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Lo stupore delle prese elettriche

La sindrome cinese

Che
delle aziende cinesi
costituiscano un rischio
per alcune aziende
italiane è certamente
vero, come lo sono, per
altro, svariate aziende
tedesche, francesi,
svedesi e persino russe.
Ma, di per sé, la Cina non
è né un rischio né il
contrario di un rischio: è
semplicemente un paese
con i cui abitanti
possiamo commerciare,
se vogliamo.

1) La Cina è enorme e produce tanta roba. Questo non è un problema.

Pensate a Lussemburgo, Liechtenstein, Andorra, San Marino: sono piccolissimi rispetto a giganti come Francia, Germania, Italia ecc. da cui sono circondati.
Eppure allegramente
commerciano, con molta
più libertà di quanto la
Cina faccia con noi, con il
resto d’Europa e godono dei
redditi pro capite tra più
alti d’Europa.
Questi grandi redditi derivano dal fatto che hanno
saputo usare bene le loro
relazioni di libero
scambio con paesi
enormemente più popolati
di loro!

2) La Cina produce merci simili
a quelle italiane.
E a quelle di mezzo mondo, a
dire il vero.
Quindi:
1) i
paesi della Ue (Italia
inclusa) stanno
accrescendo le loro
importazioni di merci
cinesi
2) le imprese
cinesi rubano quote di
mercato alle imprese
italiane
3) conducendoci alla
crisi perché non possiamo
più vendere le nostre
merci in Europa.
il valore di mercato
delle merci prodotte in
Italia e vendute negli altri
paesi della Ue è passato
da 100 a 138 miliardi di
euro tra il 1996 ed il
2004, mentre per le merci
di origine cinese tale
valore è passato da 30 a
118 miliardi.
E qual è il valore di mercato delle merci prodotte in altri Paesi (Germania, Stati uniti, Francia, uk ecc.) e vendute nella ue? Qual è stata la variazione assoluta e relativa rispetto all’Italia?

Ora, il valore totale di merci
del settore manifatturiero
che l’Italia vende nella
Ue è maggiore di quello
cinese, un paese che è
venti volte più grande di
noi. Dalla quale
osservazione ne consegue
che, anche solo nel
manifatturiero, siamo
almeno venti volte più
competitivi dei cinesi,
almeno sui mercati
europei.

Inoltre le nostre imprese non
possedevano le quote di
mercato acquisite dai
cinesi sia perché questi
producono prodotti di
qualità differente dai
nostri sia, soprattutto,
perché se avessimo
posseduto quelle quote di
mercato e ce le avessero
sottratte allora il nostro
export sarebbe diminuito.
Invece è aumentato, sia
con la Ue sia con il resto
del mondo.

In terzo luogo il medesimo
processo di apertura al
commercio internazionale
che permette alle aziende
cinesi d’esportare sedie in
Italia, permette alle
aziende italiane di
esportare sedie in
Polonia, in Indonesia e,
ovviamente, in Cina. Il
commercio internazionale
non consiste solo di altri
che vendono cose sui
nostri mercati ma anche
di noi che vendiamo cose
sui mercati degli altri, e il
calcolo si può fare solo al
netto.

Senza le esportazioni cinesi l’Italia venderebbe di più? E’ possibile. Ma anche la crescita delle vendite francesi o tedesche ci danneggia, allora. Se producessimo tutto noi, peraltro, a chi potremmo vendere? Se nessun altro produce, nessuno ha i soldi per comprare le nostre cose. Analogamente, se noi compriamo prodotti cinesi, significa che abbiamo i soldi per farlo e derivano da ricchezza accumulata o da redditi prodotti. Inoltre se per comprare i beni cinesi spendiamo meno di quando compravamo gli stessi beni prodotti in Italia abbiamo più reddito a disposizione per altro, compreso fornire servizi a loro.

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