Il giorno di Sintra. Fatta la camminata per andare in centro, eccomi alla stazione di Rossio. Andare a Sintra è facile: basta fare il biglietto, del costo di cinque euro andata e ritorno, e prendere il treno che ha il capolinea in quel posto adorato dai romantici. Byron, Pessoa, Strauss, Andersen hanno lodato Sintra. “Il più bel posto del mondo”, “Il luogo che distrugge la voglia di viaggiare altrove”, “là dove ognuno trova un pezzo di casa sua”, “un eden”. Per Byron, Strauss e tanti altri era il posto più bello del mondo. Alberi, boschi, sentieri: non mancano le passeggiate immersi nella natura. Palazzi, castelli, conventi, giardini, vigneti, di vari stili e colori, che spiccano sia nei pressi del centro storico che in cime a strapiombo. A parte la nota dolente di prezzi più alti della media lisbonese, il posto merita sia la visita fugace fatta stavolta che un ritorno più approfondito. Sintra è anche un ottimo posto per fare trekking. Ho scelto il tour hop on hop off e non sono sceso da nessuna parte a Sintra. Il prezzo, 18 euro, non era molto più basso di vari tour privati che si possono scegliere appena usciti dalla stazione: ci sono decine di venditori di tour che mostrano cartelli e non danno fastidio. I loro prezzi oscillano dai 20 ai 30 euro a seconda che si voglia fare un giro della sola Sintra o anche di Cabo da Roca o anche di Cascais. Per i tour in bus pubblici, dal costo inferiore ai dieci euro, passano il 403 per Cabo da Roca, prendibile sulla sinistra all’uscita dalla stazione, e il 434 per il giro di Sintra, prendibile sulla destra.
Il mio vero obiettivo, però, era Cabo da Roca. E lì sono sceso dal bus. A parte Trip Advisor che mi chiede se ho fame e Google che mi chiede se voglio andare dove sono, a Cabo da Roca incontro la bambina portoghese cantata da Guccini. Più che il caldo alla pelle sento il fresco del vento molto forte che tira. Anziché sdraiarmi in una spiaggia che non c’è (rocce e prati davanti all’Oceano) inciampo in un sasso alto e duro mentre cerco di fare una foto al monumento in cui è scritto che siamo nel punto più a ovest d’Europa. Mi sento davvero un punto al limite di un continente. Il peso del continente si percepisce davvero. L’invito del mare, pure. La spinta verso l’ignoto e la trattenuta del vecchio. Luis de Camoes ha scritto che siamo là dove la terra finisce e inizia il mare. Sarebbe stato bellissimo restare ad ammirare le onde che si infrangevano sugli scogli e il mare leggermente mosso, l’Atlantico immenso di fronte. Sarebbe stato bello restare a lungo a riflettere, a lasciare scorrere i pensieri e anche a leggere un libro. Neanche dei turisti giapponesi in assetto da guerra (=turismo, secondo loro) hanno rotto l’incanto del luogo. Mi sono rivisto negli altri punti atlantici in cui sono stato. Mi sono visto salutare me stesso da Boston. Mi sono rivisto, seguendo la costa, a Galway e nella Wild Atlantic Way irlandese.
Sorvoliamo sul pacchetto di ciliegie cadute e sparse sul treno e sulla signora che mi ha dato il fazzoletto per pulire per terra e ritroviamoci all’oceanario di Lisbona. C’è una teleferica che va da lì alla torre di Vasco de Gama, da cui si può vedere dall’alto il ponte lunghissimo e il Tago, oltre alla città in lontananza. C’è una bella passeggiata lungo fiume e tanti giardini, compreso quello botanico. C’è un centro commerciale. C’è un corridoio coperto dove alcuni giovani stavano facendo una specie di corso di danza-rock. C’è l’oceanario. È su due piani, ha un bel negozio, una grande e bellissima vasca centrale, è attento alla ricostruzione e alla salvaguardia dell’ambiente e della fauna marina, ha delle descrizioni sintetiche ma esaustive, ha una sezione dedicata all’oceanografia e a i pericoli legati al sovrasfruttamento della pesca e ai cambiamenti climatici, riproduce gli ambienti di tutti gli oceani e mostra affascinanti esemplari di piante e animali. Insomma l’oceanario merita la visita.
La serata è stata fantastica. Festa con musica iberica e cibo (sardine, ginha, birra, leitao a barrada, prosciutto pata negra, baccalà, le solite cose) a Cais do Sodre. Visione della mezza maratona di Santo Antonio e conoscenza di due componenti dei Belem Runners. Musica sul lungo fiume, con gente che balla e chioschi di cibo. Gente sulle sdraio in riva al fiume. Gente che impara a ballare in uno dei saloni d’ingresso alla stazione di Cais do Sodre.
Bar pieni di gente che guarda la finale di Champions. Seguiranno festeggiamenti rilassati a base di birra e musica per i vincitori e conforto agli sconfitti. In un pub gestito da italiani la maggioranza era juventina. In un british pub la maggioranza era neurale. Anche dai tavolini fuori dai locali nella strada si poteva vedere la partita, vista l’ampiezza degli schermi dentro i pub o i bar.
Deve essere bello vivere a Lisbona. Sembra una città a misura d’uomo. Sul lungofiume c’è sempre chi si sdraia, chi riflette, chi si bacia, chi mangia, chi balla, chi passeggia, chi guarda il Tago sul quale si muovono navi, barche a vela e sopra il quale si vedono passare aerei. Non mancano mai suonatori di strumenti musicali o disegnatori per strada (anche un cane di sabbia con la scritta Lisbona è stato costruito e disegnato). Non mancano mai nemmeno i runner. Non mancano i senzatetto, compreso il tipo con capelli lunghi, molti muscoli, torso costantemente nudo e cani al seguito che ha portato in riva al fiume la ragazza conosciuta il giorno prima a Santa Caterina. Una ragazza con la magia con la scritta “says love” viene imbroccata da un ragazzo vestito in modo elegante che le insegna il portoghese: “you say, I repeat,” dice lei. Cerco di non dire gracias, adios, vaso, ma obrigado, adeus, copo: insomma cerco di parlare portoghese e non spagnolo.
Lisbona 2017. Sintra, Cabo da Roca, Cais do Sodre.
18 Giugno 2017