there is no life b

Lo stupore delle prese elettriche

Libri che valgono: storie di vita ai tempi della Stasi

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Stasiland

 

Questo libro l’ho letto un anno e mezzo fa, quindi non ricordo moltissimo.
Ricordo la storia della ragazza sedicenne che provò a fuggire di là dal muro e finì in prigione dove fu torturata da due donne che la tenevano con la testa sott’acqua dicendole che era una puttana nemica del socialismo e poi fu privata del sonno per giorni, affinché dicesse chi fossero i suoi mandanti. Solo che lei aveva fatto tutto da sola. Dovette fornire dei nomi falsi, perché avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di dormire un’ora.
Ricordo una storia riguardante una coppia, lui italiano e lei tedesca. Furono costretti a lasciarsi?
Ricordo la storia della donna il cui marito fu probabilmente ucciso o lasciato morire in carcere.
Ricordo la storia di colui che non ha rinnegato niente e adesso sembra uno di quei vecchi soldati giapponesi che credevano che la Seconda Guerra Mondiale fosse ancora in corso negli anni Sessanta.
Ricordo che molti ex comunicatori di regime sono diventati comunicatori nelle nuove radio. Ricordo che una conduttrice di un programma aveva come regista uno dei suoi ex aguzzini (o pedinatori.)
Il bello di questo libro è che lascia parlare le persone. Narra davero di storie al di là del muro e di come la vita era come fondata su uno spionaggio e controspionaggio collettivo.
Ricordo il senso di straniamento nell’andare a guardare il museo della DDR a Berlino e soprattutto le stanze di Milke e il registro dove venivano archiviate le informazioni su ogni cittadino.
Ricordo che dopo la caduta del muro, su quel che è successo prima è calato il silenzio. A prescindere da film come Ostalgie o Goodbye Lenin, c’è stato in Germania Est lo stesso processo di rimozione che la Germania ha vissuto dopo il nazismo.
Molti di coloro che svolgevano un certo tipo di lavoro, soprattutto di tipo propagandistico o informativo, hanno continuato a farlo per la Germania unita. Per esempio anche gli informatori dei servizi segreti.
Ora prendiamo un bambino nato negli anni Venti in Germania Est. Nasce in un periodo di iperinflazione. Cresce nel periodo della Grande Depressione. Viene convinto che la Germania è una grande nazione che merita un impero e che è piena di nemici, che sono la causa dei suoi mali. Viene convinto ad altre cazzate, come quella della razza ariana, ma comunque pensa che la sua missione sia combattere per vendicarsi dei nemici, per conquistare spazi vitali, per far tornare la Germania potente. Si fida del nazismo. Magari non ne fa parte in pieno, ma pensa che “le idee siano buone.”
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli viene detto che il nazismo è il male e che la dittatura giusta è quella che gli capita tra capo e collo adesso. I suoi capi sono il bene. Lui ha tutto da loro. Tutto quel che decidono loro: il lavoro che vogliono loro, se fa il bravo, la casa che vogliono loro, uguale a quella di tutti gli altri, qualche bene utile per lui, ma a decidere cosa sia utile o meno, proibito o meno, non è lui, ma sono loro. I nazisti sono i nuovi nemici, ma anche i capitalisti e gli occidentali. Stavolta non deve pensare ad andare in guerra, ma deve fare l’informatore per il regime e comportarsi come vuole il regime. Altrimenti sono guai: se ti becca la Stasi, che tu sia innocente o colpevole, la tua vita diventerà un inferno.

Questo signore avrà vissuto quasi tutta la sua vita convinto di avere dei capi da seguire perché loro sono dalla parte della ragione. La cosa curiosa è che in teoria i totalitaristi della prima fase avrebbero idee opposte a quelle della seconda fase. Poi un giorno crolla il muro e lui conquista la libertà, ma questa è un’altra storia, collocabile nel riciclaggio o nell’indossare un’altra maschera oppure semplicemente nel trovare ogni giorno un nuovo modo per sopravvivere adattandosi all’ambiente che cambia.

Dove finisce il consenso popolare al totalitarismo e dove inizia la sua imposizione con la forza? Com’è che tante volte nella storia un pugno di uomini riesce a convincere una popolazione intera, o quasi, che se sta male la colpa è di nemici esterni da abbattere e che potrebbe stare bene (come in un glorioso passato, magari) a colpi di guerre? Non è successo solo in Germania, coi nazisti o coi comunisti. I giapponesi colpevoli dello stupro di Nanchino avevano idee simili in testa e i loro nemici erano i cinesi. I serbi seguivano Arkan e pensavano davvero che il mondo ce l’avesse con loro da sempre e che fosse loro diritto sottomettere gli inferiori. Inferiori o infedeli, come ritengono quelli dell’Isis nei confronti del resto del mondo, ma anche nei confronti del proprio mondo.
La storia dimostra che è molto pericoloso, oltre che idiota, pensare che esistano popoli o razze o uomini inferiori o peggiori o diversi.solo perché non fanno parte di quella che considerate la vostra comunità. La storia dimostra che le masse amano credere di far parte della tribù dei migliori e di avere dei colpevoli da accusare nel caso il mondo non se ne stia accorgendo di quanto “migliori” siano. E’ facile, con questi presupposti, arrivare al punto in cui, come cantava De André, “un uomo ti guarda e non si riconosce, la terra si accende e si arrende la pace.”
Un’altra delle fissazioni dei dittatori folli è la costruzione della società nuova o dell’uomo nuovo. PolPot, Stalin, Chavez, Castro, ma anche Hitler o i dittatori dei regimi militari sudamericani avevano queste pretese. Volere ripulire il proprio paese o imporre la propria visione etica del mondo alla popolazione. Se questi capibranco pazzi non trovassero chi li segue, se le masse non avessero bisogno di seguire dei leader, se non avessero appoggi all’inizio della loro ascesa, se le masse non venissero convinte dell’esistenza di salvatori del popolo (democratici o dittatoriali,) forse tante guerre, tante dittature e tante miserie potrebbero essere evitate.

Peccato che le democrazie, gli illuminismi, i principi liberali siano minoranza tra gli stati e i popoli del mondo e che stentino oggi ad essere riconosciuti più come “valori” perfino in quegli stati e tra quei popoli (penso agli anglosassoni, per inciso.)

Chissà se le origini del totalitarismo le abbiamo dentro di noi.

 

 

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