https://voxeu.org/article/wages-productivity-and-employment-italy
“In Italia negli ultimi si sono fatte diverse riforme del mercato del lavoro e ancora più intenso è stato il dibattoto sul team. Le riforme, proposte o attuate che siano, si sono cnoncentrate soprattutto sulla flessibilità del lavoro. Le idee di fondo sono state:
I costi di assunzione e licenziamento dovrebbero essere ridotti;
i layoff (dalle casse integrazioni ai licenziamenti) non dovrebbero risultare in controversie legali incerte e costose (vedi il dibattito intorno all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori);
i cotratti dovrebbero garantire flessibiltà senza creare insicurezza;
i diritti e le protezioni dei lavoratori dovrebbero essere “equalizati” superando la dualità tra insider protetti e outsider flessibili.
Le riforme dei governi Monti e Renzi hanno esteso dei meccanismi di protezione del reddito, come i sussidi alla disoccupazione, cercando anche di aumentare la sicurezza del posto di lavoro. Inoltre hanno cercato di rimuovere i costi di assunzione e licenziamento specialmente per i giovani.
L’assunzione sottostante tali riforme è che i lavoratori che perdono il lavoro in imprese e settori improduttivi, nonché i giovani che entrano nel mercato del lavoro, dovrebbero poter trovare un lavoro nelle imprese e nei settori più produttivi e in espazione. Tuttavia gli impatti delle riforme passate sulla produttività del lavoro non sono incoraggianti. La produttività del lavoro in Italia continua ad essere stagnante. Cumulativamente in Italia in 13 anni è cresciuta del 2% contro il 20% della Germania. Senza le riforme la situazione avrebbe potuto essere peggiore?
Focalizzarsi solo sulla flessibilità ha fatto sì di trascurare l’aspetto degli incentivi. Affinché le imprese più produttive possano attrarre lavoro e capitali i salari devono riflettere la produttività, altrimenti la flessibilità può avere delle conseguenze perverse sulla crescita della produttività.
Dal Duemila i salari italiani sono cresciuti nei settori in cui la produttività è aumentata meno.
Nel breve periodo l’occupazione si è diretta versao i settori nei quali la produttività del lavoro è aumentata meno”.
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Seguono nell’articolo originale la descrizione di come un mercato del lavoro efficiente dovrebbe funzionare e l’analisi del modello.
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“L’analisi suggerisce che in Italia, a differenza che in Germania, i salari non riflettono la produttività del settore nel breve periodo mentre nel lungo periodo tendono a crescere nei settori nei quali la produttività cala. Inoltre nel breve periodo i salari relativi in Italia rispondono più alle variazioni nei prezzi realtivi che in Germania. Infine l’occupazione in Italia tende a muoversi verso i settori meno produttivi. Questo fallimento allocativo del mercato del lavoro può dipendere dal modello di contrattazione dei salari.
Quali sono gli aspetti critici? In Italia la quota di contratti coperta da qualche forma di contrattazione collettiva è tra le più alte al mondo: circa l’85% mentre il numero di iscritti al sindacato è tra i più bassi al mondo: circa il 30%. La ragione è che i contratti collettivi si applicano tipicamente sia ai lavoratori sindacalizzati che ai non sindacalizzati e sono imposti al di fuori del settore per il quale sono engoziati. Inoltre anche se la durata media dei contratti in Italia è di 3 anni, allineata alla media Ocse, la durata di fatto è molto più lunga, a causa di ritardi nei rinnovi. Al 2009 solo tra il 30 e il 40% delle imprese usano la contrattazione aziendale e tale percentuale è vicina allo zero nelle imprese localizzate nel sud.
Il framework istituzionale della Germania è molto diverso. La contrattazione collettiva ha luogo a livello dei Lander. Questo aiuta a tenere i salari in linea con la produttività delle imprese laddove ci sia una forte eterogeneità tra le regioni. Questa contrattazione aziendale è stata recentemente introdotta in Spagna e ha permesso ai salari di allinearsi alla produttività a livello di impresa.
Nella lista delle priorità delle riforme del marco del lavoro gli autori pensano che l’obiettivo di ristabilire una relazione forte tra salari e produttività a livello di impresa e di lavoratore dovrebbe essere al primo posto. Questo richiede lo spostamento del livello principale di determinazione dei salari a livello di impresa. In caso contrario, introdurre elementi ulteriori di flessibilità in un mercato del lavoro distorto avrebbe effetti piccoli o perversi sulla produttività del lavoro, sui salari e sull’occupazione”.