Come ci ricorda la letteratura economica, l’imposta sul reddito delle imprese è un tipo di tassazione fortemente regressivo e molto inefficiente. Secondo una revisione di questa letteratura effettuata dall’Adam Smith Institute, uno dei think tank più influenti al mondo, il 56.7% dell’importo generato dall’imposta sul reddito delle imprese (Corporation Tax) è a carico dei lavoratori. In altre parole questo significa che in un mondo sempre più globalizzato i lavoratori (ovvero la maggior parte dei cittadini) sono la categoria maggiormente colpita dalle imposte sul reddito delle imprese.
La domanda sorge quindi spontanea: perché si continua a parlare di “armonizzazione fiscale” quando si sa che le imposte sul reddito delle imprese tendono a ridurre lo spirito imprenditoriale, gli investimenti e la crescita? Per qualche motivo si vogliono “punire” a tutti i costi paesi ed aziende che riducono e pagano le imposte entro i termini di legge? Non sarebbe meglio iniziare a spostare il dibattito sull’effettiva utilità di questo tipo di imposta?
Vista l’attuale voglia di riformare alcuni aspetti della fiscalità diretta a livello europeo, bisognerebbe forse iniziare a promuovere una battaglia per abolire l’imposta sul reddito delle imprese. Si potrebbe pensare di sostituirla con imposte più efficienti come, ad esempio, una tassa sul reddito distribuito agli azionisti. Come ricorda anche un interessante studio dell’Institute for Fiscal Studies pubblicato nel 2000, l’abolizione dell’imposta sul reddito delle imprese potrebbe garantire all’intera Unione Europea un vantaggio competitivo molto importante, nel breve-medio periodo. Una decisione simile, infatti, porterebbe ad un aumento significativo degli investimenti, della produzione, dei salari reali, dei risparmi e dell’occupazione. In parole più semplici, l’intera economia ne trarrebbe grandi benefici.