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L’Italia che attrae: il distretto industriale vicentino

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L’Italia fa parte del distretto industriale europeo. È nella catena del valore estero. L’automotive, il farmaceutico, la meccanica di precisione, i terzisti dei componenti e altri sono settori dove il paese è competitivo, esporta e crea produttività.

 

Il paese ha un’importante vocazione all’esportazione. L’Italia ha un surplus commerciale annuo di circa 60 miliardi.

 

Si può fare un patto della fabbrica. Si crea valore e si distribuisce agli azionisti e ai lavoratori nel territorio.

I governi invece cercano di aumentare i consumi attraverso il traino della domanda interna, ipotizzando che questo faccia crescere l’offerta. Per fare questo aumentano la spesa pubblica corrente, improduttiva e inefficiente.

Nella maggior parte dell’Italia i salari reali e la produttività declinano. I servizi vanno male. C’è anche un manifatturiero che va male.

Se crei produttività e innovazione spingi in su i salari e i redditi e quindi anche la domanda in altri settori.

Cosa possono fare le industrie? Innovazione di processo, rinnovo di impianti, investimenti in innovazione tecnologica. Accelerazione di produttività, innovazione. Possono stipulare dei patti di fabbrica, stimolare la crescita del personale anche con premialità e aumenti di stipendi. Una persona che cresce di livello può far crescere l’ azienda. Si crea un volano che si trasferisce all’indotto. C’è bisogno di formazione, cultura, ricerca, università. Il volano nel vicentino è il manifatturiero.

Occorre che il territorio attragga persone di qualità, bravi manager o tecnici giovani (che spesso sono attratti da città come Milano o anche Verona). Le attività culturali, la cura dei monumenti, l’efficienza dei servizi sono opzioni che possono attrarre i talenti.

L’internazionalizzazione piace. C’è chi si innamora dell’estero. I capaci vogliono spesso andare all’estero. La continuità generazionale sta diventando un problema per le aziende. Sono pochi i giovani che danno continuità all’azienda. Del resto oggi non ci sono più confini. Laddove oggi le persone si sposano cento anni fa si sparavano. I giovani non si sentono tanto parmensi o friulani quanto europei. Il problema comunque non è in sé che le persone se ne vadano, ma che non arrivino. La gente capace non è attratta dall’Italia.

Eppure il Veneto è attrattivo per alcune multinazionali. Il territorio è attrattivo grazie alle persone che ci sono. Esiste un distretto con la facilità di reperire qualunque cosa ad alta gamma e le aziedne si sentono benvoluti.

In generale invece l’Italia non è attrattiva per gli ostacoli burocratici ma anche per l’atteggiamento anti industriale dei governi. L’attrattività non è fatta solo di fiscalità. Deriva anche dall’essere benvoluti e creatori di valore. Le aziende industriali distribuiscono il valore nei territori perché crescono con quei territori. La politica economica di un paese deve accompagnare quelle eccellenze. Investendo c’è un ritorno importante di quegli investimenti anche per la gente del territorio. Allora c’è bisogno di infrastrutture, di un governo che governi in maniera intelligente e che non tiri fuori siocchezze come il salario minimo che non cambia niente o il reddito di cittadinanza o quota cento o pensi di uscire dall’euro.

Se non sei contento devi darti da fare per chiedere cambiamenti e renderti attrattivo. Bisogna smettere di indossare la giacca del piagnone. Anche noi veneti siamo piagnoni forse ma lavoriamo e produciamo. Poi il vittimismo è una malattia  nazionale.

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