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Lo stupore delle prese elettriche

La mmt trascura le aspettative

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La relazione tra deficit fiscale e inflazione è al cuore delle cosiddette teorie MMT. E del caso Giappone.
Queste “teorie” (virgolette d’obbligo) suggeriscono di fare finanziamento monetario delle espansioni del deficit pubblico.
Monetizzare il deficit? E’ considerato da sempre un tabù. Una politica tipica dei paesi dell’America Latina. Una sicura ricetta inflazionistica.
Bisogna dire che le teorie MMT lo ammettono. Per loro infatti l’unico costo possibile di una strategia di “monetizzazione del deficit” è l’inflazione. Perciò, per sembrare accorti, gli MMT dicono: si monetizza il deficit *fino a quando* l’inflazione non cominci a salire. Poi ci si ferma. E magari si riparte. Così, in un continuo “stop and go”, in cui l’unico presunto limite all’espansione del deficit è appunto il segnale che derivi dall’inflazione.
(Tralascio in questo post tutte le gigantesche perplessità su un tale regime di politica monetaria e fiscale. Stampo moneta per finanziare il deficit, fino a quando l’inflazione comincia a salire. E poi mi fermo. E poi magari riparto. E’ credibile una politica economica del genere?
Per oggi, seppur a denti strettissimi, tralasciamo: sarà oggetto di prossimi post).
Qui vorrei concentrarmi sul presunto, e talvolta misterioso, legame tra deficit e inflazione. Esiste? Non esiste? E’ vero che maggior deficit può causare inflazione?
E’ noto che l’evidenza empirica sul legame tra deficit e inflazione è molto debole. Vedi ad esempio il grafico qui sotto per gli USA. E’ uno dei terreni fertili per la MMT. Non è assolutamente detto, nei dati, che maggior deficit voglia dire maggiore inflazione. Se ciò è vero, quindi, lo spazio per monetizzare il deficit sarebbe anche ampio.  Non a caso, il Giappone è considerato dagli MMT-sovranisti un caso scuola: maggior deficit, monetizzazione, ma no inflazione. Apparentemente perfetto.
Quello però che tutti gli MMT-sovranisti ignorano, o fanno finta di ignorare, è il ruolo delle **aspettative**. La parola magica, cruciale per capire la politica economica. Ma così incompresa (dagli MMT).
Uno dei motivi per cui il legame tra deficit e inflazione è molto debole è che dipende in modo decisivo dalle aspettative sul comportamento futuro della politica economica. Maggior deficit oggi può correlarsi con maggiore o  minore inflazione oggi, a seconda di che cosa gli agenti si aspettano riguardo alla politica monetaria/fiscale **futura**.
Ad esempio: di fronte a maggior deficit oggi, gli agenti possono aspettarsi che il governo-banca centrale non avrà altra scelta in futuro che stampare moneta e aumentare le entrate da signoraggio via inflazione, finanziando così il maggior deficit. In tal caso, maggior deficit oggi si associa a MAGGIORE inflazione oggi, perché gli agenti si aspettano maggiore espansione monetaria in futuro (NB: l’inflazione è una variabile che dipende fortemente dalle aspettative).
Alternativamente: di fronte a maggior deficit oggi, gli agenti possono invece aspettarsi che, per finanziarlo, il governo farà ricorso ad una maggiore tassazione futura. Quindi maggior deficit oggi è associato a MINORE inflazione oggi (perché gli agenti si aspettano una contrazione economica in futuro dovuta alle maggiori tasse).
E’ proprio questa ambiguità che rende il legame tra deficit e inflazione debole nei dati, a volte tenue, a volte forte. Un legame variabile tra paesi e periodi temporali.
Ne segue che un altro possibile motivo per cui la monetizzazione del deficit in Giappone non è associata a maggiore inflazione è che gli agenti si aspettano prima o poi un forte aumento delle tasse future (proprio per finanziare il deficit crescente). Lo spazio per aumentare le tasse il Giappone ce l’ha. L’Italia, ad esempio, non l’avrebbe.
Questo rende il debito giapponese (apparentemente, e almeno per ora)  sostenibile. Ma le aspettative di maggiore tassazione futura, in realtà, frenano domanda e consumi oggi. Infatti, l’economia giapponese da due decenni non si risveglia.
Il Giappone, dunque: è veramente un buon esempio da seguire?
——- Per i nerds che volessero approfondire ——–.
PS 1. Si noti una conclusione paradossale della logica illustrata sopra. Supponiamo che il governo decida, saggiamente, di ridurre oggi la quota del deficit finanziata con moneta. Di per sé questo tende a far diminuire l’inflazione. Ma se gli agenti si aspettano che ciò vorrà dire ricorrere, prima o poi, a maggior monetizzazione futura, le loro aspettative di inflazione oggi saliranno, causando maggiore inflazione già da oggi. Quindi: contrazione monetaria oggi implica maggiore inflazione oggi (!)
Questa è la (famosa e contro-intuitiva) logica della “unpleasant monetaristic arithmetic” di Sargent e Wallace (1981).
PS2. La logica illustrata nel post è essenzialmente quella di un famoso paper di Drazen-Helpman (1990)

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