Da:”Dal miracolo economico al declino.”
Il mercato può fare errori e ha bisogno di essere corretto da un governo efficiente e onesto per impedire abusi e altri problemi. Oppure per prevenire difficoltà come quelli della possibile esistenza di cartelli o quelli legati alla distribuzione ineguale dei redditi.
Un conto è dire questo e un altro è dire che bisogna lasciare le decisioni economiche ai politici. Ogni volta che è accaduto questo, il risultato per un paese è stato disastroso, dall’est Europa ai paesi dell’America Latina o a quelli del Mediterraneo, ma anche in certi momenti a quelli scandinavi o anglosassoni. L’idea che i politici sono sempre guidati da principi etici, e per questo prendono decisioni etiche ed efficienti, mentre il mercato, che è apolitico, è nemico di questi principi, è ingenua o cinica.
In ogni caso, al mercato andrebbe permesso di dimostrare i suoi meriti. In Italia lo stato è intervenuto continuamente in tanti settori e con politiche che non avevano la funzione di correggerlo, ma di sostituirsi ad esso. Di sostituire le decisioni che lo avrebbero reso efficiene con decisioni politiche, spesso arbitrarie, fatte da politici, che distruggono il mercato, anziché correggerne gli errori o gli abusi da parte di chi vi opera.
Un ministro all’economia di fine anni novanta pensava che la convergenza dei prezzi dei fiori durante San Valentino, e il loro aumento, fosse derivante da un cartello anziché dall’esistenza di un mercato competitivo con piena informazione. Secondo quel ministro occorreva una legge per tenere fissi i prezzi. Un tipo del genere avrebbe dovuto nominare i membri dell’Antitrust.
Sui muri di Roma c’era scritto congelare i prezzi e aumentare i salari (che sono prezzi.) Una conseguenza di una legge che tenesse fissi i prezzi e aumentasse i salari sarebbe la messa in difficoltà delle imprese, che dovrebbero chiedere aiuti allo stato che a loro volta avrebbero generato un aumento della pressione fiscale o del debito pubblico. Una riforma del genere potrebbe diventare popolare e far vincere le elezioni, come successe a Peron in Argentina, iniziandone il declino economico.
Quando fu introdotto l’euro qualcuno chiese la presenza dei carabinieri nei negozi.
L’idea che sia la concorrenza, e non l’azione delle forze pubbliche, a impedire gli aumenti arbitrari dei prezzi, è un concetto che in pochi sembrano comprendere. Invece la politica economica che permette di ridurre gli abusi e di promuovere il benessere è proprio quella di aumentare la concorrenza. In italia molte leggi e regole impediscono alla concorrenza di fare il lavoro di cui sarebbe capace. Lo stato dovrebbe creare le condizioni per rendere il mercato più competitivo. Se lo stato, al contrario, attraverso le sue politiche, permette a molti gruppi di estrarre rendite e impedisce la creazione di un mercato competitivo, a lui devono essere date le colpe che invece vengono spesso attribuite a un mercato che non esiste o non è sufficientemente competitivo.
Inoltre tutti dicono di voler ridurre la pressione fiscale, intendendo quella che colpisce loro, ma senza toccare le spese pubbliche, soprattutto quelle vantaggiose per loro stessi. Ognuno chiede eventualmente di toccare la spesa pubblica di cui beneficiano altri.
Per proteggere alcune categorie di lavoratori come i famacisti, i notai, i tassisti, alcuni dipendenti ecc.,. si sono create condizioni che impediscono la concorrenza nei settori in cui operano quelle categorie. Un’ignoranza diffusa dei meccanismi di base dell’economia di mercato porta la popolazione a favorire politiche populiste e corporative, anche a causa dell’influenza che lo statalismo di impronta fascista, comunista e cattolica ha avuto in Italia.
Eppure esistono paesi dove la popolazione ha chiari i concetti di costo opportunità e di scarsità e sa che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, che se lo stato dà a uno toglie a un altro, che non esiste un pranzo gratis.