Di Massimo Fontana
La settimana scorsa abbiamo esaminato l’origine di alcune idee che girano attualmente tra i più
accaniti critici del cosiddetto ordine economico neoliberista.
Mi riferisco alle varie proposte sui salari portate avanti dal Mv5s, che si rifanno direttamente o
indirettamente al pensiero di Piero Sraffa.
Noto economista italiano di stampo ricardiano, il quale ha costruito un bellissimo modello
economico che ha il piccolo problemino di essere completamente estraneo dalla realtà.
Oggi continuiamo in questa analisi esaminando il pensiero di un altro economista molto spesso
citato dagli ambienti anticapitalisti.
Stiamo parlando di Hyman Minsky, economista americano che sviluppò in chiave ultra-statalista
alcune idee espresse da Keynes nel famigerato capitolo conclusivo del suo famoso libro “teoria
generale dell’occupazione etc.”
Capitolo XXII, che lungi dall’essere una prosecuzione della teoria espressa nei precedenti capitoli, è invece una pura e semplice leccatina di ….. che il buon Keynes ha fatto verso l’estrema sinistra dell’epoca.
Ma torniamo a noi, a Minsky.
Questi fu allievo di Joseph Schumpeter, il più importante economista del ‘900, dal quale se ne
distaccò presto teoricamente per abbracciare il pensiero di Keynes.
Pensiero di Keynes che nella visione di Minsky parte da una constatazione corretta ma oggi dimenticata, ovvero che la teoria generale dell’economista britannico non è tanto una teoria del consumo, ma piuttosto degli investimenti.
Scrive infatti il nostro:
“Nella teoria di Keynes gli investimenti costituiscono la forza motrice attiva, la causa di ciò che si vuole spiegare: il ciclo economico” (1)
Come possono spiegare allora gli investimenti il ciclo?
Forse memore degli insegnamenti di Schumpeter, Minsky riprende e rielabora ovviamente
dall’estrema sinistra e ibridandoli con il Keynes del cap.XXII, alcuni concetti che avevano spiegato
qualche anno prima gli economisti della scuola austriaca.
Quindi abbiamo che in periodi di espansione economica, la quantità di credito bancario aumenta.
Ma il credito bancario sono debiti.
Il livello del debito del sistema economico perciò cresce.
Se l’economia ad un certo punto entra in uno stato di vero e proprio boom, ovvero espansione
sostenuta, l’erogazione di credito bancario diventa troppa.
Perchè questo?
Perchè, seguendo su questo Keynes, la redditività degli investimenti è essenzialmente indeterminata
a priori e quindi gli imprenditori, ovvero coloro che chiedono credito per fare gli investimenti,
possono essere portati in una situazione di espansione a sbagliare le stime future sulla capacità di generare profitto di un investimento.
Ma erogazione di credito troppo per chi?
Per le banche verso le imprese, le quali queste ultime aumenteranno a dismisura il livello del
proprio debito espandendo la produzione, ovvero gli investimenti.
Chiaramente il processo non può durare all’infinito.
Ad un certo punto diventerà palese che il profitto atteso dai nuovi investimenti non sarà più in grado
di ripagare il costo del debito.
Ecco allora che in quel momento (Minsky moment) il ciclo inverte la rotta e inizia lo sboom, ovvero
il crollo economico, con le aziende che cercano di liquidare i loro investimenti errati, i prezzi dei
beni capitali che crollano e le banche che entrano in sofferenza a causa del credito erogato che
difficilmente sarà ripagato, con conseguente restrizione del credito bancario e quindi …….dei nuovi
investimenti.
Ecco quindi che la caduta degli investimenti porta infine a minore produzione, maggiore
disoccupazione e quindi recessione economica.
Ora, gli economisti austriaci di fronte a questo scenario hanno sempre consigliato la liquidazione
totale degli investimenti errati.
Si lascia che le imprese liquidino gli investimenti non profittevoli e dopo aver fatto pulizia il sistema riprenderà il suo percorso di crescita depurato e più stabile.
Minsky dice di no.
Per Minsky se si lascia il sistema a se stesso non solo si avrà disoccupazione e minore crescita, ma
non ci sarà nessuna certezza che in futuro l’instabilità finanziaria non si ripeterà.
Per l’economista americano infatti, proprio perchè la redditività degli investimenti è indeterminata a
priori, il ciclo boom-burst degli investimenti è una caratteristica genetica del capitalismo e che
quindi si verificherà sempre.
Come risolvere il problema?
Minsky indica due vie.
La prima è molto pratica e abbastanza semplice.
Se l’economia privata ha sbalzi elevati degli investimenti, si può stabilizzare il livello generale
aumentando la quota di investimenti pubblici sul totale.
Se vogliamo è la logica di un fondo misto.
Ipotizzando che il mix di investimenti totali sia metà pubblico e metà privato, ecco che se la parte
privata scende del 10% e quella pubblica rimane banalmente ferma, la caduta complessiva degli
investimenti non sarà il 10%, ma il 5%.
La seconda via è invece più generale e molto più invasiva.
Cerchiamo di spiegare.
La filosofia di fondo rimane sempre focalizzata sugli investimenti.
Investimenti che in un sistema capitalista vengono fatti per ottenere un profitto.
Profitto che però come visto può calare determinando una caduta degli investimenti.
Keynes a questo punto ha però mostrato (secondo lui, ovviamente 😉 ) la via per riportarli ad un
livello adeguato.
E proprio secondo Keynes questo avrebbe liberato la società dal problema della scarsità di capitale,
facendo in modo che il sistema economico potesse sempre godere di un livello adeguato di
investimenti, di occupazione e che quindi gli imprenditori avrebbero sempre investito in modo
corretto, portando così il sistema economico verso la morte del rentier, ovvero del possessore di
capitali non utilizzati a fini produttivi.
Minsky però nota che tale processo non si è avverato.
I capitali continuano ad essere scarsi e i tassi d’interesse permangono ostinatamente elevati,
remunerando i possessori di capitale.
Perchè è successo questo?
Perchè (anche) su questa previsione Keynes ha fallito?
La risposta per Minsky risiede nel fatto che l’economia capitalista ha prodotto e produce, sempre
più nuovi beni ad alto valore aggiunto, ovvero ad elevata intensità di capitale.
Capitale che quindi è rimasto necessario per produrre questi nuovi beni.
Per capirci, per produrre un vestito basta una macchina da cucire e il tessuto necessario, per
produrre un aereo di linea capace di trasportare 400 persone servono impianti industriali enormi,
con tonnellate di materiale e quindi investimenti di capitali colossali.
Se quindi vogliamo effettivamente eliminare il rentier e arrivare in uno stato di abbondanza
(relativa) di capitale, bisogna fare due azioni radicali:
1) forzare la distribuzione del reddito dai più ricchi ai più poveri.
Non tanto per aiutare questi ultimi, ma perchè così facendo aumenterebbe la quota del reddito
destinato ai consumi primari e non a quelli ad alto valore aggiunto, per forza di cose destinati ai più
ricchi.
2) Di nuovo, forzare il mutare delle preferenze, questa volta di tutti i consumatori, verso l’uso e
il consumo di beni primari e non verso beni ad alta intensità di capitale, che dovranno essere
sfavoriti.
Che dire di questa elaborata teoria?
Tralasciando completamente ogni considerazione sull’errore classico dei postkeynesiani gia’ visto in Sraffa sul problema dell’indeterminazione del profitto, e la completa insostenibilita’ economica di un eventuale sistema a stato stazionario produttore di soli beni primari, possiamo dire che partendo dal basso, ovvero dal mutamento generale delle preferenze dei consumatori, notiamo come fortunatamente tale idea sia per ora adottata, in un framework generalmente più marxista e ovviamente ambientalista, quasi unicamente dal movimento della decrescita felice, che vede proprio nei beni ad alta intensità di capitale come un qualcosa di superfluo ed inutile.
Ma perchè fortunatamente?
Banalmente perchè come teoria è esattamente come quella di Sraffa, ovvero abbastanza fuori dalla
realtà.
Infatti, chi lo dice che un bene ad alto valore aggiunto non serve, non è utile e possiamo farne a meno?
Un bene che richiede alta intensità di capitale nella sua produzione è ad esempio un macchinario per la Tac.
Definiremo la tac un bene inutile?
Probabilmente no.
Ma c’è di più.
Tac sta per “tomografia computerizzata”.
Ovvero un tipo di analisi che per forza di cose necessita di un computer.
E un computer necessita dei microprocessori.
Bene. I microprocessori sono forse ad oggi uno dei beni prodotti a più alto valore aggiunto e a più
elevata intensità di capitale investito.
Ad esempio la sola società Tsmc, per lo sviluppo della prossima generazione di processori, investirà
25 miliardi di dollari https://www.tomshw.it/ hardware/tsmc-promette-25- miliardi-dinvestimenti-sui-
5-nanometri/
Una quantità enorme di capitali quindi.
Ma assolutamente necessari.
Qualcuno a questo punto potrebbe ribattere che ad essere necessari sono solo la Tac e i processori
destinati a tale impiego.
Purtroppo per tale idea è proprio il ragionamento di Minsky sull’insostenibilità del debito
finanziario a dirci che è una osservazione semplicemente errata.
Infatti se sviluppare un nuovo nodo per i processori costa 25 miliardi di dollari, usare tali processori
solo per la Tac o quelle poche cose che noi riteniamo moralmente giustificate, non riuscirà a
produrre i ricavi necessari ad ammortizzare e ripagare l’investimento iniziale.
I 25 miliardi di investimento potranno essere economicamente sostenibili solo se i processori
prodotti verranno usati per la Tac, ma anche per i futuri telefonini con i quali farsi i selfie con le
orecchie da coniglio grazie alla realtà aumentata.
E questo a catena vale per tutte le altre innovazioni, con gli aerei che trasportano gli organi per i
trapianti che sarà profittevole costruire solo se verranno usati anche per trasportare passeggeri in
giro per il mondo, e così via.
E gli investimenti pubblici?
Questa è la parte che più ha avuto fortuna del pensiero di Minsky e che viene perseguita da quasi
tutti i governi mondiali dal ’45 ad oggi.
Ed effettivamente notiamo che proprio da allora i cicli economici si sono molto più stabilizzati
eliminando i vari picchi.
Tutto bene?
Non proprio.
Se gli investimenti pubblici stabilizzano la parte degli investimenti della domanda aggregata, hanno
anche il piccolo problema di non essere molto spesso propriamente redditizi.
Cosa vuol dire questo?
Che se bloccano la discesa nei momenti di crisi, non aiutano granchè la ripresa nei momenti di
espansione.
Certamente ci sono governi che sognano grandi moltiplicatori da parte degli investimenti pubblici,
ma i dati come visto in passato sono abbastanza chiari: in espansione e non deflazione il
moltiplicatore scende ampiamente sotto 1.
Cosa rimane allora di tutta questa enorme teoria critica del capitalismo?
Essenzialmente le solite cose, ovvero che la parte più o meno buona e che ha senso economico è già
stata incorporata a vari gradi nei sistemi economici evoluti (in barba al presunto neoliberismo
dominante, il ruolo stabilizzatore dello stato è presente in ogni stato evoluto), mentre quelle che
erano, sono e sempre saranno delle favole economiche, sono relegate alle frange più estreme della critica al sistema capitalista e li dove sperimentate effettivamente nella pratica hanno portato unicamente al collasso della società.
Buona giornata a tutti.
(1) Brano tratto da “Keynes e l’instabilità del capitalismo”, di Hyman P.Minsky, Universale Bollati
Boringhieri, 2009.