Se un paese cresce è perché non cresce l’altro, secondo questo governo lamentista, pauperista, guevarista, statalista. È un’idea da modello superfisso.
Provenzano: tutti parlano di Milano perché si sviluppa e aggrega capitale. Ma non restituisce più nulla all’Italia. Sarebbe quindi una città egoista che non restituisce niente del suo benessere e della sua ricchezza. Poi ha corretto il tiro. Ci sarebbe il problema delle agglomerazioni urbane che creano poi il dramma delle periferie.
Oggi si dà la colpa del proprio impoverimento alle grandi città. Prima l’accusata era la globalizzazione. Dopo un po’ si scopre che sono tutte bufale. I dati di Milanovic dicevano altro. Il reddito da lavoro cala? Era un errore statistico. La vera disuguaglianza viene dalla disuguaglianza dei redditi da lavoro e dalla capitalizzazione degli stessi.
Cosa non restituisce Milano? Se ha maggior successo pagherà le tasse in proporzione al successo. Restituisce in tasse.
Il dibattito è tra centro e periferia con Milano che inghiotte la crescita attorno e allora dovrebbe inghiottire le zone limitrofe e il sud non c’entra?. Corrispondentemente sarebbero Napoli o Palermo a inghiottire le aree vicine. Che è una cosa che succede, peraltro. O il dibattito è tra nord e sud?
Milano è un modello positivo da replicare al sud o è un modello negativo a cui deve essere tolto tutto?
Non ci sono riscontri. Milano cresce, ma soffre il paese Italia. La città è dinamica. Ma poi Milano fa bene ma non è un miracolo di crescita. In un paese di orbi uno con poche diottrie ci vede. Il poco di crescita che c’è in Italia non è niente di fantastico, ma è ciò che permette al paese di stare piatto.
Milano non cresce come la Silicon Valley.
Con l’innovazione tecnologica e la globalizzazione le città diventano sempre più importanti per la crescita economica. Milano compete in un’altra categoria, come Parigi o San Francisco o Shanghai. Chiuderla nel recinto italiano sarebbe dannoso per tutti.
Rodriguez Pose ha dei paper, forse dubbi, sulla crescita delle regioni europee. Poi invoca politiche diverse per ogni territorio ma non dice che Milano toglie a Roma o cose del genere. Che poi Roma riceve tanti sussidi pubblici da fare spavento.
Il progresso tecnologico oggi disponibile, le attività economiche oggi disponibili (con meno fabbriche, più efficienti, con meno agricoltura) implicano la concentrazione nelle città perché ci sono possibilità di aggregazione di persone, di uffici, di università, di centri di ricerca ecc.
La cosa rilevante è che poche città italiane sono riuscite a costruire infrastrutture, attrazioni, università che attraggono queste persone e imprese. Se Roma fosse capace di creare, gli stessi servizi andrebbero a Roma.
Studio della banca d’Italia. Sviluppo locale, economie urbane, crescita aggregata. Il problema del’Italia è quello che il potenziale di crescita dei centri urbani è meno forte. Le Milano sono poche e sono piccole. La possibilità di creare valore aggiunto dipende da congestione urbana, inefficienza dei trasporti, difficoltà che non permettono alle città italiane di usufruire dei vantaggi delle città del mondo.
La letteratura seria su questi problemi c’è. I lamentosi devono accettare i dibattiti e i fatti invece di fare propaganda politica e manipolare l’evidenza empirica per invocare politiche fallimentari.
I giovani vanno al nord, si chiedono più fondi al sud che produrranno l’effetto che più giovani andranno al nord visto che i fondi al sud non funzionano.
Pasquale Saraceno ha fatto tanti danni. Fautore di questo meridionalismo, di iri. È stato uno degli artefici del polo siderurgico di Taranto. Fondatore della Svimez. È il padre teorico delle cattedrali nel deserto. Che avrebbero indotto tecnologia e impianti e sarebbero nati milioni di imprenditori lì intorno. Non ha funzionato da nessuna parte e nemmeno lì.
Enrico Moretti. Libro sulle agglomerazioni. Non si sa come farle nascere. I progetti fatti apposta non sono riusciti. Quelli nati per caso, per iniziativa di singole industrie o azioni specifiche riescono. È un fatto storico che lo sviluppo economico, le grandi innovazioni, riesci a vederlo quando sta avvenendo o dopo, ma la capacità di prevedere che sarà così e si potrà far succedere con politiche adeguate non l’ha mai avuta nessuno e chiunque ha tentato ha fallito. Le politiche e gli interventi si possono fare ma con umiltà. I distretti stessi non nacquero per scelta politica ma contro le scelte politiche. Furono una reazione alla situazione di crisi nei grandi comparti industriali e contro le leggi e le politiche di riconversione del tempo. Erano percepiti come una sorpresa. Ex post si capisce che c’era il piccolo artigianato, una forza operaia che aveva capacità tecniche, c’erano conoscenze meccaniche ecc. Questo l’hai capito dopo. Non era frutto di politiche comunali o regionali o statali. Nessuno ha cercato di costruire i distretti industriali. Sono tutti prodotti di un combinarsi di fattori precedenti e non prodotti dalla politica. Quando la politica ha avuto un ruolo positivo è perché li ha favoriti con supporti logistici ecc. Nel rafforzarli è rimasta indietro nel non integrare il sistema scolastico nell’integrazione coi distretti ecc.
Anche quelle erano agglomerazioni diffuse, spiazzate dall’innovazione tecnologica e dalla globalizzazione.
Anziché capire come far fiorire altre città o i distretti, si punta contro le anomalie di successo come Milano.
C’è anche molta enfasi sulle politiche sulle aree interne, specialmente nella dorsale appenninica, senza crescita e più spopolata. Può esserci un valore nel preservare i borghi, ma quello è un costo. Se hai crescita puoi occuparti di quei borghi. È redistribuzione, come dare i soldi per salvaguardare il Colosseo. Rendi i borghi popolati. Prima dovremmo produrre queste risorse. Questa crescita. Non sono loro la crescita, oggi.
Al sud soprattutto la distribuzione dei paesi spersi nelle montagne, con difficili collegamenti ecc, dipende dai corsari dell’anno mille. La geografia dei paesi sulle rocche, da vasto in giù, è determinata dai pirati.
Questo ha condizionato lo sviluppo di città più grandi. C’è una storia ma pensare di conservare questo mondo per creare sviluppo forse non è possibile.
I borghi dell’appennino dall’Umbria in giù sono un lusso. È assurdo che ciò che è nato per contingenze specifiche storiche debba essere mantenuto costi quel che costi.
Come anche il fatto che i redditi da lavoro dovrebbero garantire contro la povertà costi quel che costi. La povertà poi viene definita in base ai gusti
Certi insediamenti umani in certe zone appenniniche erano il meglio in certe epoche storiche e oggi hanno solo un valore turistico o paesaggistico storico e costruire attività economiche redditizie lì (compresa banda larga e scuole per il bambino da solo che ci vive) sono delle tasse che colpiscono chi vive in città per mantenere questi bellissimi piccoli paesi qua e là. Anche per il bene di queste persone è plateale come tanti ragazzi capaci nelle montagne venete per esempio hanno la vita distrutta perché non gli è stata data la scelta di scendere a valle e smettere di fare i pastori e tagliare il fieno. Smettere di cercare di vivere di sussidi come in provincia di Belluno.
Se vuoi salvaguardarli come presidio devi preoccuparti che Milano corra per produrre quella ricchezza che permetta di preservarli.
Sono un lusso come il castello restaurato in Toscana.
Un grande investment banker usa si sta ricostruendo un casolare in Umbria. È possibile perché questo ha fatto i soldi a New York.
I bei villaggi medievali o i castelli devono appartenere ai ricchi? Coi sussidi e gli abbandoni non vivono ma crollano e chi ci vive vita una vita miserabile.
Bisogna sconfiggere il caporalato, come? L’incrocio tra domanda e offerta di lavoro dovrebbe essere gestito dal pubblico? I navigator dovrebbero sconfiggere i caporali? Il delirio di onnipotenza statalista è ai vertici. Per ogni tipo di problema ci sarebbe un apparato dello stato che accentra la risoluzione del problema e se ne fa carico per tutti. Questi sono quelli della programmazione, del saracenismo. Questo governo è la cartina di tornasole.
Goffredo Bettin. invocava il fronte popolare contro il pericolo leghista. Emerge una cultura socialfascista, un po’ fanfaniana.
Quando dicono stato loro immaginano se stessi. L’elettore si immagina un cavaliere. La condizione è che lo stato faccia tutto e nello stato ci vadano loro, non i Salvini. Lo stato è quella roba che ha fatto Venezianova e non ha fatto il Mose.
Quando lo stato gestisce il mercato del lavoro lo stato fa gli uffici inutili di collocamento o gli inutili navigator.
Dice che vuole costruire burocrazia inutile corrotta incompetente che metta d’accordo l’impresa con otto dipendenti e il cercatore di lavoro a ottanta chilometri di distanza.
Non si sono resi conto che lo stato sono gli apparati dello stato?
Fondo integrativo pensionistico pubblico. Ora c’è anche questa. Un fondo inps che dovrebbe fare concorrenza ai privati. Il fondo sosterrebbe in modo anticiclico le pensioni del futuro. L’idea è permettere a chi non ha reddito oggi di avere pensioni domani. Come fai a fare il fondo? Canalizzando le risorse del fondo nell’economia del paese. In pratica hai socialismo e autarchia. Unione neocorporativa. Poi il fondo si usa per nazionalizzare Alitalia e Ilva? Sarà interessante capire come trovano i soldi.
Guardate che state facendo danno all’occupazione coi contributi sociali e la tassazione che colpisce il lavoro qualificato e così in Italia abbiamo solo occupazione mediocre. I ragazzi pagano contributi sociali enormi e non avranno pensioni. Li tassate così tanto non hanno nemmeno spazio per fare l’integrativa privata. Create tensione sociale. Quando sarà finito il privilegio, tra una ventina di anni, ne sono passati trenta di privilegio brutale perché è così da metà anni 80, due generazioni e mezzo si sono mangiati il paese, dopo arriveranno pensioni da fame. Nel 2050 dopo 60 anni di massacro di chi ha lavorato in quegli anni chi andrà in pensione si troverà con un pugno di sabbia. Loro insorgeranno ma quelli che gli hanno portato via da mangiare se ne saranno andati. Adesso si inventano frasi contorte. Tridico è un pseudo economista. Usa la parole anticiclico e questo non c’entra. C’è una spoliazione di 50 anni che è una scelta strutturale e politica.
I quarantenni vedono tasse alte, contributi giganti, conto inps disastroso.
Gli stipendi netti bassi di adesso sono una cosa ciclica. Le pensioni dei più giovani, a contributivo, funzionano nel senso che tu hai dei contributi che vengono capitalizzati a dei tassi che dovrebbero dipendere dal tasso di crescita del pil. È una finta capitalizzazione. L’inps dice che ti ha preso un terzo del tuo stipendio e lo ha dato ai pensionati. “Mi impegno a darti quanto hai versato più la capitalizzazione dei contributi da quanto me li dai fino a quel giorno”. Senza crescita del pil la capitalizzazione non c’è e avrai un montante basso.
. L’Inps farebbe concorrenza ai fondi di investimento? Investendo in Alitalia? Se investe in italia investe nell’economia dello stesso ciclo. Diamo pensioni ancora più basse a chi avrà la pensione. È ancora più folle. Sono venti anni che le persone sono state intrappolate da questo sistema. Chi ha la cosa mista mantiene la pensione alta. Chi è contributivo vedrà la pensione tra venticinque anni. Nel frattempo sarà morta l’economia italiana.
L’Italia è contenta di farsi governare da questa gente.