcaica e indifferente, se non ostile, alle ragioni dell’efficienza e del mercato;
un sistema nazionale di innovazione inadeguato:
una ricerca pubblica povera in qualità salvo eccezioni, una ricerca privata povera in quantità e uno scarso dialogo tra le due;
un contesto normativo, fiscale e finanziario che non invoglia gli imprenditori a compiere salti dimensionali e ad aprire il capitale delle loro imprese al mercato;
il difetto di concorrenza nei mercati dei beni e dei servizi, a partire da quelli di pubblica utilità;
la scarsa internazionalizzazione, la bassa presenza nei mercati oligopolistici internazionali, gli scarsi investimenti diretti esteri;
welfare sbilanciato sulle pensioni, retributive, e iniquo.

L’enfasi di politica economica riguarda oggi la microeconomia: struttura e regolamentazione dei mercati, politiche della concorrenza, presenza pubblica nella gestione delle attività produttive, politiche per le aree in ritardo di sviluppo, composizione della spesa pubblica, livello e ripartizione della pressione fiscale. Alcuni paesi, come quelli scandinavi o l’Irlanda hanno saputo adattarsi alle nuove tecnologie dopo avere modificato le loro strutture produttive. L’Italia non riesce ad adattarsi, o lo fa poco e in ritardo.

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